Per Simone Tiribocchi, Caprari gioca contro la Roma col dente avvelenato. Dargli torto, a Caprari, non a Tiribocchi è un esercizio di masochismo dialettico. Perché quando tu vaghi in giro mentre a casa tua nel tuo ruolo si sfoggiano “fenomeni” come Krkić, Falque, Under, Kluivert, Iturbe, Peres, mediterebbe serenamente vendetta persino Abele. E in effetti, Caprari è mite come il fratello vittima di biblica parabola, ma in campo è indemoniato.
Apriamo questo pezzo su di lui, perché la partita tra la Roma e la, a momenti fatal Verona (citiamo Shakespeare non solo per sfoggio di cultura, ma perché il clima da tragedia incombente è drammaticamente sotto gli occhi di tutti), scorre lungo l’asse del vivaio giallorosso. L’ex in predicato di chiamata azzurra dispensa bellezza. Un funambolo dai piedi vellutati e irridenti, che tutto può e tutto fa. Se lui è l’artista, il resto della squadra è un manipolo di bravi, quelli del Manzoni, che vanno a mille, perfettamente orchestrati da Tudor che è tanto sgradevole quando esulta, quanto bravo nel metterli in campo. Per contro quelli della Roma non ci sono proprio in campo. Figurine monodimensionali e patetiche, che come immersi in un’entropia che loro stessi generano, sono incapaci persino delle cose più elementari, compresi i passaggi al compagno a cinque metri. Zero tiri in porta per settanta minuti. Qualcosa in più lo fa Veretout che il dente avvelenato lo ha pure lui ma con Mourinho. Pellegrini fa una fatica mortale ma non molla mai, uno che invece ha mollato già da un po’ è Oliveira. E forse si comincia a comprendere come mai nel Porto non giocasse.
Degli altri non parliamo perché di sangue amaro ne abbiamo avuto abbastanza a anche perché fino ai cambi, almeno quelli Mourinho li indovina, non c’è nulla da dire. Poi entrano due pischelli e il miracolo romanista si concretizza di nuovo. Due furie dai piedi fatati. Prima Volpato, il pupillo di Totti, poi Bove, romano e romanista, raddrizzano la gara. Il gol di Bove è un colpo da fuoriclasse in potenza. Salvifico concentrato di tecnica e astuzia, quello di Volpato è un esempio di riflessi e sangue freddo. Ci sono sedicimila chilometri tra l’Appio Latino e la periferia di Sidney, il sobborgo più lontano sulla faccia del pianeta eppure i due sono romanisti dentro allo stesso modo. Il primo lo è da sempre, scoperto da Bruno Conti, il secondo, d’adozione, grazie all’investitura di Totti. Il vivaio romanista presenta anche un brillante Zalewski, mentre Felix Afena conferma che forse su di lui si sta puntando troppo. La doppietta al Genoa, che rimane un fatto prodigioso, ha sbilanciato i giudizi su questo giovane che ha senza dubbio dei mezzi atletici importanti ma sul piano dei fondamentali è parecchio grezzo. Va comunque osservato che nel complesso, i Primavera vanno al doppio della velocità della prima squadra. Chiosa finale: Karsdorp e Maitland-Niles non valgono Florenzi, una telefonata riconciliante la faremmo. Nell’estate scorsa è stato acquistato Shomurodov e non Scamacca. Appare difficile pensare che con l’intreccio di rapporti tra Sassuolo e Roma non si potesse arrivare a un accordo. Rimaniamo dell’idea che Abraham e Scamacca avrebbero portato la Roma in Champions League. E una bella mano l’avrebbe data a centrocampo anche Frattesi. Grinta e potenza che da giugno saranno invece in forza all’Inter. Rimane il dubbio circa Marchizza e Calabresi, davvero sono inferiori a Ibanez, Mancini e Kumbulla? Il punto è che la Roma ha speso moltissimo e scambiato parecchio, spesso anche a discapito delle gemme casalinghe, ma la qualità è inversamente proporzionale ai costi. Specie se poi ti devono salvare due ragazzini. La riprova è che con Genoa, Sassuolo e Verona sono arrivati 3 punti su 9, e i jolly si stanno esaurendo. Chiosissima: ma Cristante che ha fatto che non gioca nel suo ruolo neppure quando mancano tutti gli attaccanti e trequartisti?
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