Spinto dalla messa in onda della seconda stagione della serie TV Fondazione (prodotto che sarebbe anche valido, se non avesse voluto proporsi come la trasposizione televisiva del ciclo di Asimov, cosa che non è nella maniera più assoluta), ho riletto i sette romanzi – due prequel, la trilogia originale, e i due sequel – che costituiscono il Ciclo della Fondazione, così come lo ha ideato e scritto Isaac Asimov. Il caso di fondazione è unico nel suo genere. Agli inizi della sua carriera colpito dalla lettura di Il Tramonto dell’Occidente, testo di Oswald Spengler Asimov propose a John W. Campbell, direttore di Astounding, all’epoca forse la rivista di racconti di fantascienza più importante, un’idea: raccontare la storia della caduta di un impero spaziale e i tentativi dell’umanità di dare vita a un nuovo impero. L’idea piacque a Campbell, che aggiunse alcuni dettagli: l’impero era esteso per tutta la galassia, non c’erano alieni, e non c’erano robot. Il progetto partì e alla fine i vari racconti che componevano il ciclo della fondazione vennero raccolti in tre libri, la cosiddetta trilogia della Fondazione: Fondazione (1951), Fondazione e Impero (1952), Seconda Fondazione (1953). Il successo fu immediato. Nel corso della WorldCon del 1966 a Cleveland la trilogia della Fondazione fu eletta da un sondaggio tra i lettori “Migliore serie in assoluto”. Conclusa la trilogia Asimov mise da parte la cosa, e si dedicò ad altro. Poi nel 1982, spunto dalle pressioni e da un anticipo molto generoso della casa editrice, Asimov cedette alle richieste dei lettori, e tornò a scrivere della Fondazione con due nuovi romanzi, successivi alla trilogia originale, L’Orlo della Fondazione (1982) e Fondazione e Terra (1983) ad ora l’ultimo romanzo in senso cronologico interno del ciclo, quello dove la storia si ferma. Il successo dei due sequel (entrambi a lungo nella classifica dei best-seller del New York Times) però non poteva essere ignorato. E così nel 1988 Asimov cedette alla tentazione di tornare nel mondo della fondazione. In effetti la decadenza dell’Impero galattico non era mai stata esplorata fino in fondo, e quindi lo scrittore dedicò le sue energie non ha portare avanti la storia della costruzione del nuovo impero galattico, ma in due piacevoli romanzi che all’inizio sembrano sovvertire tutto quel che conosciamo sulla Fondazione (Preludio alla Fondazione, 1988 e Fondazione Anno Zero, 1993) , ma poi alla fine non fanno altro che ribadire lo status quo, sia pure con un retroterra diverso da quello presentato nella trilogia originale.
La trama del ciclo in estrema sintesi è la seguente: Esiste un impero galattico, esteso per tutta la Galassia. Questo impero domina da 12.000 anni sulla galassia, con altri 8.000 anni precedenti considerati l’era delle esplorazioni. In totale la storia umana abbraccia 20.000 anni, ma si è persa del tutto la memoria della Terra, del fatto che l’umanità vivesse su un unico pianeta, e che ci sia stata una esplorazione graduale dello spazio. Sono 20.000 anni che l’uomo vaga tra i pianeti, esplorando, colonizzando, fondando regni e alla fine l’Impero, e per tutti è sempre stato così. Nel momento del massimo fulgore dell’Impero su Trantor, la capitale dell’Impero, un mondo totalmente urbanizzato e ricoperto di strutture artificiali con 40 miliardi di abitanti, un giovane matematico dichiara di aver intuito i principi della Psicostoria, un modello di elaborazione statistico che permette di prevedere le tendenze future più probabili della società, potendo disporre di un campione numerico abbastanza grande. Hari Seldon, questo è il nome, lascia intendere che l’Impero è destinato a crollare nel giro di pochi decenni, e che lasciata a se stessa l’umanità attraverserà 30.000 di barbarie e tragedie, prima che risorga un altro impero in grado di dare pace e stabilità. Seldon offre un’alternativa: se si costituirà un centro di raccolta del sapere, dopo l’inevitabile caduta dell’Impero, il periodo di travaglio si accorcerà a 1.000 anni.
Il succo è tutto qui. Declino inarrestabile – caduta inevitabile – progetto di salvezza. Il trucco narrativo di Asimov fu quello di ideare vari ostacoli al terzo momento. La caduta era inevitabile. La struttura era ormai troppo compromessa. L’interesse di Asimov era nel periodo di interregno tra il vecchio e il nuovo impero. E se fosse successo qualcosa a mandare all’aria i piani di Seldon? Quando Asimov rimette mano al ciclo prima nei due sequel e poi nei sequel, usa lo stesso impianto: e se succedesse qualcosa che mandasse all’aria il piano di Seldon, domanda che nei prequel si trasforma in e se fosse successo qualcosa a Seldon PRIMA che potesse attuare il suo piano?
Arrivati a questo punto entriamo nella recensione. Giudizio lapidario per chi non ha più tempo: Trilogia originale ancora robusta, e che ha retto bene il passare del tempo. Prequel onesti prodotti di intrattenimento, ancora passabili. Sequel invecchiati male. Entriamo nel dettaglio
Trilogia Originale
Si sente che è stata scritta negli anni ’40, pur con le revisioni operate per la raccolta in volume, e poi per le successive edizioni. Ma è un sapore vintage che non ha perso il gusto. Asimov qui era un giovane scrittore, e l’energia creativa si vede. I tre libri traboccano di idee, e anche se alcuni elementi sono molto stereotipati intuizioni - come l’uso della scienza come religione per controllare le masse -- oggi dopo il Covid sono molto interessanti. Asimov era uno scienziato e aveva una fede cieca nella scienza; quindi, quando lo scrisse negli anni ’40 ovviamente parteggiava per la Fondazione, e il fine giustifica i mezzi. Se i buoni devono ingannare i cattivoni usando la religione, lo facciano. Sono i buoni, e hanno sempre ragione. Ma se i buoni non fossero i buoni? Comunque, la Trilogia Originale si legge ancora d’un fiato. È una fantascienza di dialogo, più che di effetti speciali, di trame, di ingegno, di astuzie e colpi di scena, ma sempre all’interno di una storia. La scrittura di Asimov è molto “parlata”, con lunghi dialoghi, intricati, in cui i personaggi spiegano tutto. Non è lo stile di scrittura del 2023, ma è sicuramente una buona palestra per i lettori.
I due prequel
Nel 1988 come dicevamo, sull’onda lunga del successo di L’Orlo della Fondazione e Fondazione e Terra, Asimov decise di parlare di cosa era successo prima della Fondazione. In un certo senso possiamo dire che i due sequel del 1982 e del 1983 furono una palestra in cui Asimov capì come parlare della Fondazione, ciclo nato e sviluppatosi negli anni ’40, usando linguaggio e costituzione narrativa più in linea con il pubblico degli anni ’80. Il vagare di Hari Seldon per Trantor, pedina di un gioco più grande di lui, colpisce. In pratica Asimov riesce a rendere interessante un romanzo dove sappiamo che non può succedere nulla che modificherà la storia come già la sappiamo, e dove tutte le minacce al protagonista non possono diventare realtà. Ciononostante, strutturando il tutto come una caccia all’uomo che permette di esplorare angoli nascosti di un pianeta immenso come Trantor i due prequel reggono ancora. Soprattutto va detto che qui Asimov non cede alla tentazione di inserire scene di romanticismo o sesso come invece era successo in L’Orlo della Fondazione. Sostanzialmente sia Preludio alla Fondazione, che Fondazione Anno Zero, sono romanzi blandamente avventurosi, che riescono a incuriosire il lettore che già conosce la trilogia originale, e che rimpolpano il retroterra dell’Impero Galattico nel momento del suo crollo. L’elemento più interessante dei due romanzi è il legame tra Robot e Impero, già stabilito da Asimov in Fondazione e Terra, ma qui esplorato a fondo. Un punto interessante è Eto Demezel, consigliere dell’Imperatore che alla fine scopriamo essere del tutto incapace di azioni volutamente perfide o cattive verso gli esseri umani, sia visto dalle masse come un sadico tiranno. Questo, e altri accenni qui e lì nel corso del ciclo, a volte fanno cogliere un atteggiamento molto disincantato, se non sfiduciato, di Asimov verso la democrazia rappresentativa. Tra la democrazia e l’Impero, il governo di molti e il governo di uno - purché capace - Asimov pare pendere verso quest’ultimo, se non altro in nome di una maggiore efficienza.
I sequel
Il discorso per L’Orlo della Fondazione (1982) e Fondazione e Terra (1983) è diverso. Diciamo subito che a nostro parere i libri sono invecchiati male. Anzi tutto in realtà dovremmo parlare di un unico libro, visto i due romanzi sono solo due metà della storia più ampia della ricerca della risposta giusta alla domanda “Visto che il piano di Hari Seldon è andato a gambe all’aria, ora che si fa?”. Il problema è che Asimov prende la Trilogia Originale e cerca di proseguirla, cercando di inserire elementi in sintonia con i lettori degli anni ’80. Un po’ quando negli anni ’90, tutti i gruppi rock storici realizzarono dischi grunge per farsi notare dalle nuove generazioni. Il 99% furono porcate. Asimov che dopo 40 anni di un ben preciso modo di scrittura decide di inserire elementi scollacciati nel suo romanzo, con una ministra di un pianeta che si concede all’eroe del romanzo come diceva Elio “senza addurre motivazioni plausibili” se non quella di un vago controllo mentale da parte di uno dei personaggi “positivi” (e oggi mi chiedo come sarebbe visto questo, istigazione allo stupro?), francamente è più ridicolo che eccitante. Lo spunto iniziale “Siccome le cose vanno bene, allora sono sospettoso perché vanno TROPPO bene”, se è divertente come provocazione da bar difficilmente può essere il motivo per cui governi e forze su scala galattica mettono in moto progetti colossali. I due romanzi degli anni ’80 sono estremamente e fortemente figli del loro tempo. Sono intrisi di cospirazionismo (esistono forze e gruppi di potere che muovono la storia secondo i loro interessi, a prescindere da tutto quello che possa fare il singolo) e propongono come modello da scegliere dell’futuro umano quello di Galaxia, la mente collettiva che abbraccerà tutta la materia della Galassia, vivente e inanimata. Questa idea di Galaxia deriva direttamente dall’Ipotesi Gaia, formulata per la prima volta da James Lovelock nel suo libro del 1979, Gaia. A New Look at life on Earth. Secondo tale ipotesi gli organismi viventi sulla Terra interagiscono con la materia inorganica circostante, per formare un sistema sinergico ed autoregolante che aiuta a mantenere e perpetuare le condizioni per la vita sulla Terra. Esattamente la stessa cosa che accade sul pianeta Gaia, ed estendendo la cosa a tutta la galassia, quello che secondo Asimov dovrebbe essere il futuro per l’umanità. Questo finale, che ci dice che la cosa migliore sia entrare in una comunione mentale con tutti gli esseri viventi, nella quale, se anche si conserverà l’individualità qualsiasi forma di intimità o segretezza personale sarà abolita a favore della conoscenza e comprensione immediata di tutto quel che pensa, prova e sente ognuno da parte della Mente collettiva, francamente è terrificante, e può venire in mente solo a uno scienziato per cui la regolarità e la tranquillità del vivere sociale sono i valori più importanti. Asimov cerca in tutti i modi di non essere didascalico, e usa gran parte del dittico per esporre i pro e i contro della decisione di scegliere come miglior futuro possibile l’UniMente collettiva, ma le sue spiegazioni e giustificazioni risultano poco convincenti. Sicuramente è da lodare il lavoro fatto da Asimov per collegare molti dei suoi romanzi in un unico Mega Ciclo, che parte dall’apparizione dei Robot sulla Terra alla fine del XX secolo, fino a 20.000 anni dopo e alla Fondazione, ma mentre la Trilogia Originale era caldissima, quasi rovente per la creatività e la passione dello scrittore, e i due prequel risultano ancora tiepidi, i due sequel sono gelidi. Esercizi di stile - e cucitura di continuity – che però non coinvolgono. La trama è molto semplice: dopo una serie di avventure Golan Trevize, l’uomo che non sbaglia mai o per meglio dire “Prende sempre la decisione giusta”, si trova di fronte a tre possibilità: dar l’assenso al progetto di imporre un impero Galattico con la forza militare; dare l’assenso al progetto di imporre un Impero Galattico tramite l’azione nascosta di una Cabala di telepati che guidano i governi della galassia; dare l’assenso a Galaxia, il progetto di creazione di una UniMente galattica. Alla fine del primo sequel Trevize sceglie il terzo progetto, e poi passa tutto il secondo sequel a cercare di capire perché l’abbia fatto. Sinceramente alla fine della lettura la domanda resta senza risposta. Probabilmente perché Asimov si era reso conto di essersi ficcato in un vicolo cieco.
Vale la pena leggere il ciclo? Sostanzialmente sì. I primi cinque romanzi (prequel e trilogia originale) ripagano abbondantemente per lo sforzo della lettura. E una volta arrivati lì leggere i sequel è quasi dovuto. Inoltre, se non lo facesse non si saprebbe mai cosa è accaduto a Eto Demerzel, e questo non sarebbe carino.
Comments