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Emmanuele Pilia

ANARCOROMANISMO #1: Juventus-Roma

Aggiornamento: 12 mag 2023

L'Italia intera descrive il tifo romanista come caciarone, sognatore, poetico a volte, ma esagerato e dinamitardo. In una parola, come "anarchico". E allora, da bravo romano e romanista, io me lo rivendico!


Con ANARCOROMANISMO racconteremo il campionato, le coppe e le curiosità riguardanti l'AS Roma da un punto di vista libertario.

Si comincia!


Per i più, il significato profondo del Primo Maggio, ciò che commemora e ciò che ricorda, si è perso nella storia, soffocato com’è dalla propaganda di una politica sempre più dalla parte del capitale. Ma aprire un libro all'indomani di una partita come Juventus-Roma non può non ricordarci qual è il terreno dove entrambi – Primo Maggio e la sfida che andremo a breve a commentare – affondano le loro radici.

Perché in quel primo maggio del 1886, mentre l'intera Europa era in subbuglio tra colpi di Stato, conquiste e battaglie di liberazione, per una volta furono gli ultimi, i diseredati, gli operai e le operaie ad alzare la testa. Marciarono in migliaia, e la polizia rispose col fuoco, come se decine di arbitri in divisa blu che invece di far rispettare le regole che ognuno ha sottoscritto fischia un rigore che non c'è, annulla un goal valido, espelle un sindacalista innocente dal campo.

Morirono e furono incarcerati, ma non si arresero. E contrattaccarono.

Da molti le proteste del Primo Maggio furono considerate una vittoria importante, perché troppe poche ne abbiamo avute, fino ad allora e da allora. Quella vittoria è un evento inciso nella pietra a dimostrare che anche un Dio, il Dio denaro, può essere ferito.

La storia di Juventus-Roma scorre parallela a quella del primo maggio: è infatti la storia di una perenne rivincita.

È la rivincita dell'animo anarchico e vitale del nostro cuore contro un potere che ci vuole domati. È la rivincita contro chi ti dice e cerca di convincerti che nella vita contano sempre e solo le stesse cose, il profitto, il successo, l’utile, le buone relazioni. È la rivincita di chi invece è stanco di essere la vittima sacrificale di un sistema per cui noi, tutte e tutti noi, siamo vuoti a perdere utili solo a legittimare una gerarchia che ha Re e Regine, eretti sulle teste di proletari e contadine. È la rivincita di chi crede che conta più un abbraccio con uno sconosciuto e un cuore pulito, di essere contro tutto e contro il destino, di avere un accento strano e pariodato, che una vittoria di cartone, ottenuta sputando sullo sport e su ciò che rappresenta.

E non importa quante volte hai perso, quante volte nella storia siamo stati licenziati o licenziate per aiutare un fratello o una sorella, quante botte abbiamo preso e quanti goal ci hanno annullato: Roma-Juventus è sempre una rivincita. E se non sei abituato a vincere, quando ti capita che il destino si mette a capricciare e ti sorride, non sai quasi cosa fare, non trovi le parole.


Noi, i tifosi e le tifose, non lo sappiamo. Ma questa volta, per una volta, abbiamo un esercito di opplidi che un Dio l'hanno ferito davvero, pochi mesi fa, che una vittoria l'hanno ottenuta (ironia del destino, proprio a maggio), che seguendo gli insegnamenti di Kropotkin hanno capito che solo attraverso il mutuo aiuto questa volta le Termopoli le potremo difendere.

E non importa se alcuni soldati hanno vestito la maglia del nemico, se i vecchi compagni ora li guardano come traditori: ora, l’unica cosa che importa, è dimostrare il proprio valore.

Sono le 18.30. Il sole è ancora alto in cielo.

I due eserciti sono schierati.

Entrambi hanno feriti e assenze importanti.

Entrambi hanno ammiragli che devono dimostrare qualcosa.

Fischio d'inizio: inizia Roma-Juve.

Passa un minuto, un solo dannato minuto in cui le aspettative, i sogni e le illusioni dei ribelli si infrangono contro la realtà.

Comincia la Roma, Spinazzola, proprio uno degli ex, sbaglia un passaggio centrale. Il giovane Miretti, la vera sorpresa di questa partita, recupera la palla, che arriva tra i piedi di Cuadraro, atterrato da Matic.

Si sa, durante gli scontri solo una parte della barricata è legittimata all’uso della violenza. Dopotutto, uno dei pilastri della teoria anarchica si basa proprio sulla denuncia del “monopolio della violenza”. Ci hai mai pensato? Solo alcuni individui, protetti per questo, possono compiere azioni violente. Evidentemente, Matic non fa parte di questo club esclusivo, e così viene sanzionato. E con lui, la sua intera brigata.

Neppure il più disilluso dei tifosi avrebbe immaginato un avvio così spregevole: tutto questo avviene in circa 60 secondi. 60 secondi in cui viene anche deciso quale sarà il boia alla forca. È Vlahovic. La barriera è schierata, con capitan Pellegrini steso a terra per evitare che un tiro rasoterra possa beffare il nostro estremo guardiano. Vlahovic si allontana di qualche passo. C’è disordine in area. Abbassa il torace, avvia i suoi passi. Uno, due, tre… Goal.

Il primo colpo lo riceviamo noi, in modo quasi naturale, come se fosse scritto che il nostro destino è quello di ricevere manganellate.

Per la prima volta, in questa stagione, la porta difesa così stoicamente da Rui Patricio viene violata in modo inaspettato.

Lo shock per la squadra è visibile: i minuti successivi sono un continuo assalto. Sembra che delle camionette si siano appostate fuori dal nostro centrocampo per evitare che il corteo di calciatori della As Roma potesse uscire dal cordone di sicurezza allestito dal reparto celere.

Il copione si svolge pressappoco in modo simile per 25’, con molti errori da parte nostra e molto dinamismo da parte loro.

Al minuto numero venticinque, accade un miracolo.

Da una ripartenza della Juve, Vlahovic contrasta con Cristante, scarica su Cuadraro, il quale tocca al limite per Locatelli che fa partire un destro teso di prima imparabile per Rui Patricio. Il cuore di ogni tifoso giallorosso si è fermato per un istante. Lo so, sono uno di loro. 2-0. Le poche reazioni giallorosse affondate nei fatti e nello spirito. Ma attenzione, che succede? Irrati si dirige verso lo schermo del VAR. Pochi ma interminabili secondi si susseguono con pesanti rintocchi. Irrati, l’uomo di cui noi tutti avevamo paura, ci grazia: nel controllo da cui l’intera azione è partita, Vlahovic ha toccato la sfera con un braccio. Ci guardiamo increduli: non è finita.

Ma non c’è da abbassare la guardia: la lista dei nostri errori e quella delle loro occasioni si fa sempre più lunga, come quella del 34’: Kostic serve Vlahovic che è al limite dell’area, dietro ha Smalling che lo anticipa. Punizione. Il replay in tv mostrerà che l’intervento era regolare, pulito, da vero professionista: Smalling allunga il piede proprio un istante prima che arrivasse a quello dell’attaccante avversario, e la palla va a finire sotto il suo corpo. Un altro colpetto, e… hop! La palla va ai piedi di un compagno. Ma questa volta Irrati vede un fallo che non c’è. A sua difesa, era quasi impossibile vederlo: Smalling ha peccato in bravura, e neppure Alexandre Jacob, l’uomo che ha ispirato il personaggio di Lupin, avrebbe potuto fare un borseggio tanto pulito.

Un’altra punizione, un’altra palpitazione. Proprio da una punizione Vlahovic è già stato micidiale. Ma batte Cuadraro: rasoterra, centrale ma insidioso. Rui Patricio si accorcia sulla sfera. Ancora salvi.

Il resto del primo tempo è una storia di azioni bianconere e tentativi falliti dei nostri eroi rossi, il colore che tanto abbiamo amato ad amare, su bandiere, maglie e monumenti.

L’assalto non fa ulteriori vittime, e le trincee in qualche modo riescono a resistere, con addirittura un timido tentativo di testa di Cristante su calcio d’angolo sul finire del primo tempo.

Si torna negli spogliatoi. Possiamo solo immaginare cosa avrà detto Mourinho ai suoi. Gli avrà rimproverato i troppi errori? O l’eccessiva timidezza? Avrà recitato un discorso motivazionale o sarà stato freddo o gelido? Avrà chiesto ai suoi di compattarsi come dietro un cordone? Nel dopopartita, Mourinho rivelerà che si è limitato a dire ai suoi che si stava vergognando di loro, che erano addirittura fortunati a perdere solo con un goal di scarto. Ma saranno state queste le sole cose che Mourinho avrà detto ai suoi?

Qualsiasi cosa Mourinho abbia detto, noi non possiamo saperlo, e mai lo sappiamo. Ma alla ripresa, succedono due cose. Primo: la Roma scende in campo con un nuovo assetto, complice due cambi che rimescolano difesa, centrocampo e attacco. Secondo: cambia l’atteggiamento. Quelle tre camionette che ci eravamo immaginate parcheggiate a centrocampo, ora possono – devono! – essere assaltate, date alle fiamme, speronate.

I cambi sono provvidenziali: Spinazzola e Mancini sono spinti a fare spazio a Zalewski ed El Shaarawy, aumentando in modo significativo il potenziale offensivo. Si passa così da tre a due centrali in difesa, a fasce più veloci e a una densità in attacco finora inedita in questa stagione.

Mourinho schiera tutti i suoi assi a disposizione, o almeno quelli risparmiati da un fato cieco e infame che ne ha fatti fuori in troppi finora. Ma mentre il calciomercato ci sta facendo sognare con i nuovi calciatori già arrivati, e quelli che sono in dirittura di arrivo, in molti si sono dimenticati di un altro campione che tanta gioia ha regalato ai suoi colori.

I primi minuti vedono un copione già visto, con molti errori in fase di impostazione da parte della Roma e un maggior dinamismo da parte dei giocatori guidati da Allegri. Ma qualcosa è cambiato: i nostri ci credono di più, sono più aggressivi, si accorciano meglio, sono più compatti.

Mourinho ci ha visto bene: saranno proprio i due nuovi ingressi a cambiare il volto alla partita.

I frutti di questo cambiamento si iniziano a raccogliere al 65’, con la prima chiara occasione da goal della partita per la Roma: El Shaarawy prolunga in area per Abraham che stoppa di ginocchio, e in girata impegna Szczesny in una non facilissima parata.

Al 69’, è Zalewski a scatenare l’azione: alza la testa, prova il traversone, ma De Sciglio lo devia. Calcio d’angolo.

Batte Pellegrini. Sul secondo palo Dybala con un’acrobazia evita che la palla vada direttamente sul fondo. Questa è una partita che si porterà tanti segreti con sé: non sapremo mai se Dybala abbia visto con la coda dell’occhio Abraham, nascosto in una gabbia di avversari, oppure se il tentativo era fortuito. Fatto sta che il bomber giallorosso alza la sua bionda cresta innalzandosi su quella dei suoi avversari. Come un demone che sfugge all’oscuro abisso, Abraham si alza e incorna in rete.

Pareggio.

Allora Dio può essere davvero ferito! Allora tutte le battaglie, gli sforzi, i sacrifici possono portare a qualcosa! A volte ci scoraggiamo che un boicottaggio non possa portare a niente, ma forse, se uniamo le forze…

Il goal di Abraham è la dimostrazione che nonostante la soverchiante superiorità di un sistema che sembra condizionare ogni cosa che ci circonda, nonostante le mille telecamere, nonostante uno Stato sempre più brutale, l’assalto al potere può essere condotto. E forse, ce la faremo a farlo tremare, per una volta!

Cambia l’atteggiamento. Ora sulle nostre ali soffia il vento dell’entusiasmo, ed è sullo sviluppo di un altro calcio d’angolo che il palazzo rischia di crollare.

La mischia in area è simile a quella di una carica non provocata. Ancora Pellegrini dal corner, Ibanez in qualche modo spinge la palla che lentamente si dirige verso la porta. Le guardie della Juventus sembrano quasi ipnotizzate dalla sfera di gioco, mentre si avvicina sempre più la linea. Tratteniamo il fiato. Sono tutti immobili, ma è l’ultimo arrivato sul libro paga di Agnelli a salvare la situazione, Milik, respingendo quasi sulla linea una palla che era riuscita a congelare un attimo.

Negli ultimi minuti la confusione aumenta, così come la stanchezza.

La Juventus tenta un ultimo assalto, ma la barricata resiste alle bombarde.

Triplice fischio. È finita.

Questo pareggio è una prova d’orgoglio notevole da parte di una squadra che è stata capace di schierare contemporaneamente 11 leader e 11 gregari, capaci di stringersi a sostegno l’uno dell’altro. Ho già citato Kropotkin e il suo Il mutuo aiuto. È proprio Kropotkin a suggerire che in natura, così come nel calcio aggiungo io, cooperare funzioni meglio di competere. Ed è proprio questo – oltre ai nuovi acquisti, oltre a una rinnovata coscienza dei propri mezzi, oltre all’entusiasmo del proprio tifo, oltre a un Mourinho finalmente ritrovato – a rappresentare la qualità aggiunta di questa Roma 2022-2023: la capacità di lavorare assieme a un obiettivo comune.

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Juventus-Roma: 1-1 (1’ Vlahovic; 69’ Abraham).

Juventus (4-3-3): Szczesny; De Sciglio, Danilo, Bremer, Alex Sandro; Locatelli, Rabiot, Miretti; Cuadrado, Vlahovic, Kostic. Allenatore: Allegri.

Roma (3-4-2-1): Rui Patricio; Mancini, Smalling, Ibanez; Karsdorp, Cristante, Matic, Spinazzola; Pellegrini, Dybala; Abraham. Allenatore: Mourinho.

Migliori in campo: Zalewski, El Shaarawy.

Peggiori in campo: Cristante, Spinazzola.

Libri consigliati: Storia del primo maggio, di M. Massara, C. Schirinzi, M. Sioli; Il mutuo appoggio, di P. Kropotkin; Abbasso le prigioni, tutte le prigioni!, di A. Jacob.


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