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MODA - “Le donne vogliono essere vestite, non travestite”

Aggiornamento: 23 mar 2021


È nell’alta sartoria da oltre venticinque anni, immagina e crea abiti che travalicano la contingenza del contemporaneo per declinare dimensioni “altre” e senza tempo. Nel suo stile prendono dunque vita la fiaba, l’onirico, fino al senso stesso della femminilità. Elementi che definiscono le facce di un’unica medaglia: la ricerca estetica e la cifra stilistica. La conversazione scorre via fluida, dilatandosi su temi economici e sociali e stringendosi sul personale concetto di moda.

Ne emerge distintamente il profilo di un uomo, ancor prima dello stilista affermato, presente nel suo tempo. Che si misura con la realtà che lo circonda e per ciò che ne ha facoltà, la rielabora trasfigurandola in pezzi unici.

Ciao Franco, partiamo subito con una ventata d’ottimismo: società globalizzata e multinazionali che cannibalizzano il patrimonio italiano di progettualità, si può ancora parlare di made in Italy?

Ciao Pier Luigi, ma certo che si può. Made in Italy, cioè fatto in Italia. Ha a che fare con le più importati qualità di noi italiani. Non è qualcosa che può essere acquistato. La moda italiana è per materie prime, progettazione, costo del lavoro, visione estetica, quindi, sotto ogni aspetto, di livello superiore. I consigli d’amministrazione sono all’estero ma il genio e la manodopera sono qui. Inamovibili.

Qual è in un concetto il valore aggiunto della moda italiana?


In un unico concetto, direi la capacità di conciliare la bellezza con la portabilità. Ma la nostra moda è molto di più. Non ci sarebbe la storia della Moda, senza noi italiani.

E allora, addentriamoci all’interno del Mito: Giorgio Armani è entrato nella Storia della Moda grazie al tailleur da donna; Missoni per i filati; Roberto Capucci, per gli abiti-scultura; Valentino, ha addirittura un colore, il suo “rosso Valentino”, per cosa deve essere ricordato Franco Ciambella?

Sono Franco Ciambella, di professione fashion designer (sorride. N.d.r.). Vorrei essere ricordato per la leggerezza degli abiti e per la dimensione da sogno. Ogni mia creazione deve offrire alla donna che la indossa l’opportunità di e, mergere al di fuori di se stessa. Concepisco i miei abiti attingendo al surrealismo, si pensi ai miei fiori, mi sposto evocativamente su un piano onirico, le mie, sono creazioni intrise di una matrice romantica e di una sensualità non gratuita. Nella mia concezione tutto è sospeso tra realtà e sogno.

Chi è la donna che veste Ciambella?


Non ho mai visto la donna monotematicamente sotto una sola luce. La mia donna è plurale: fata, strega, amante, madre. La natura è colma di sfaccettature, io tento di enfatizzarla.


Labito come messaggio…

Qualcosa del genere. Labito è una narrazione, quindi all’essenza è pura comunicazione. E questo vale quanto più una donna cerca qualcosa di specifico. Le donne vogliono essere vestite, non travestite. Se sono vestite da me, concedimi il termine “ad hoc”, scoprono lati che non immaginavano di avere.

La tua è una riuscita combinazione tra creatività e visione manageriale. Attualmente disegni la prima linea, Franco Ciambella e Via Veneto, mirata per il canale tematico HSE24.

Il nostro mestiere si è evoluto. Conoscere il marketing può essere determinante. Naturalmente sono e resto un designer, un artigiano che divide la sua produzione tra l’alta moda sartoriale, l’abito da cerimonia, il red carpet e la sposa. Ma allo stesso tempo m’incuriosiscono i nuovi linguaggi, le opportunità offerte dalla moltiplicazione dei mezzi di comunicazione. In questa ottica ho dato vita a Via Veneto. Un prêt-à-porter di classe e portabilità distribuito su viavenetofrancociambella.it.

Parallelamente allo stilismo ti occupi d’insegnamento…


Esatto. Sono docente allABAV Accademia di Belle Arti Lorenzo da Viterbo. Ho degli ottimi studenti. La formazione mi entusiasma. Siamo stati tutti studenti prima di diventare professionisti. Restituisci quello che ti è stato insegnato. Ci aggiungi la tua esperienza. Curo un corso di ambientazione moda. La contaminazione è la cifra di questa epoca. Tra linguaggi concomitanti, tra le professioni…


Torniamo alla storia della moda. Si procede per ondate. Ad un certo punto vengono fuori gli avanguardisti francesi con Gaultier, Mugler, La Croix; gli inglesi: Hamnet, Paul Smith, Simultaneous e i nostri Calugi & Giannelli, Cavallini, Gigli. Poi è il turno degli americani: Klein, DKNY, Hilfiger, esplodono i tedeschi Lang, Boss, Jill Sander prima ancora, a cavalllo tra gli anni settanta e ottanta i giapponesi Yohji Yamamoto, Matsuda, Comme Des Garçons col loro nero assoluto…

Ecco, finalmente uno che contestualizza! I Giapponesi si affacciarono portando il loro rigore il loro senso della decadenza. Fu quasi uno shock culturale. La severità delle linee di Miyake e Yamamoto era del tutto estranea alla concezione estetizzante occidentale. Loro hanno conosciuto la devastazione dell’atomo e la indossavano. Trasferivano la loro esperienza unica e auguriamoci, irripetibile. La moda va di pari passo con la storia dell’umanità. Ma come in diversi altri ambiti, erano più avanti di molti, infatti ancora oggi ci si veste così. Tutto lo street wear attuale lo hanno inventato loro.


Già che ci siamo: questo dilatato ritorno degli anni ottanta, che travalicandone i confini va dalla moda alla musica, al cinema è mera imitazione o aggiunge qualcosa di rilevante alla narrazione di quel decennio?


Secondo me coincide con un presente incerto. E ne è corroborato. Un sistema in transizione. Gli anni 80 con il loro edonismo rappresentano per una categoria di persone un’idea edonistica di fuga... quanto al resto.

Ed è numericamente più consistente, attende e pensa a qualcosa di più sostenibile e a dimensione reale. Nuovi modelli di consumo. Poi c’è il lusso. Ma quello resta tale e forse meno aspirazionale.


La Moda e l’artigianato sono voci rilevantissime del nostro pil, eppure siete costantemente preda. Lo Stato che misure ha messo in campo a protezione del settore?


Purtroppo nulla. Il sistema Italia non ha fatto nulla per tutelare l’artigianato. Per esempio, andrebbe rivisto il costo del lavoro. A monte è un fatto di percezione. Il governo non lo vedi mai. Non è presente. L’Eliseo è in prima fila ai défilé francesi. Quella presenza è una rappresentazione plastica del valore che la Francia riconosce alla moda. Il covid ci sta costringendo a rivederci, a ripensarci. Sto utilizzando questa fase storica per la creazione di nuove opportunità. Ma ognuno di noi lo sta facendo da solo.


Dove s’immagina Franco Ciambella tra vent’anni? Cosa farà?


Tra vent’anni?( ride), mi auguro di stare a riposo. Godendomi i frutti del mio lavoro. L’affetto delle persone a cui voglio bene e dedicandomi alle cose che mi piacciono.


Grazie, Franco. E auguri per un ottimo 2021!


Grazie a te! E auguri a te e anche ai lettori!

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