
Nel maggio 1963 Stan Lee e Jack Kirby, ormai un team rodato, decisero che alla nascente Marvel mancava un fumetto di guerra. Esatto. A quei tempi esistevano i fumetti di guerra, o meglio continuavano ad essere pubblicati i fumetti di guerra. I war comics erano un genere di successo fin dalla seconda guerra mondiale. In quel caso però l’evento della guerra era stato talmente totalizzante da debordare in ogni genere di fumetto, cosa che aveva portato i vari super eroi a confrontarsi con nemici legati più o meno esplicitamente all’Asse, o quantomeno a fiancheggiatori (la cosiddetta Quinta Colonna). A partire dal secondo dopoguerra il fumetto di guerra si consolidò e divenne un genere a se stante. Questo sia nelle strisce (Steve Canyon, forse il personaggio delle strip più emblematico del genere debuttò nel 1947) che nei comic book. Le potenzialità narrative del genere permettevano che al suo interno coesistessero storie smaccatamente autocelebrative dell’esercito USA, accanto a storie umoristiche sulla vita militare e i primi esempi di riflessione sincera e spietata sula guerra e la violenza insita in essa (Frontline e Two-FIsted Tales della EC Comics). Fu però solo 14 anni dopo la fine della seconda guerra che nacque il personaggio simbolo della golden age dei war comics USA: il sergente Rock. Franklin John Rock è un personaggio creato dallo sceneggiatore Robert Kanigher e dal disegnato Joe Kubert, che esordì su Our Army At War #83 (giugno 1959). Rock è un sergente che comanda la Easy Company nella seconda guerra mondiale, e durante sua vita editoriale ha percorso tutto lo scenario bellico di quel conflitto. Le storie del sergente Rock non erano un successo pari a quello dei super eroi in casa DC Comics, ma riuscivano a colpire un pubblico più adulto, e quindi erano perfette per formare un’offerta editoriale che andasse oltre l’adolescenza. Se leggere i super eroi era roba da ragazzini, le storie di guerra crude e realistiche di Kanigher e degli altri autori erano perfette per gli studenti dei college, che vi trovavano un realismo assente altrove. Il punto cruciale era che i war comics colmavano un tassello molto importante in una strategia editoriale mirata a colpire le varie fasce di età. Quindi se andava bene per la DC Comics, avrebbe funzionato anche per la nascente Marvel.

Timing is everything
La serie di Lee e Kirby Sgt.Fury and his Howling Commandos debutta a maggio 1963. Il CIvil Right Act viene firmato d Lyndon Johnson nel 1965. Gli USA in cui viene pubblicato il primo numero del sergente Fury sono quindi un paese in cui la segregazione razziale è ancora legge. Un paese in cui il Comic Code, codice di autocensura deciso dalle case editrici di fumetti, imponeva che nessuna storia a fumetti proponesse situazioni, storie, o personaggi che andassero contro la legge federale e/o le leggi dei singoli stati e la facessero franca. Quindi, un paese in cui si potevano sì scrivere a pubblicare storie che ignorassero la segregazione razziale, che ricordiamo non era una condizione nazionale di tutti e 50 gli stati che componevano gli Usa, ma solo di una parte (la maggioranza, circa 36 su 50), ma dove i distributori che operavano negli stati dove le leggi sostenevano la segregazione razziale potevano legalmenterifiutarsi di distribuirli. Quindi una casa editrice di New York, stato dove non c’erano leggi contro la segregazione razziale, poteva pubblicare una storia che ignorasse la segregazione razziale, ma quell’albo a fumetti non sarebbe mai stato distribuito nei newsstand dell’Alabama, uno stato in cui le leggi invece sostenevano la segregazione razziale. Questo nel 1963. C’era però un settore della società USA dove la segregazione razziale su scala nazionale era superata, o quantomeno si tendeva ad ignorarla.

Paradossalmente non era la scuola o le università, né le chiese. Il settore della società USA più avanzato a livello di superamento della segregazione razziale era l’esercito. E questo non per motivi etici, religiosi, o morali, ma su una base squisitamente pragmatica. Fin dalla prima guerra mondiale i capi dell’esercito Usa si erano resi conto che sarebbe stato stupido non considerare il numero di americani non WASP all’interno delle forze armate. Un esercito è potente se è numeroso, e se dispone di mezzi e uomini. La segregazione razziale se applicata rigidamente impediva a tutti gli americani non bianchi di fare parte dell’esercito, o quantomeno impediva che potessero essere usati come carna da cannone in prima linea. E questo da un punto di vista spietatamente logico era stupido. Quindi nel corso della prima guerra mondiale gli americani non bianchi furono arruolati, limitandoli a ruoli di sussistenza o logistica, poi nella Seconda Guerra mondiale anche alle truppe di colore furono date armi e usate in prima linea. E con la guerra di corea l’integrazione razziale a livello di soldati semplici era un dato di fatto accettato. Non se ne parlava, ma era così. Esisteva la regola non detta per cui da caporale in su il 90% erano solo bianchi, ma soldati di varie etnie coesistevano e combattevano in un regime di non segregazione. Perché diciamo questo? Per far capire che esisteva una separazione tra la società civile del 1963 – segregazionista – e le storie di guerra che raccontavano eventi della seconda guerra mondiale, ambientate all’interno di una società (quella militare dell’esercito USA del 1941-1945) nei fatti non segregazionista. Da qui nasce uno degli aneddoti più interessanti legati all’esordio di Fury e i suoi uomini.

Nella copertina del primo numero vediamo Fury in primo piano, mitra nelle mani che guarda fuori campo verso i nemici presumibilmente davanti a lui. I comprimari, che costituiscono i commandos ululanti sono dietro di lui, posti su vari piani. In fondo, piccolo ma visibile, vediamo un personaggio con una tromba che suona. È Gabe Jones, promettente jazzista di Harlem, arruolatosi per combattere i nazisti. Gabe è un afroamericano, e usando un cliché un po’ goffo ma efficace Lee e Kirby lo caratterizzano come suonatore di tromba, alludendo al jazz, alla musica e a al fatto che “i neri hanno il ritmo nel sangue”. Oggi fa ridere, ma era un modo efficace per caratterizzare il personaggio agli occhi del lettore, come i baffoni e la bombetta di Dum Dum Dugan, che lo definivano come irlandese, o gli altri trucchetti per dare una identità visuale agli altri. Ma nella cover il suonatore di tromba è bianco. Cosa successe? Il grafico incaricato di realizzare la copertina vedendo i personaggi pensò che il colore grigio bruno del trombettista sullo sfondo fosse un errore. Che ci faceva un nero con dei bianchi? E quindi ricolorò Gabe per omogenizzare il colore dei commandos. Quando Lee se ne accorse ormai l’albo era andato in stampa. Anni dopo la Marvel comics ristampò i primi 12 numeri della serie in un volume della collana Marvel Epic Collection e corresse l’errore, ridando a Gabe Jones il suo colore.
Un Fury, due Fury
Il sergente Nick Fury portò avanti le sue storie di guerra dal maggio 1963 fino al dicembre 1981 (numero 167 della serie regolare) che ristampò il numero 1 della serie. Ormai i fumetti di guerra erano una reliquia di altri tempi. I super eroi avevano occupato tutto il campo editoriale Marvel e DC Comics, e generi che prima andavano perla maggiore, come l’horror, il romance, il western, e anche le storie di guerra, erano caduti uno a uno. Gran parte di queste storie sono inedite in Italia, e supponiamo lo resteranno, perché potrebbero interessare solo a super appassionati o completisti Marvel. Qualcosa però si stava muovendo. Sette mesi dopo il debutto del SERGENTE Fury su Fantastic Four 21 (dicembre 1963) arriva il COLONNELLO Fury. Lo stesso personaggio? Stan Lee ci dice di sì, e ufficialmente è così, ma le differenze sono tante quasi (sottolineiamo quasi) al punto da ritenerlo un altro personaggio. Anche qui però bisogna riflettere sulle date. Quando Fury appare è il 1963. La Seconda Guerra Mondiale è finita da 18 anni. Un sottoufficiale di circa 30 anni (maturo per l'esercito, ma in effetti ancora giovane) ne avrebbe avuti 48. Anche nel 1963 era credibile che un militare, tenutosi sempre in forma, potesse continuare ad agire in prima linea. Oltretutto il Fury del 1963 è un colonnello, quindi non tanto un agente di prima linea quanto un dirigente, atletico, ben conservato, ma diciamo vicino ai 50. Quindi più maturo del Fury sergente, e anche più cinico.

Il colonnello Fury è il diretto risultato del successo al botteghino dei film di 007 James Bond, interpretati da Sean Connery che tra il 1962 e il 1965 scatenarono la moda delle super spie (Dr. No 1962, Dalla Russia con amore 1963, Goldfinger 1964, Thunderball 1965). Il Fury introdotto nel Marvel Universe del presente (dell’epoca) non era più un soldato-soldato. Né era una spia come intesa fino a 007. Fumetti dedicati agli agenti segreti (CIA e FBI) erano già esistiti, anche on un moderato successo nei primi anni ’50, ma erano agenti segreti realistici, senza gadget fantascientifici, che combattevano contro il comunismo o le organizzazioni criminali. 007 (soprattutto i film) cambiò tutto. Le spie ora erano super spie con gadget favolosi a propria disposizione, e una casa editrice che si stava proponendo come la forza nuova nei super eroi non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione. Ecco quindi Nick Fury a capo dello S.H.I.E.L.D., un’agenzia di spionaggio USA con legami anche con l’ONU. Il Nick Fury della Seconda guerra Mondiale continuò a vivere avventure fino agli anni ’80, ma nella sua bolla privata, senza contatti col resto dell’universo Marvel. Il Nick Fury super spia invece divenne una presenza fissa nel Marvelverso. Non ebbe mai una collana personale di grande successo, ma è stato sempre il cosiddetto “sesto uomo”, per usare un gergo alla NBA. Era l’elemento da usare per dare un tocco a metà tra il cospirazionista e il pericolo su scala globale. Entrambi i due Fury però condividevano la stessa essenza. Nick Fury era l’eroe che non aveva paura di sporcarsi le mani, quello che otteneva i fatti, al di là delle teorie o delle speculazioni etiche. Colui che proteggeva le brave persone, combattendo i cattivi al loro stesso livello, risolvendo i problemi che i normali super eroi, bloccati da etica e morale, non potevano gestire. QUESTO Nick Fury però, nella sua essenza, non è mai stato amorale o privo di una coscienza. Tutto quel che faceva era per proteggere. Era il protettore nascosto, che aveva rinunciato a una vita normale, per custodire gli innocenti. Anche subendo l’incomprensione e il disprezzo delle anime belle che lo giudicavano dall’alto della loro dirittura morale.

I veri nemici di Nick Fury, che alla fine l’hanno sconfitto.
Oggi Nick Fury nella Marvel del 2023 non è più questo. Due nemici l’hanno sconfitto e distrutto. Il primo è Garth Ennis, l’altro il Marvel Cineverso. Garth Ennis odia molte cose. O meglio, visto che non siamo dentro la sua testa e non possiamo sapere effettivamente cosa provi, dalla sua scrittura emergono alcuni temi precisi: gli USA sono una nazione perversa, guerrafondaia e che dal 1945 in poi ha sempre appoggiato i dittatori; Nick Fury è un uomo che se non combatte e non ha un nemico non ha alcuna ragione di vita. Non è un protettore, ma è un guerrafondaio che gode solo nella guerra; I super eroi sono tutti immaturi e infantili, e una società sana li eliminerebbe come pericolo per tutti. Alla lista aggiungete il disprezzo e lo schifo verso la famiglia reale britannica, ma questo con Nick Fury non c’entra. Nelle due miniserie scritte da Ennis per l’imprint Marvel MAX dedicate a Nick Fury Garth ENnis prende il personaggio e lo riduce a un povero vecchio disilluso, senza motivi per vivere, burattino delle politiche autoritarie degli USA, e agente con cui gli Stati Uniti ha sempre combattuto le forze sane e positive della storia. A dir poco ridicolo è il ritratto che Ennis fa del comandante GIap, teorico dell’esercito Vietcong, spietato tanto quanto Fury, ma presentato da Ennis come un nobile combattente per la libertà, mentre Fury è solo “l’americano che vuole imporre la democrazia con le armi, opprimendo il povero VIet-Nam”. Dopo il trattamento Ennis Fury era ferito a morte. Il colpo finale fu il primo film dei Vendicatori, dove la Marvel scelse di ispirarsi non agli Avengers classici, ma agli Ultimates ossia la versione Ultimate Marvel dei Vendicatori. Nell’universo Ultimate esiste un Nick Fury, ma è nero. Ovviamente nulla contro la scelta – in un universo narrativo DIVERSO dall’originale – di realizzare versioni diverse degli originali. Il problema è stato che grazie al successo del film la Marvel decise di uniformare il Marvelverso originario con quello cinematografico. Quindi fu necessario eliminare il Nick Fury originale, per inserire nell’universo Marvel originale un Nick Fury di colore, così che i milioni di spettatori non rimanessero perplessi se avessero voluto leggere i fumetti. Per questo la Marvel ideò una trama a dir poco risibile in cui un figlio segreto di Nick Fury, oltretutto di colore, emerge dallo sfondo e assume il posto del padre. E il Nick Fury originale? Per non perdere i diritti sul personaggio (non si sa mai, potrebbe tornare buono…) è rimasto nel l’universo Marvel, ma totalmente stravolto. Non è più una spia, non è più assertivo. Non è più in controllo. È diventato un burattino di entità cosmiche, e rimane nell’ombra nei panni dell’Unseen.
Conclusione
Nick Fury è, tra i personaggi classici della Marvel, forse la vittima del tradimento più grande, e rispecchia il disprezzo verso le proprie radici che ormai è la norma della società USA. Nick Fury era un soldato fiero di difendere il suo paese? Lo trasformiamo in un guerrafondaio senza ideali, anziano e depresso. Nick Fury era la super spia che proteggeva il mondo libero? Lo trasformiamo in un burattino, che può solo osservare e non agire, e al suo posto ci mettiamo un Nick Fury cattivo, cinico, corrotto, che non difende il mondo libero, ma solo gli interessi degli USA, perché lo sappiamo tutti che “chi fa la spia non è figlio di Maria, non è figlio di Gesù e quando muore va laggiù”. Povero Fury. Sei sopravvissuto all’Hydra, al Seminatore di Odio, al Barone Stucker, all’AIM per essere sfregiato e disprezzato da un pubblico imbelle fatto da milioni di cloni di Napalm51.
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