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Di calcio, cinema e soft power

Due libri differenti, che trattano argomenti differenti, e che pure hanno insospettabili punti in comune. Qual è il legame tra Le industrie del cinema-Un confronto internazionale (2022), curato dal professor Marco Cucco, con Goal economy (2015) di Marco Bellinazzo? In apparenza, nulla. In realtà, moltissimo.

Da una parte un docente di Economia della Cultura presso il DAMS di Bologna e di Culture della Produzione Cinematografica presso le magistrali di Cinema, Televisione e Multimedia (CITEM) e di Informazione, culture e organizzazione dei media (INCOM, una sigla che volutamente richiama la famosa “settimana INCOM” del Dopoguerra). Dall'altra un noto giornalista de “Il Sole 24 ore”, autore per il blog Calcio&Finanza che sviscera i temi legati al pallone e al business che ad esso gira intorno.

Cosa accomuna i mondi di due autorevoli di divulgatori, che a prima vista sembrano però procedere su binari abbastanza paralleli? La risposta è semplice: la geografia, e le riflessioni che da essa, a cascata, derivano.

Qui urge chiaramente una spiegazione. Pur se in maniera diversa, Cucco e Bellinazzo nelle opere sopra citate hanno esplorato gli ambiti di rispettiva competenza con una prospettiva geoculturale, ovvero cercando di far emergere come il cinema e il calcio sono attività legate alla sensibilità, alle normative, alla politica e alle caratteristiche dei luoghi in cui si estrinsecano.

Andando nel dettaglio, possiamo vedere come entrambi gli autori abbiano toccato grossomodo gli stessi territori, ovvero l'Unione Europea (e in entrambi emerge un ruolo preponderante di Regno Unito, Germania, Francia, Spagna e Italia), gli Stati Uniti, il Messico, la Cina, la Corea del Sud, il Giappone, l'India e il paese africano più rilevante (rispettivamente, la Nigeria e il Sudafrica). La differenza tra i due è che il volume curato da Cucco non ha invece trattato di Russia, Brasile e Argentina, ma ciò sarà verosimilmente dovuto a meri motivi di lunghezza.

Verrebbe a questo punto da chiedersi se esista una correlazione, e se si estende l'analisi si scoprono consonanze ancora più interessanti. Se ad esempio si prendono le tabelle relative all'economia del cinema (produzione di film e box office) e le si compara con le leghe calcistiche in grado di generare maggiori dividendi ci si accorge di come, anche in questo caso, i paesi protagonisti siano più o meno gli stessi, con l'ulteriore inserimento della Turchia.

Non può decisamente essere un caso, dunque, che tanto il medium quanto lo sport maggiormente in grado di penetrare l'immaginario collettivo si sedimentino entrambi in un ristretto gruppo di paesi-guida. Quali possono essere le ragioni? Come sempre, quando si tratta di temi di tale levatura, è pressoché impossibile dare una risposta univoca e convincente. È più plausibile supporre, però, che all'origine di questo processo ci sia un mix non certo omogeneo di tradizione culturale, crescita economica, attenzione ai talenti e, naturalmente, un po' di sano soft power.

Quest'ultima definizione fu coniata ad inizio millennio dal politologo statunitense Joseph S. Nye Jr., e fa riferimento a quelle dinamiche complementari all'hard power (ovvero quello economico-politico-militare) che i governi dei Paesi più potenti mettono in atto sia verso l'esterno che verso l'interno. Tali pratiche possono essere di varia natura, tra cui anche culturale, e ciò lo ha illustrato con dovizia di particolari il giornalista francese Frederic Martél nel libro Mainstream (2010), che prende in esame tanto gli Stati Uniti quanto le realtà emergenti del globo.

A partire da tali presupposti, non è dunque scorretto affermare come i governi degli stati sopra citati abbiano cercato, a vario livello, di esercitare a proprio vantaggio un controllo anche culturale. E ciò risulta verosimile soprattutto se si considera che, a guardare ancora più da vicino, si nota come si tratti di nazioni che occupano quasi tutte una posizione all'interno del G-20, ossia il consesso dei Paesi più industrializzati al mondo.

Emerge perciò quasi un pattern che lega il panem e i circenses, e nella logica di questi ultimi il calcio e il cinema sono stati e continuano ad essere due asset strategici, in quanto rappresentano attività molto popolari che generano un volume d'affari elevato. Talmente elevato che qualcuno si è già azzardato ad ipotizzare come entrambi, ormai, possano essere tranquillamente annoverati tra gli elementi dello show business.

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