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IL CLANDESTINO

È sempre difficile parlare di un prodotto seriale (televisivo o altro) quando se ne sono viste o lette solo le prime due puntate, ma è sempre possibile cogliere delle indicazioni, avvertire se la struttura è solida o se fin da subito il gigante ha i piedi d’argilla. 


Edoardo Leo, il Clandestino

Nel caso de Il Clandestino, nuova serializzazione fiction RAI, con la regia di Rolando Ravello e Edoardo Leo come protagonista, la visione delle prime due puntate lascia una sensazione positiva. E non lo diciamo per simpatia verso Leo, attore cresciuto in modo incredibile come capacità recitativa, ma perché l’impianto narrativo ha convinto.

Il Clandestino, titolo che potrebbe essere fuorviante in questo clima avvelenato e sospettoso dove tutti sono sempre pronti a vedere un retroterra politico e ideologico anche in una punteggiatura diversa dal solito, non parla di immigrati clandestini, ma di persone che si ritrovano, per scelta o per fatalità, ad essere clandestini rispetto alla quotidianità. Luca Travaglia, ex ispettore dell’antiterrorismo, che capiamo da accenni dei dialoghi e dalla sua forma mentis quando le situazioni lo mettono sotto pressione e lo portano a ragionare “da sbirro” essere stato agente capace e competente. Un qualcosa accaduto nel passato però gli schianta la vita. Tutto quello che era ed era stato fino a quel momento svanisce in un boato. Luca viene scagliato via dal suo ruolo, dalle sue sicurezze e non vuole più tornarci. Non se ne sente degno. Decide che l’unica vita che merita è quella ai margini.


Il Clandestino Rai fiction

Se vogliamo queste prime due puntate vedono il personaggio attraversare due passaggi fondamentali nel processo di ricostruzione del Sé. Luca inizialmente è Colui che è Indegno. L’Indegno è allo sbando, sa di esserlo, non ha cura di sé, non ha cura del suo spazio, e la puzza della spazzatura che si accumula all’interno della “tana” dove si rifugia è il segno di un ambiente sub umano, animale. Poi lentamente Luca assume il ruolo dell’Eroe recalcitrante prima e riluttante poi. È come se ci fosse un destino che ci chiama. Una volta difensore, per sempre difensore. Una volta che hai scelto di combattere dalla parte del giusto, di proteggere gli altri, il tuo destino è segnato. Potrai cercare di sfuggirgli, ma prima o poi qualcosa o qualcuno riuscirà a strapparti dalla presunzione di indegnità e ti rimetterà sulla strada segnata per te.

 

Le prime due puntate della serie (sulle 12 previste) avevano il compito di fare un grosso lavoro di costruzione del mondo narrativo della serie: presentare l’ambientazione, presentare i personaggi, far capire le relazioni tra i personaggi. Essendo però l’arco narrativo suddiviso in sei appuntamenti da due puntate ciascuna, ed essendo la serialità de Il Clandestino di tipo incrociato, ossia caso di puntata + trama orizzontale che lega tutti gli episodi, è evidente che le prime due puntate debbano riuscire non solo a spiegare, ma soprattutto a NON spiegare alcuni elementi. Questi elementi però devono essere talmente forti, talmente “incuriosenti” da catturare l’attenzione dello spettatore, che torna per i successivi appuntamenti per capire “ma allora che è successo veramente?” e questo lavoro di costruzione del mistero è andato abbastanza bene. L’evento scatenante pare chiaro, ma dai dialoghi si coglie che c’è qualcosa di segreto, qualcosa che a distanza di anni sta ancora andando avanti.

Luca Travaglia è l’Eroe Riluttante, riceviamo, un archetipo chiaro, preciso. Colui che si ritirato dalla lotta e non vuole tornare. A spingerlo è il Compagno, colui che o con il ragionamento o con varie forzature costringe l’eroe riluttante a tornare ad essere se stesso. Qui il ruolo del Compagno è assolto dal bravo attore cingalese Hassani Shapi. La dinamica tra i due funziona, le gag di alleggerimento del clima plumbeo di una Milano sfaldata e sfilacciata reggono. I duetti tra loro due ricordano molto quelli tra Bud Spencer e Cannavale nei film della serie legata a Piedone. L’ispettore burbero e dai metodi spicci, e la spalla che lo segue e a lo spinge ad interessarsi di casi umani.

 

Come si diceva in apertura difficile dare un giudizio conclusivo avendo visto solo due puntate su dodici. Lo schema classico di una serialità di questo tipo, con 12 puntate suddivise in sei appuntamenti, prevede una scansione abbastanza consolidata. Primo appuntamento: presentazione mondo & personaggi, inizio accumulo misteri – secondo, terzo e quarto: ampliamento del mondo & personaggi, i misteri si accumulano, l’eroe inizia una relazione, a volte nel quarto appuntamento, dopo il primo ciclo di presentazione, inizia il secondo ciclo, ossia la crisi che porterà alla risoluzione – quinto (penultimo) appuntamento: aggravamento della crisi, protagonista che si trova in una situazione apparentemente di sconfitta – sesto ed ultimo appuntamento: svelamento dei misteri, chiarificazione dei rapporti, decisione circa le relazioni tra personaggi, scontro finale con la nemesi che ha messo in moto tutto il processo narrativo (in questo caso probabilmente con chi ha dato origine al trauma nel prequel).

La regia di Rolando Ravello regge bene il ritmo, con inquadrature che danno di Milano, sede della narrazione, un aspetto leggermente disallineato, come se la si vedesse sempre da un margine, da una situazione di clandestinità. Buon lavoro alla fotografia di Fabio Di Battista, specialmente nella seconda puntata, con la scena di Luca che regge il corpo della donna nell’acqua sullo sfondo di una nebbia bianca davvero intensa. La scelta di girare le scene in flashback in bianco e nero, ma un banco e nero sporco, quasi offuscato dagli eventi accaduti, è funzionale alla narrazione.


Ora i difetti: forse qualche piacioneria di troppo nella scena iniziale al banchetto, più da Er Monnezza che da un noir moderno; apparentemente telefonatissima la relazione tra Luca e la cliente, ma forse proprio per questo non accadrà; un po’ troppo macchiette i cattivi nella seconda puntata Milano Calibro 9x19 (un titolo che omaggia il classico di Di Leo per il quasi omonimo, Leo); non del tutto condivisibile la soluzione del primo caso, quasi che la fuga sia la risposta alle difficoltà.

 

Concludendo le prime due puntate sono state una piacevole sorpresa. Confidiamo nel futuro.

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