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Pier Luigi Manieri

Matrix, il 4° capitolo è al cinema tra luci e ombre, action e farsa

Aggiornamento: 13 gen 2022

Matrix non poteva mancare all’appello. Ventidue anni dopo il primo Matrix, Lana Wachowski torna alla sua creatura più riuscita. Quel Matrix intriso di estetica cyberpunk, era apparentemente un anacronismo, era in ritardo di ventidue anni da quel fatidico 1977 anno prodigioso (Guerre Stellari) in cui venne pubblicato Fragments of a Hologram Rose che portava in sé tutti i prodomi della letteratura visionaria di William Gibson, teorico della fusione uomo-macchina e delle megalopoli alveare. Apparentemente, si diceva, perché nella centrifuga messa in piedi dalle Wachoski, pescando tra bagliori lisergici, allusioni new age, misticismo ancorché a buon mercato e dosi massicce di cyberpunk, Matrix sorretto da un cast colossale, entrò dalla porta principale nel ristretto circolo dei film di culto. Laurence Fishburne, Hugo Weaving, Carrie-Anne Moss e Joe Pantoliano (i due si ritroveranno un anno dopo in Memento, Pantoliano inoltre era già presente nel precedente Bound), gravitano attorno a Keanu Reevs, che un giro sulla vorticosa giostra della realtà virtuale se l’era già fatto con Johnny Mnemonic, mediocre adattamento dell’omonimo romanzo di Gibson. Reeves è Thomas Anderson, ma scoprirà di essere Neo, l’Eletto (il Nuovo o anagrammandolo, anche Uno o Neo, quindi un difetto, imprevisto), colui che guiderà la rivoluzione. Il nome stesso Thomas, riporta evangelicamente a San Tommaso e cioè al dubbio, deve vedere per credere. Morpheus è Il nome del dio greco dei sogni. "Cypher" è un termine dello slang informatico inglese e significa Zero. Se Neo è "The ONE" si ottiene zero e uno, vale a dire il sistema binario dei computer. Il binario, come vedremo più avanti ritorna anche in Resurrections.

E rivoluzione fu. Sessanta anni dopo, tanto è trascorso nella finzione tra gli eventi l’ultimo e il nuovo capitolo, ne apprendiamo gli effetti. Evitando l’insidia degli spoiler, diremo unicamente che il film abbonda di pregi e di pecche in eguale misura ma che tutto sommato si attesta meglio dei molti reboot, sequel, spin off… che affollano affannosamente gli schermi da una decina d’anni a questa parte. Per intenderci, è di gran lunga superiore a Tron Legacy, i tre Guerre Stellari, Blade Runner 2049, Terminator Destino Oscuro, The Predator, solo per restare nell’ambito delle operazioni di recupero di canone fantascientifico.

Va riconosciuto che Lana affronta con attenzione encomiabile lo scivoloso e non meno invalicabile ostacolo della coerenza, contro cui s’infrangono anche le migliori intenzioni. Ogni singola tessera del mosaico s’incastra perfettamente tra passato e presente. Se la coerenza non cozza, lo stesso non si può dire dell’ intreccio narrativo. In sintesi, il bene che si plasma al male che a sua volta si reinventa dalle sue ceneri ma è sempre lo stesso. La trama si arena in sabbie mobili che sanno di deja vu. Percorsi già battuti nelle saghe di Tron, Guerre Stellari, Terminator, Al netto del fatto che i colpi d’ala non mancano, permane la convinzione che sulla trama si poteva fare di più e meglio. O anche non fare, si pensi alla cifra irridente, autodissacrante e spoetizzante che si affaccia in alcune fasi del film, conferma malinconicamente quel trend para iconoclasta che segna la cifra di tanto cinema iconico contemporaneo. Si accennava alle buone idee; a Neo è stata cancellata la memoria, in compenso è il geniale creatore del videogioco più venduto al mondo. Per l'umanità intera è scomparso ma lui è celato da Matrix sotto gli occhi di tutti. La rivoluzione ha prodotto alcuni effetti positivi sia per gli umani che per le macchine che nella nuova Zaion convivono laboriosamente insieme. Questa nuova realtà esplora un nuovo punto di vista che è quello del sopravvissuto.

È un gioco di specchi metacinematografico, questo Matrix che esaltato da un luce satura e lisergica da anni 70, si delinea attraverso le superfici riflettenti. Immagini che rimandano ad altre immagini, personaggi che sfaccettano altri, tra ritorni e recuperi una galleria non sempre riuscita ma comunque ricca di maschere. Neo e Trinity funzionano. Reeves è forse un po’ troppo simile a John Wick e Trinity perde qualcosa nel finale, adattata anche lei ai dettami girl power. Ed è un peccato perché non ce ne sarebbe stato bisogno. Sparava, picchiava e guidava moto come e più di tanti uomini anche prima, ma era convincente. Questa deriva dagli accenti vagamente reazionari merita qualche riga di approfondimento: sul serio l’approccio ideologico nell’opera d’intrattenimento genera consenso sul piano dell’opinione e profitti su quello imprenditoriale? Se rappresenta l’uomo in chiave macchiettistica, sinistra, abbietta e per contro le numerose donne che riempono la pellicola sono brillanti, determinate, coraggiose, si restituisce al gentil sesso quel ruolo nella società che a torto o ragione rivendica? Il problema non è tanto Neo che prova a levarsi in volo ma non si stacca da terra sotto gli sguardi commiserevoli dei comandanti quanto lo schema Birds of Pray e Terminator Destino Oscuro ripetuto pedissequamente. Un deja vu. Funziona a meraviglia Neil Patrick Harris (Starship Troopers - Fanteria dello spazio), nel ruolo dell’Analista, il terapista di Thomas che lavora a stretto contatto con il suo paziente per comprendere il significato dietro i suoi sogni e distinguerli dalla realtà. L’Analista è il grande manovratore di questa nuova Matrix, in grado di intervenire anche sul bullet time, che da valore aggiunto del primo film entra metafilmicamente in Resurrections.

I meno convincenti sono Smith e Morpheus. Il primo ha un volto giovane e affascinate ma non inchioda come Weaving, il secondo, che è un programma senziente, si sforza così tanto nel prendere le distanze dal predecessore che lascia il dubbio che si tratti di una parodia involontaria dell’originale.

Il più indovinato è quello del Merovingio, un Lambert Wilson ammaccatissimo che mentre infuria la battaglia inveisce su Neo per ciò che ha commesso, ma non si può esser certi che non lo urli in faccia a tutta la platea. Non meno interessante è il quesito che sottende il film, sospeso sul dilemma se sia corretto o meno svegliare quelli che intuiscono l’enorme mistificazione in cui sono costretti. Emerge una verità crudele, e cioè che alla massa va bene così, non desidera essere liberata. Perché la massa pecorona non può fare a meno di avere certezze e Matrix le dà, qualsiasi esse siano perché sono certezze. Questa riflessione ne suffraga un’altra: la faccenda della pillola rossa e pillola blu è molto teatrale ma non serve a nulla perché quando uno si pone la domanda di fatto ha già scelto. Il concetto stesso di scelta viene meno rispetto a volontà. Questi riflessi della filosofia che fa architrave a Resurrections, sono assieme al sentimento dell’amore, le parti più interessanti e poetiche del film. Alcune scene tra Neo e Trinity, che per un gioco di assonanze diventa Tiffany, sono davvero toccanti. Legati da un amore assoluto, i due funzionano come anestetico o propulsore l’uno dell’altra. Come è spiegato, tutto in natura è binario, giorno e notte, sogno e incubo, uomo e donna, bene e male. Il male di Neo si chiama Smith, il suo socio in affari. Insieme realizzano un videogioco che si chiama Matrix. Quindi un gioco che racconta di due realtà, una vera e una fittizia, contenute entrambe in un’altra realtà fittizia a sua volta, proiezione di una oggettiva. E in quella oggettiva, gli uomini sono ancora chiusi in gusci da incubazione come polli da batteria.


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