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Cronaca di una semifinale tra sogno e incubo

Il risultato è da disfatta epocale. Se uno non avesse visto la partita sarebbe portato a pensare che la Roma non l’abbia proprio giocata e invece ha persino dominato. Per un tempo. Poi si è smarrita nella tenebra che lei stessa ha alimentato. Lei, più un rigore che non c’era e tre infortuni durante i primi quarantacinque minuti che l’hanno condizionata, fatalmente.

Riavvolgendo il nastro balza chiaramente agli occhi come la concatenazione di cause e effetti abbiano prodotto un risultato che mortifica oltre misura la prestazione e con essa, gli orizzonti di gloria dei giallorossi. La partita di Veretout termina ancor prima di cominciare. Al suo posto entra Villar. E qui c’è il primo snodo. Per quanto non sia possibile dire che apporto avrebbe dato il francese, si può affermare senza alcun dubbio che lo spagnolo, al netto del passaggio a Karsdorp che porterà al rigore, non sia stato all’altezza del tenore del match. Anche il cambio Pau Lopez Mirante è stato peggiorativo ma dove la Roma ha perso tantissimo è nell’abbandono di Spinazzola. Come avevamo supposto, il terzino-ala giallorosso è stato una costante minaccia per il Manchester United. Emblematico è il secondo gol della Roma, quello del vantaggio. Tuttavia esce presto di scena, maledettamente troppo presto, a ciò aggiungiamo che al suo posto entra Bruno Peres, la differenza è incommentabile. Si era chiesto ai tre attaccanti della Roma di essere risolutivi e lo sono stati. Per un tempo. Pellegrini, Dzeko e Mikhitaryan si sono presi la scena e hanno fatto sognare. Pellegrini ha confermato di essere un prim’attore. Oltre al rigore inventa giocate che combinano eleganza, efficacia e intelligenza, come quella dell’assist per Dzeko. Un’azione splendida in cui Spinazzola passa al genio armeno che crea per Pellegrini che appunto, manda in rete il centroavanti bosniaco. Ma il passaggio da sogno a incubo e fin troppo breve. Quanto l’intervallo tra primo e secondo tempo. Il tunnel che porta al campo da gioco lo imboccano due squadre ma ne emerge solo una. S’intuisce subito quale sarà il registro del secondo tempo, anche perché la Roma gioca alta. Troppo. Non pensa a difendere. E quando ci prova sono disastri. Cristante, Ibanez, Diawara e incredibilmente, Smalling, non ne indovinano una. Diawara è irritante per la “capacità” unica di perdere i palloni. Ibanez salva e sbaglia con estenuante simmetria. L’inglese rimbalza tra Pogba e Bruno Fernandez, e intanto Cavani fa ciò che gli riesce meglio: seminare il panico e segnare. Il vecchio matador suona per ben due volte la sua ferale canzone e sulla Roma cala inesorabilmente il sipario. Rimontare un verdetto che ha l’amaro sapore di sentenza senza appello è impresa ai limiti del possibile ma alla fine si gioca sempre in undici, il pallone è uno e si segna in due porte. Karsdorp, che ha impiegato quattro anni per diventare quel bel giocatore che anche a Manchester abbiamo ammirato, ha chiarito perfettamente che sono affrontabili. Si è bevuto Shaw ogni volta che ha voluto e ha fatto a pezzi la difesa, miliardaria e vulnerabilissima, del Manchester United. La Roma, ieri ha disputato due gare in una, si studi bene la prima. La guardi e riguardi ancora. Col rientro di Mancini e il recupero di Spinazzola, Pedro e El Shaarawy potrebbe essere tutta un’altra musica. Si guardi mille volte anche il secondo tempo e metta a fuoco dove hanno sbagliato e quali erroracci non ripetere. Si può anche perdere una partita e con essa, l’accesso alla finale, ma non così. Non lasciando il campo per un intero tempo agli avversari.

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