L’articolo determinativo è solo una delle novità dell’ennesimo riavvio del Detective su grande schermo. Messo da Bob Kane, in quel lontano 1939, per rafforzare il concetto (il nome era The Bat-Man), si è poi perso ma torna ora in quest’opera di sintesi.
“La paura è uno strumento. I criminali sono convinti che mi nasconda nell’ ombra. Ma si sbagliano. Io sono l’ombra!”
Questo è un postulato, una dichiarazione d’intenti, la visione definitiva. Un pipistrello incombe sui delinquenti nelle notti di Gotham. Da due anni, colpisce senza preavviso né pietà. I criminali si tengono alla larga dalle zone poco illuminate. L’ombra si estende, gli inghiotte. E quando si ritira, sono stati riempiti di botte e consegnati alla giustizia.
Non è un film sulle origini, la leggenda non va spiegata. È un qui e ora in cui il famigerato Batman è insieme, una minaccia, una certezza e un mistero.
Assieme al suo consacrarsi alla vendetta, il Batman di Matt Reeves offre un cambio di prospettiva. Non è un Crociato come quello di Nolan, non è lo stanco e maturo veterano di Snyder, e neppure l’eccentrico è improbabile Cavaliere Oscuro in una dimensione freak-gotica di Burton, e neppure un ordinario playboy filantropo che nella protezione offerta dall’oscurità, opera in modo straordinario come quello del lisergico Joel Schumacher.
E grazie al cielo, non è il gonzo di Justice Ligue. Il Batman di Matt Reeves è un vendicatore.
Fugando lo spoiler, diremo quanto basta per addentrarci in questa nuova pagina tra cinema e fumetto affidata a Robert Pattinson. Una scelta in qualche modo filologica, Kane pensò al suo personaggio come una combinazione tra Zorro e Dracula, dunque da ex vampiro a uomo pipistrello in percorso è quasi naturale. Eppure Pattinson, ha sorpreso. Basta la prima inquadratura per spazzare via lo scetticismo che aveva ammantato la sua scelta peggio della cappa del Cavaliere Oscuro quando cala su un criminale, l’ex livido vampiro romantico è Batman. Più che Bruce Wayne. Un supereroe tormentato ai limiti della sociopatia ma comunque risoluto e implacabile. Bruce tiene tutti alla larga, il suo retaggio è soffocato. Non vuole dirigere gli affari di famiglia finanche col rischio di perderli e rigetta l’affetto di Alfred. Al quale ricorda continuamente che lui non è un Wayne, ma in fondo ogni figlio ferisce il genitore, sa che può farlo.
The Batman è un concentrato di grandi suggestioni. L’incontro con Cat Woman è fatale. Di quelli che ognuno si augura almeno una volta nella vita. Zoe Kravitz, altra attrice che si sta specializzando in cinecomics, l’abbiamo già ammirata in X-Men First class, è semplicemente perfetta. La forzatura del cambio da bianca a nera passa in subordine rispetto all’assoluta aderenza col personaggio. Riesce a essere sinuosa come il felino di cui porta il nome e sensuale ma simultaneamente dolcissima. Pericolosa e fragile al tempo stesso. L’alchimia col pipistrello giustiziere è perfetta.
Alcune sequenze devono entrare di diritto nella storia del cinema. Pensiamo, per dirne una, all’inseguimento a bordo di una Batmobile restituita (come del resto aveva già fatto Snyder) al suo mistero. Sequenza che è un momento grandioso di cinema action di stampo automobilistico. Siamo più dalle parti di Bullit (di cui Spielberg girerà un rifacimento), che non di Fast and Furious, nell’altra auto c’è un irriconoscibile Colin Farrell, nei panni del Pinguino. Nei panni, si fa per dire, dell’iconografia del super criminale rimane ben poco. Questo è solo un gangster doppiogiochista, che comunque Farrell rende sufficientemente credibile.
Per l’Enigmista vale un discorso analogo, a partire dal costume malinconicamente cheap. Reeves si attesta a metà strada tra Nolan e Snyder. S’inserisce nel processo di “normalizzazione “ del primo, spogliando i villain del personale carico di sense of wonder ma almeno, sulle tracce di Snyder, restituisce a Batman il suo mistero. Il costume è un costume e non una corazza per super soldati combinata con le uniformi Ninjadella Lega degli Assassini e la Batmobile è un’auto avveniristica e non un prototipo militare. Il realismo a tutti costi genera un cortocircuito che rende quasi paradossalmente fuori posto l’iperbole del supereroe. Un uomo in costume ha senso solo se i suoi nemici condividono la stessa dimensione di super-reale più che surreale. Nessun bastone animato per l’Enigmista, solo omicidi seriali per vendetta. Una vendetta che lo ricongiunge perversamente al Crociato Nero. Mentre ci si lascia guidare nei labirintici percorsi di una Gotham buia, decadente, sommersa da una pioggia che non cessa mai, sulle tracce di un serial killer, una sensazione si insinua. Si fa largo un poco alla volta fino a sovrapporsi alla visione stessa: sembra di assistere contemporaneamente a due film, sotto una pioggia che ha un retrogusto biblico, un assassino, disseminando indizi, persegue un suo disegno omicida e due uomini gli danno la caccia. Uno è giovane, l’altro è anziano. Un bianco e un nero. Seven aleggia su The Batman quasi compenetrandocisi. Più metacinema che citazione, ma nella simbiosi, The Batman perde il parallelismo: Jeffrey Wright non è Morgan Freeman. Ecco, se c’è una nota dolente in questo eccellente riavvio è il cast formato per inclusione. Se la soluzione Kravitz-Cat Woman funziona, lo stesso non si può dire per Jeffrey Wright. Specie se deve reggere il confronto con un eccellente Gary Oldman che lo ha preceduto nella trilogia di Nolan. Ma al di là della resa poco convincente, ci si chiede quale sia la motivazione. Alle due riscritture “corrette” si aggiunge il personaggio inedito del sindaco Bella Réal, interpretato da Jayme Lawson. Tre eroici personaggi di colore. Il Black Live Matter sta dando i suoi frutti, le parti aumentano considerevolmente, quasi a discapito, sembrerebbe, delle altre minoranze. In un cast enorme non c’è spazio neppure per un asiatico, di nativi americani neanche a parlarne e agli italoamericani sono riservati solo i ruoli dei cattivi. I soliti Maroni e Falcone.
Se l’attualità irrompe in The Batman, vale la pena di osservare come il film sia sospeso su un registro noir che attinge alle primissime storie, quelle in cui il Cavaliere Oscuro era un giustiziere spietato che sovente dispensava morte.
Le scene d’azione, seppure avvolte in un’oscurità che sembra quasi voler dire” Al diavolo i super-eroi inscatolati di Netflix! Se volete vederle, schiodate dal divano e andate al cinema!”, sono ottime, come le battute taglienti di Batman. Che in bocca ad altri suonerebbero come spacconate ma pronunciate da lui, sono piuttosto, delle sentenze. Cadenzate da indovinelli e depistaggi, le tre ore di film si snodano attraverso innumerevoli vicoli ciechi, ma la verità è lì, davanti agli occhi del Detective: un intreccio a metà strada tra feuilleton e soap opera, di risentimenti tra consanguinei, e malaffare che coinvolge anche Thomas Wayne.
Il film, seppure completamente slegato per continuity dagli altri progetti DC, di fatto si ricongiunge a Joker. Anche qui, c’è quell’irrisolto e persistente problema tra genitori e figli, anche qui, non si lesinano le macchie tra coloro che dovrebbero essere esempio di virtù. La cospirazione ordita dall’Enigmista sa un po’ troppo di deja vù, ma tutto sommato è un problema secondario, in fondo è solo l’espediente per portare un po’ di luce nella tenebra di Vendetta. Tant’è che il Crociato riuscirà, nel finale, a trovare un collegamento emotivo coi cittadini che fa di tutto per proteggere, e questa a conti fatti sarà la sua più grande vittoria. Mesto e poetico il momento di separarsi da un amore che avrebbe potuto essere. Ma per quello non è ancora è pronto. E comunque, in questo Batman sembra esserci spazio per una sola donna, e si chiama Gotham.
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