C’erano tutti al funerale di Silvio Berlusconi. Il Presidente della Repubblica Mattarella e il Presidente del Consiglio Meloni. C’erano gli amici storici come Galliani, e quelli che a lui non dispiacevano, come Renzi. C’era Draghi. E Pure Gentiloni. Uno dei suoi avversari storici. C’era mezzo mondo del calcio e mezzo mondo dello spettacolo. In un colpo solo si è salutato un uomo che è stato simultaneamente molti individui e personalità distinte. L’uomo che ha influenzato come nessun altro la storia del costume, creato un lessico riconoscibile, condizionato i gusti.
Chiariamolo senza indugi: ha reso la televisione più competitiva. Alla fine degli anni ’70, l’Italia era la sola tra le nazioni più sviluppate ad avere un monopolio statale nelle telecomunicazioni e un sistema televisivo con appena due, poi tre canali a copertura nazionale ( si riascoltino le osservazioni di Beppe Grillo a conclusione del suo Fantastico, quando ironizzava sull’evanescenza del terzo canale).
È l’uomo che ha riportato in vita Enzo Tortora a cui ha restituito dignità umana e professionale e fatto rimpiangere Mike alla RAI. Sempre l’uomo di Arcore è fautore di quella svolta televisiva contrassegnata da una vivacità sensuale e goliardica che prima era quasi estranea se non grazie a Strix, anomalia della Rete Due (chiariamo per quelli nati dopo il 1970, era il primo nome di Rai 2), basti dire che Moana Pozzi fu protagonista di due show: L’Araba Fenice, in cui c’era anche Stefano Disegni e Magico David, entrambi su Italia1. È stato l’imprenditore illuminato che ha portato Galactica, Dallas, Magnum PI, V-Visitors, A-Team, Supercar; Lady Oscar, Il Tulipano Nero, Kiss me Licia, La terza serie di Lupin III, Creamy, Occhi di gatto, Hunter, Cavalieri dello zodiaco e Dragon Ball, autentici culti transgenerazionali, nonché programmi come DJ Television; Non solo Moda, Maurizio Costanzo Show, vale a dire, pietre miliari della televisione, capaci di fare epoca come pochi altri. Silvio Berlusconi è stato un avventuriero che si è arricchito costruendo quartieri bomboniera alle porte di Milano e poi con lo stesso fiuto si è gettato nel mucchio selvaggio delle frequenze televisive.
Berlusconi è stato un visionario. Un innovatore, scaltro e spregiudicato come sono coloro che si fanno da soli. L’Avvocato non aveva bisogno di essere vistosamente rampante. Alla peggio metteva in piedi una fabbrica di automobili in Polonia per soffiare Boniek alla Roma. Berlusconi era invece il borghese che ce l’ha fatta.
Berlusconi aveva fame. Agnelli aveva appetito. La vita a volte è una questione di semantica. Eppure Berlusconi oscurò Agnelli. Gli anni ’80 e poi ancora il decennio successivo sono tutti suoi. Protagonista assoluto del suo tempo.
La dimensione del personaggio è direttamente proporzionale alla quantità di veleno sparso persino al funerale, dove un pugno di scappati di casa hanno offerto uno spettacolo indecoroso. Ma c’è poco da biasimare il mitomane di turno, quando un rappresentante di un’istituzione come il Prof. Montanari rettore dell’Università per stranieri di Siena decide di non mettere le bandiere a mezz’asta e di farlo sapere all’universo-mondo. Mitomania elevata a forma culturale oppure mero calcolo opportunistico? L’ateneo di proprietà del Consorzio AlmaLaurea nato nel 1994 (curiosamente proprio l’anno in cui l’imprenditore vince per la prima volta le elezioni) nonché sostenuto dal contributo del Ministero dell’Università e della Ricerca, quindi anche dalle tasse dei contribuenti con idee sul versante apposto, ha avuto un “insperato” ritorno pubblicitario, compresa una petizione su Change.org per esprimere solidarietà. Ma perché stupirsene? Un attestato non si nega a nessuno, men che meno a questo eroico martire, rettore di un ateneo privato del feudo dell’MPS che si erge a moralizzatore. Intendiamoci, i pensieri in libertà vanno tutti bene, purché sia chiaro che sono in libertà, ma in epoca social in cui domina la qualunque è ancora un teorema attuale? La dipartita del Cavaliere è un esempio plastico di narrazione ribaltata laddove una componente minoritaria della società ma maggiormente rumorosa si ostina a imporne il taglio, che poi sarebbe la medesima che un anno e mezzo fa ha consegnato Roma a Gualtieri perché ha voluto credere al pericolo fascista. Fatto sta, di colossali scemenze ne sono state dette parecchie, per es. Berlusconi acquistò il Milan per entrare in politica. Quanto gira in queste ore la vulgata? Ebbene, è un falso.
Tra il 1986, quando arrivò a Milanello in elicottero e il 1993, c’è un’era geologica. Un conto è la storicizzazione degli eventi, un’altra è la loro riscrittura a posteriori perché tutto fili. Ma detto a chiare lettere, e se pure fosse? Quelle Coppe dei Campioni varrebbero meno? Il calcio spettacolare e vincente di Sacchi, Van Basten, Gullit, Ancelotti, Donadoni, Savicevic, Maldini, Massaro, Boban, sarebbe meno memorabile? Assecondandone la letteratura, lo scudetto di Zhang non avrebbe valore, a meno che non ci si voglia convincere che la Cina sia entrata nell’Inter per autentica fede meneghina. Berlusconi entrò nello sport per il medesimo motivo per cui lo fecero Sensi, Moratti, Rozzi, Mantovani: al netto della passione innata nutrita da presidenti come Sensi e Moratti possedere una squadra di calcio è da sempre uno status. Il fondatore di Forza Italia è l’uomo che ha tirato fuori il Milan dalla mediocrità per lanciarlo in quel firmamento che sembrava ormai irraggiungibile e nel farlo, ha rivoluzionato il sistema calcio, con molti pro e alcuni contro, cosa che ogni rivoluzione porta con sé.
Lo stesso approccio basato sull’autocirconvenzione riguarda, nel male più che nel bene, tutto ciò che ruota intorno alla sua figura. In mancanza di meglio ci si attacca alla nota di colore. In questo caso, il bianco della tristemente celebre bandana. Un uomo di una settantina d’anni con un fazzoletto pirata in testa è ridicolo? Certo che sì. Un uomo con l’orologio sul polsino, invece? Pure. Però il primo è ridicolizzato pure da uomini che non si sanno annodare una cravatta, il secondo è visto come un modello di stile ed eleganza. E veniamo al modello politico: Berlusconi ha distrutto il Paese. Pensate. In che modo non è mai stato chiarito ma ormai è un dogma. Non si discute. Lo ha fatto. Non le privatizzazioni, cartolarizzazioni, dismissioni operate da Tronchetti Provera, Colaninno, Bernabé, Chicco Testa. Non la Fornero con la sua legge sciagurata. Non Bersani, che nel 2006 col D.lg 4 luglio 2006, n.223, ha permesso agli operatori esteri di entrare nel mercato italiano del gioco d’azzardo. Ogni singolo danno va attribuito sempre e soltanto a Silvio Berlusconi. Non ci dilungheremo sullo statista perché è un contesto ampiamente trattato da Alessandro Bottero ma vale la pena inquadrare alcuni aspetti: Berlusconi ha restituito una parte del pensiero politico alla Nazione.
Solo chi è segnato da una non compiuta età evolutiva può pensare che l’idea di destra non rientri a pieno titolo nella dialettica politica. Come dire che una fetta di popolazione non esiste. Eppure, con l’MSI confinato a numeri condominiali, era questo il quadro italiano al 1993. Con l’ingresso in politica la famosa “scesa in campo”, lo scenario muta radicalmente. Alla fine della fiera, la politica è stata utile a Berlusconi (pensiamo alla norma dei decoder n.d.r) non più di quanto non sia stato utile lui a lei. E ai molti personaggi che grazie a lui sono emersi dalla penombra di un agiato anonimato e dalla mediocrità ben remunerata per divenire elementi di primo piano, si pensi a Pierferdinando Casini che dall’ala moderata della DC è ora nelle fila del PD. Si pensi a Fini, divorato dalla sua ambizione. Si pensi a Di Pietro, un ottuso mastino che si travestì da Garante dei lettori per quel Telegiornale che fallì dopo appena due mesi. Lui si portò via centomilioni di lire, denari che avrebbero dovuto coprire gli stipendi dei dipendenti e che solo tre anni dopo, in odore di carte bollate, si decise a restituire. Si pensi a Veltroni che mollò Roma per candidarsi rimediando una sonora legnata. Tutto il PD prese meno di Berlusconi da solo, 33% a 37%.
Al netto della calza posta davanti alla telecamera, Berlusconi è già nella storia politica? La domanda è a beneficio del Prof. Montanari. Ci sta a pieno titolo grazie al celebre vertice di Pratica di Mare, ma ci è dentro anche per essere stato il premier in carica per il periodo più lungo, un’intera legislatura. Vanta anche un’atra ragione, è pure l’unico ad aver subito un golpe bianco. A Berlusconi si può rimproverare di aver ceduto il passo malvolentieri a Giorgia Meloni, questo sì. Peccato veniale? Forse, ma comunque una caduta di stile. Guardandoci indietro di appena nove mesi vediamo come la storia continua a riscriversi, dal primo Presidente del Consiglio donna, alla scomparsa del Primo Presedente del Consiglio di centrodestra della storia della Repubblica.
Berlusconi ha involgarito, anzi, azzerato la cultura. E su questo alziamo le mani in segno di resa. È inoppugnabilmente vero. Per esempio: quanti stipendi ha percepito la compagna Littizzetto da Mediaset? Esemplare indiscusso in fatto di classe, eleganza, stile, grazia. Non la sola compagna. Silvio Orlando, Bisio, Riondino, Ricci. Tutti del PC e poi DS e tutti liberi di esprimersi. Come lo fu Mitraglia Mentana, per anni, uomo di riferimento di Craxi quando era a Rai 2. Si chiama mercato. Se funzioni, funzioni. Senza preconcetti. La volgarità dei canali Fininvest Mediaset ha fatto storia. Ma esattamente, quale? Quella di Vianello e Mondaini? O come quella di Corrado? La tv degli ultimi decenni è stata oggettivamente brutta, smarrita tra tronisti, altri scappati di casa ex noti e illustri sconosciuti, fattorie. Una televisione al ribasso, giustificabile solo dai bilanci ma resta che orrori come quelli perpetrati da Maria De Filippi e Barbara D’Urso sono esteticamente ed eticamente non perdonabili. Lui sarebbe portatore della decadenza morale eppure i manuali di storia dei media dicono che ha importato il modello dagli Stati Uniti, i quali a detta della narrazione che fa opinione restano un faro di libertà e civiltà, quindi quale delle due verità è la verità?
E la Rai, invece? La Rai degli ultimi trenta anni con la guida a sinistra come non mai, quali programmi avrebbe all’occhiello, quali fiori da esibire con orgoglio?
Ma al netto delle televisioni, di quartieri che ancora oggi sono considerati delle oasi dai residenti, il lascito di Berlusconi è soprattutto costituito dalla bellezza, forse anche maggiore delle signorine che animavano i Bunga Bunga. Come Penta Film ha distribuito Il tè nel deserto, come Penta Film e Silvio Berlusconi Communication ha prodotto e distribuito Mediterraneo, come Medusa, L'ultimo bacio e Le Fate Ignoranti. La relazione tra cinema e Silvio Berlusconi è stata contrassegnata dalla medesima esuberanza che è rintracciabile nella gestione delle emittenti televisive e del Milan. Progetti faraonici pensati per il grande pubblico e per la critica. Al primo, Berlusconi ha sempre strizzato l’occhio, da un lato guida e dall’altro migliore amico, della seconda se n’è sempre fregato ma esiste. In questa dimensione va inquadrato Ciak, il periodico fondato nel 1985 a cui è legato il Ciak d’oro. Per brevità citiamo solo questi titoli, sono più che sufficienti a suggerire l’opera instancabile di un uomo che ha saputo plasmarsi a seconda delle opportunità. Un uomo attento come pochi all’estetica in ogni sua forma. Se inquadrato in questa ottica quel “culona inchiavabile” che da allora ha timbrato Angela Mekel come un postit, può turbare il sonno solo a un puritano come il diafano Marco Travaglio. Il quale si è arricchito sparandogli addosso ma ora che ne sarà di lui?
Quindi la verità… non ce l’ha nessuno e certamente non nel breve periodo, ma se il pensiero di ciascuno è troppo di parte, affidiamoci ai numeri, Fininvest ha quasi 18000 dipendenti di cui 4858 in Mediaset, numeri oggettivamente enormi che spiegano (sempre che ce ne sia bisogno), meglio di qualsiasi teorema la grandezza imprenditoriale di Silvio Berlusconi.
Un altro aspetto indubbio è che il genio si ama, si detesta, a volte è percepito come un alieno, altre volte come un dio. È stato così per ogni protagonista assoluto del proprio tempo. Il problema sta nella dimensione di chi guarda, non di chi è guardato. Due prospettive, quella dell’uomo normale e quella del genio, inconciliabili.
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