La notizia va accolta come un’iniezione di ottimismo, tanto sul piano concerto che su quello simbolico. Il 23 dicembre la Galleria Borghese è entrata in possesso di "Danza Campestre", dipinto del pittore bolognese per secoli ritenuto disperso e poi attribuito alla mano di altri pittori del Seicento, fino ad essere riconosciuto solo nel 2017 come espressione del talento del superbo esponente del Barocco. La tela dipinta intorno al 1602, è stata riacquistata dalla galleria Fondantico di Bologna che l'aveva esposta nel marzo 2020 al Tefaf, la fiera internazionale di arte e antiquariato di Maastricht. La procedura per acquisire il capolavoro è stata avviata nella primavera scorsa da Anna Coliva, la precedente direttrice della Galleria Borghese. L’opera che con ogni probabilità apparteneva al Cardinale Scipione, raffigura una festa in campagna. Si possono ammirare i personaggi che passeggiano, contadini in festa mescolati alla nobiltà.
Particolare che ruba l’occhio è quello delle due mosche a grandezza naturale, libere nel cielo. La conferma della paternità del quadro si deve all' antiquario Patrick Matthiessen che ha incluso il dipinto nel catalogo del 2017 dedicato alle opere di Guido Reni. La vicenda che circonda l’esistenza dell’opera è da romanzo, durante tutto il Seicento Danza Campestre è noto e riconosciuto così come certifica l’inventario del Palazzo Borghese redatto nel 1693: "quadro in tela con un Paese con molte figure figurine con un ballo in Campagna alto p.mi 3 e mezzo Cornice dorata del N.°(sic) di Guido Reni". Per circa due secoli se ne perdono le tracce fino alla sua menzione in un catalogo di vendite del 1892 in cui è attribuito alla scuola fiamminga.
Nel 2008, invece, attribuito a un anonimo artista bolognese ricompare in un'asta di Bonham's a Londra. Constatato il livello elevatissimo vengono avviate le indagini per stabilirne la paternità. Le prime ipotesi formulate ruotano attorno a Viola, Tamburini, Badalocchio, Domenichino, il Guercino e ad Agostino Carracci che però non coincide né stilisticamente né cronologicamente. Il capitolo conclusivo nonché autentico lieto fine è il riconoscimento dell'autografia di Guido Reni.
L’acquisto di quest’opera ha un significato che va ben oltre il suo immenso valore. In un periodo di depressione culturale ed umana, si pone come un messaggio di orgoglioso, entusiastico rilancio. Ripartire nel segno dell’arte, specialmente dell’arte italiana.
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