Quando i fatti non si adattano alla loro narrativa, i media abbandonano i fatti, ma non la loro narrazione. Alcuni fatti finiscono oscurati. Così l’informazione non produce una riflessione, ma una soap opera che viene chiamata notizia.
L’ultima vittima della polizia statunitense di cui si è avuta notizia è Adam Toledo, 13enne, ispano americano, freddato a Chicago mentre alzava le mani al termine di una fuga dagli agenti.
Nel recente passato, commentando la violenza esercitata dalla polizia statunitense nei confronti di sospetti di reati, si è ricorso alla categoria del razzismo sistemico spacciandolo come una delle conseguenze delle politiche di Donald Trump.
Nonostante, come dicono i fatti e i numeri, il problema sia ricorrente, quasi endemico e, dunque, di difficile soluzione. Perlomeno continuando a seguire la “vulgata” che fino ad ora ne ha costituito lo sfondo.
La polizia statunitense è violenta per la natura del suo approccio verso chi commette reati o i sospetti di averli commessi. Il razzismo centra poco o per nulla. Infatti, i poliziotti sparano in maniera indiscriminata a bianchi, afroamericani e ispanici.
I dati dicono che un cittadino nero ha maggiori probabilità di essere ucciso dalla polizia, più probabilità di essere disarmato e meno probabilità di minacciare qualcuno. Ma sospettarlo colpevole di un reato non è indizio di razzismo sistemico.
Gli afroamericani uccisi dalla polizia sono più numerosi per la loro propensione a delinquere. Negli USA i neri sono il 13% della popolazione, ma rappresentano il 50% degli arrestati per aggressioni e omicidi e il 67% degli arrestati per rapina.
Il dato ha la stessa consistenza percentuale quando lo si confronta con quello delle vittime oggetto del crimine, le quali confermano che il 50% dei loro aggressori sono afroamericani.
Anche contando il numero di afroamericani vittime della polizia, si scopre che esso è proporzionalmente minore agli omicidi totali commessi dagli afroamericani, le cui vittime sono perlopiù altri afro-americani.
Questi dati fanno aumentare la possibilità che un nero fermato da un poliziotto statunitense, spesso anch’egli nero, possa finire ucciso. Il razzismo delle forze dell’ordine centra dunque poco o è residuale rispetto alle dimensioni del problema.
Gli afroamericani vivono in comunità spesso molto omogenee e densamente popolate, il che le porta ad interagire più frequentemente con la polizia proprio a causa del più alto tasso di criminalità.
Tuttavia, concentrando le attenzioni solo sull’aspetto razziale, si evita la radice del problema. Quello per il quale le comunità afroamericane si trovano in uno stato socio-economico nel quale è più semplice commettere crimini che essere onesti.
Il problema dell’ineguaglianza razziale nella società americana esiste ed è diffuso soprattutto nelle grandi città, ma la criminalità che ne corollario ha che fare con la povertà e con le dinamiche sociali-economiche che si producono nei “ghetti”.
E’ un dato di fatto che la polizia americana venga sottoposta ad un addestramento intensivo e di natura militare che vede in ogni cittadino un uomo potenzialmente armato. Una circostanza che produce un esito fatale per entrambe le parti.
Nel 2020 la polizia statunitense ha ucciso 1127 persone, di queste 601 per un sospetto di reato, non violento o non denunciato e 121 per violazione del codice della strada, mentre sono 80 gli uccisi disarmati (https://policeviolencereport.org/).
Così accade che gli eccessi di autodifesa e le rigide regole d’ingaggio della polizia statunitense colpiscano gli afro-americani, ma anche altri cittadini. Anche quelli innocenti e rispettosi della legge. Qualunque sia il colore della pelle.
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