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Sergio Collacchioni

Profumo di cous cous, il divertente e speziato amarcord di Maria Letizia Sercia

Aggiornamento: 7 gen 2022

La comunità italiana che si instaurò in Tunisia fin da tempi antichi è un piccolo interessante evento nella storia nostrana. Già ai primi dell' Ottocento si rifugiarono nella nazione nord africana molti esuli italiani in seguito ai moti rivoluzionari e a partire dall'Unità d'Italia poi vi si registrò una notevole emigrazione soprattutto dalla Sicilia che portò la comunità italiana in quel Paese ad essere la componente europea più numerosa.

Gli accordi del 1868 concedettero agli italiani di Tunisia molti privilegi e immunità in materia civile, commerciale e giudiziaria. L'uguaglianza civile assicurava agli italo-tunisini la libertà di commercio e un vero e proprio privilegio d'extraterritorialità per i loro stabilimenti. Tutto ciò alimentava le speranze colonialistiche del Regno d' Italia nei confronti del Paese nord africano.


Quando i francesi con il cosiddetto” Schiaffo di Tunisi” nel 1881 stabilirono il protettorato sulla Tunisia, iniziò un periodo di graduale - ed anche forzata - assimilazione degli italo-tunisini la cui presenza nella realtà sociale economica e culturale era però tale da considerare quel paese una “colonia italiana amministrata da funzionari francesi".


Le aspirazioni italiane sulla Tunisia non cessarono di colpo e ciò costituiva un pericolo per la Francia che sferrò numerosi attacchi alla comunità italo-tunisina nei decenni successivi.

Le stesse opere pubbliche volute dai francesi però attirarono nuova mano d'opera proprio dall'Italia incrementando quella presenza che ormai si era strutturata in vera e propria comunità e contribuiva, nonostante le difficoltà imposte dalla Francia, all' economia e alla cultura della società tunisina, costruendo anche scuole e ospedali, creando banche, organizzazioni assistenziali e giornali.

Quando nel novembre del 42 le forze dell'Asse occuparono la Tunisia alcuni fedeli al fascismo si organizzarono per combattere contro gli Alleati ma la vittoria di quest'ultimi nel maggio 1943 segnò l'inizio della crisi della comunità italiana: i francesi di De Gaulle chiusero scuole e giornali italiani. Negli anni cinquanta poi la Tunisia si affrancò dalla Francia e gli stranieri furono costretti ad una emigrazione in massa. La comunità italiana cominciò a decrescere fino a contare oggi poche migliaia.


Maria Letizia Sercia, l'autrice di Profumo di cous cous (Profondo Rosso per la collana Orizzonti del fantastico) è figlia di italiani di Tunisi che hanno deciso di lasciare quel paese per tornare nella terra d'origine dei propri avi. Nata a Roma non ha mai vissuto direttamente l'ambiente italo-tunisino, ma ne ha respirato l'essenza fin dall' infanzia condividendone le tradizioni e le abitudini.


Il pregio di questo libro è di trasportarci in un clima di spensieratezza e innocenza. Con brevi e decise pennellate l' autrice dipinge il quadro di un infanzia e un adolescenza di tre bambine (la stessa autrice e le sorelle) che crescono in un ambiente piccolo borghese tranquillo e sereno nello sfondo, la Roma dei primi anni sessanta.


Il racconto è punteggiato dai momenti salienti della storia di famiglia e dalle esperienze di bambini che crescono: gli affetti, le feste, la comunione, i viaggi. Un “amarcord” in un atmosfera domestica e familiare fatta di pastarelle domenicali, cucina casareccia, soprattutto della nonna, di feste in casa tra parenti e amici, di primi amori ancora ingenui e infantili. Il tema dominante e quello dell' incontro di due culture simili ma sfalsate da una distanza spaziale repentinamente e forzatamente annullata da un evento politico. Il cous cous è emblematicamente la rappresentazione di questo divario. Se il cibo è cultura ne è anche fattore di identificazione. Dove da una parte si consumano tagliatelle e lasagne dall'altra questo piatto di semola, tipico del Maghreb, contornato di carni e verdure.


La tecnica, inusuale per un romanzo, è caratterizzata da non molti dialoghi e da poca definizione dei caratteri dei personaggi, appena accennati. Il ritmo è spezzato a tratti da un andamento quasi diaristico. Un esperimento che chiamare “romanzo” può sembrare ardito, ma che del romanzo ha tutta la materia anche se si allontana dalla forma.


Un racconto prevalentemente al femminile dove il padre sembra una comparsa che emerge ogni tanto dalle nebbie della sua vita quasi estranea con il suo pacchetto di pastarelle in mano, oppure una figura ieratica di cui si teme il giudizio e la punizione.

La lettura però è facile e gradevole e si arriva alla fine affascinati dall’ atmosfera e dal profumo di cose buone e desiderosi di provarne tutta la piacevolezza.

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