Da Ausonia a Del Toro gli stravolgimenti e le manipolazioni propagandistiche di uno dei capolavori letterari nostrani
Talvolta verrebbe da chiedersi se il genio italico è talmente tanto invidiato da dover essere replicato (per non dire copiato), contraffatto e, infine, sfregiato. Sì, perché tutto questo attingere al nostro patrimonio culturale per poi stravolgerlo in dei veri e propri stupri mascherati da omaggi è, ormai, diventata una cosa all’ordine del giorno.
L’ultima vittima è il burattino toscano più famoso del mondo ossia Pinocchio! Ma andiamo con ordine. In generale quasi tutte le trasposizioni, sia cinematografiche che televisive, del lavoro di Carlo Lorenzini, meglio noto come Collodi, hanno sempre subito delle rivisitazioni, ma in line di massima plausibili, godibili e non troppo distanti dallo spirito dell’opera letteraria.
Difatti Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino è un libro sì per bambini ma con una profonda valenza pedagogica a tratti dura per non dire cupa e tragica. Il burattino è un personaggio fondamentalmente egoista e attaccabrighe stereotipo del bambino discolo e dello scolaro somaro. Non a caso nella prima stesura del romanzo lui moriva impiccato a voler mandare il messaggio “bambini attenti alle cattive frequentazioni perché possono portarvi alla tomba”.
Probabilmente è qui la forza di questo libro la sua universalità perché il Gatto e la Volpe o Mangiafuoco e tanti altri sono personaggi sono quanto mai attuali specie oggi nell’era digitale quando per i bambini la rete e ricca di tanti “orchi”…
Ricordiamo la serie animata nipponica del 1972 di Ippei Kuri Le nuove avventure di Pinocchio versione rivisitata ma che ricalca le note cupe del libro con toni molto più drammatici e che alcune storie davvero orrorifiche con vampiri, streghe e demoni. Anche la natura del burattino è molto simile a quella letteraria. Pertanto, liberamente ispirato sì ma fatto bene.
Ora facciamo un lungo salto temporale e torniamo a casa nostra nel 2002 quando il premio Oscar Roberto Benigni decide di dirigere il suo Pinocchio. Teoricamente la struttura c’è ma talune cose storpiano troppo. In primis il suo voler interpretare il personaggio senza usare trucchi od altro per renderlo un burattino e con l’usare un Kim Rossi Stuart nei panni di Lucignolo. Un adulto, per quanto bravo, non potrà mai rendere quel senso di spensieratezza, innocenza e anche ribellione che ha un bambino. Aggiungiamo anche la ridicolizzazione di Mangiafuoco in macchietta anziché in cattivo. Poi, ciliegina sulla torta, la scelta di Nicoletta Braschi come fata turchina… diciamo che l’unica dote di questa attrice è l’essere la signora Benigni!
Poi arriviamo al 2006 con il fumetto del fiorentino Ausonia Pinocchio storia di un bambino. Liberamente ispirato al lavoro collodiano ci troviamo in un molto ribaltato dove sono tutti burattini e Geppetto è un macellaio che modella della carne avanzata in un bambino. In questo mondo tutti sono bugiardi solo Pinocchio dice la verità. Una storia nera dalle tinte forti. Solo che è il messaggio di fondo ad essere sbagliato come ha affermato lo stesso autore, secondo lui l’originale “propone un modello educativo superato che qualcuno, evidentemente, si ostina a ritenere ancora valido.” Qui emergono li strascichi del metodo Montessori e di una scuola permissiva e decadente, di cui si vedono oggi più che mai i frutti marci. Contestare le regole senza avere nulla di meglio da proporre.
Infine, arriviamo ai due pezzi da 90 di questo 2022 più che mai all’insegna della cosiddetta (in)cultura woke il Pinocchio di Robert Zemeckis e quello di Guillermo Del Toro. Nel primo il papà di Ritorno al Futuro e Roger Rabbit è ormai l’ombra sbiadita di sé stesso e dirige un flop clamoroso, stroncato da tutte le critiche anche quelle più liberal, e forse proprio per questo non è stato distribuito nelle sale ma trasmesso direttamente su Disney+.
Il buon Robert decide di rendere Geppetto non un falegname ma un orologiaio, che produce ma non vende i suoi orologi perché gli ricordano la moglie morta… già qui verrebbe da domandarsi allora come campa? Oltre a questo Pinocchio non diventa un bambino ma decide di restare burattino perché così è più inclusivo senza contare che si perde tutto il senso della favola che tende al miglioramento e all’elevazione. Aggiungiamo poi la scelta Cynthia Erivo come fata turchina negra, pelata e androgina[1] di certo non è stato un colpo da maestro. Vien da chiedersi se Zemeckis, democratico doc, non abbia affidato al suo lucidissimo Presidente la sceneggiatura del film…
Ed infine arriviamo a Del Toro! L’untuoso quanto adiposo regista messicano, il quale tra fisiognomica e sceneggiature avrebbe fatto scrivere fiumi d’inchiostro al buon professor Lombroso, sulla scia di Zemeckis propone un burattino eterno, ossia che matura e non si trasforma, e sposta tutta l’ambientazione nell’Italia fascista! È innegabile una certa ossessione del regista ghiotto di tacos per il fascismo e le sue varie declinazioni, tanto da far invidia ad un vecchio nostalgico, e tanto da rasentare il patologico. È vero che qualcuno ha definito il libro di Collodi “una favola fascista sull’obbedienza” e qui bisognerebbe spiegare che la prima edizione di Pinocchio viene pubblicata nel febbraio del 1883 e Benito Mussolini emette il suo primo vagito il 29 luglio dello stesso anno. Probabilmente sotto il Ventennio, quando ci fu la prima opera di alfabetizzazione di massa, la favola dell’autore toscano avrà avuto una certa diffusione ma definirla un’opera fascista è quanto mai ridicolo e dimostra una crassa ignoranza.
Ma torniamo al nostro adiposo regista che usa il burattino per parlare di Geppetto il quale ha cercato in lui un surrogato del vero figlio morto durante la Grande Guerra. Scompaiono quasi del tutto i comprimari più importanti, eccezzion fatta del Grillo Parlante quanto mai molesto e noioso, di un Lucignolo veramente piatto e di un meticcio ottenuto dalla fusione di Magiafuoco e la Volpe. Subentrano addirittura uno Spirito del Bosco e la Morte, quest’ultima sotto forma di una sottospecie di chimera. Va notato come quasi tutti i mostri pensati da Del Toro si somiglino dal Fauno alle varie creature uscite dai suoi Hellboy.
A questo punto la versione hard con Francesco Malcom Penocchio risulta il prodotto meno imbarazzante presente sul mercato.
Il “liberamente ispirato” ormai è divenuto il rifugio dei mediocri e degli incapaci, di coloro che hanno poche idee e confuse ma talmente striminzite da non poter star in piedi da sole, ergo si rifanno a classici del passato stuprandoli nella loro essenza.
Ci piace ricordare, come omaggio al nostro amato burattino, una scena di una pellicola di fantascienza dei meravigliosi anni 80, quando si facevano ancora bei film, ossia Corto Circuito 2 di Kenneth Johnson in cui il robot senziente Johnny 5 si trova in carcere e legge contemporaneamente Frankenstein e Pinocchio mandando, con pochi fotogrammi, un messaggio umano profondissimo.
[1] E’ vero la fatina del film Disney era bionda ma almeno rientrava nel fototipo originale.
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