L’opera prima di Ambra Principato, liberamente ispirata al libro “Io venia pien d’angoscia a rimirarti” è una chicca del cinema di genere nostrano.
“Il sentimento più forte e più antico dell’animo umano è la paura...” così scriveva il visionario di Provindence quasi un secolo fa. Dopotutto la paura e la consocenza sono le grandi armi di controllo delle masse che i governi totalitari, e non solo in verità, utilizzano per rinsaldare il loro potere.
Ed è proprio la Paura ad essere la protagonista incontrastata dell’ultima pellicola, in odore gotico, nostrana uscita nelle sale recentemente. Si tratta dell’opera prima di Ambra Principato che attingendo all’opera letteraria di Michele Mari Io venia pien d’angoscia a rimirarti, che narra la fascinazione del giovane Giacomo Leopardi per la luna.
La storia si svolge nell’Italietta preunitaria del 1813. In una località rurale non ben precisata del Centro. Sono ancora lontani i grandi moti risorgimentali e il Congresso di Vienna che sancì la fine dell’epopea napoleonica, il ripristino (momentaneo) dell’Aciente Regime e le basi della nostra indipendenza. In questa microrealtà vive il giovane Giacomo, rampollo di una casata storica locale, fine studioso ma dalla salute cagionevole. La sua famiglia è composta dai fratellini Orazio e Pilla e dai genitori che sono in pratica lo Ying e lo Yang: Monaldo fervente illuminista, rasentando l’ottusità scientista, e Adele bigotta oscurantista.
Uno sguardo attento noterà l’omaggio al Marchese Del Grillo durante un pasto in cui i genitori criticano la passione del primogenito per la poesia poichè allontana e dallo studio e dalla preghiera. E qui chi non ricorda il grande Albertone che diceva “mio padre era un uomo severo mi diceva solo Studia e prega... mia madre manco quello solo Prega”.
Questo non deve, però, indurre in errore il film non è ironico e canzonatorio tutt’altro. Il senso di angoscia e la paura sono striscianti, lentamente, avvolgono lo spettatore sino al climax finale! Tornando alla nostra storia. La vita semplice e monotona del piccolo centro viene sconvolta dal massacro di vari capi di bestiame da parte di una “bestia immonda” che dissangua completamente le sue vittime. Tutti pensano, istintivamente, ad un lupo tranne lo zingaro Scajaccia che è convinto che la bestia abbia origini bn più oscure e minacciose. Anche qui impossibile non notare una citazione alla Bete du Geuvadan.
Giacomo e i suoi fratelli sono attratti e intimoriti da questa situazione che li porta, anche, ad interagire, maggiormente, col mondo esterno. In particolar modo Giacomo che scopre un virile interesse per la plebea Silvia figlia del suo fattore. La situazione precipita quando Tano, un giovincello del volgo, viene assassinato durante una notte di plenilunio. In quel momento i popolani, intimoriti e presi dalla superstizione, si affidano alle cure dello zingaro cacciatore.
Contemporaneamente Orazio, preso dalla tipica curiosità infantile, girovagando per la sua magine rinviene un vetusto testo redatto da un cacciotre di streghe giudicie dell’inquisizione. In tale libro si narra di una situazione analoga avvenuta secoli prima ad opera di una creatura ferina e demoniaca. Oltre a questo il bambino rinviene, nascosto in soffitta, un quadro di un loro antenato dalla fattezze mostruose ed inquietanti... ed intanto la prossima luna piena è sempre più vicina.
La Principato gioca molto bene con lo spettatore lanciando indizi che si dipanano su due percorsi anche se, con maestria, confonde lo spettatore su una pista ben precisa. Ottima l’ambietazione e ancor di più la recitazione in particolar modo il giovane Justin Korovkin nei panni di Giacomo e Mirko Frezza come Scajaccia.
Tutto perfetto quindi? Quasi. Non possiamo dare 10 e lode al film per due vezzi. In primis uno scivolone in geografia quando Giacomo e Orazio tentano di andare a mirar la luna sul promontorio... ecco tale sporgenza montuosa si trova solo sulle coste che protendono verso il mare o un lago. Ora dal film si evince che la località è montuosa e rurale pertanto assai distante dal mare e non si fa menzione alcuna di un lago.
In secundis perchè manca il cosiddetto “spiegone” ossia il legame della famiglia nobiliare con la maledizione lupina. Viene da domandarsi perchè il conte Monaldo non rivela, almeno alla consorte, chi fosse il parente rimosso dall’albero genealogico. Due minuti in più di riprese e avremmo avuto una storia pressochè perfetta. In ogni caso il film ha avuto un discreto successo assestandosi in ottava posizione al botteghino.
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