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Il re del Crimine marcato Manetti

Aggiornamento: 21 feb 2022

(di Sergio Collacchioni)


Due fasci di luce abbagliante fendono la notte mentre il ruggito di un potente motore rompe il silenzio. Segue il rombo di altri motori, il balenio di luci intermittenti e l'urlo delle sirene. Le auto della polizia di Clerville stanno inseguendo una Jaguar E-type nera che, tra stridore di freni e fischiar di gomme, divora vie e viuzze della città seminando gli agenti. È Diabolik! Il re del crimine si sta dileguando dopo l'ultimo dei suoi fantastici colpi mentre l'ispettore Ginko e la sua squadra tentano disperatamente di agguantarlo.

Si apre così la seconda riduzione cinematografica (la prima fu di Mario Bava del 1968) dedicata, dai Manetti Bros, al personaggio delle sorelle Giussani che vide la luce per la prima volta nel 1962.

Dopo l'incipit di travolgente “action” il ritmo rallenta e, in un’atmosfera di crescente suspence, si incontrano i vari personaggi della storia, quella del 3° numero uscito nel '63, dove per Diabolik si verificano gli eventi che definitivamente delineano il suo personaggio: L' incontro con Eva Kant e il suo primo arresto ad opera dell'ispettore Ginko. L'abile ladro, tentando di appropriarsi del prezioso diamante rosa in possesso di Lady Kant, rimane sedotto e affascinato dalla splendida signora, tanto da coinvolgerla nei suoi propositi criminosi. Dovrà comunque fare i conti con l'ingegnoso piano messo a punto dall'ispettore per catturarlo.

Encomiabile per la rigorosissima fedeltà al fumetto, a costo della perdita di un po' di impronta cinematografica, i Manetti ci trasportano nell'atmosfera un po' lugubre e un po' trasognata concepita dalle autrici, nel brivido degli efferati delitti e nella sorpresa dei geniali espedienti escogitati da Diabolik. La ricostruzione degli ambienti, molto anni '60, è un'altra prova dell'impegno filologico degli autori nel rappresentare cinematograficamente il fumetto.

Marco e Antonio Manetti ovvero i Manetti Bros., sono due fratelli registi, sceneggiatori, produttori cinematografici e direttori della fotografia italiani, già noti per le loro commedie musicali e per aver vinto il David di Donatello per il miglior film del 2018: Ammore e malavita, dopo una carriera di tutto rispetto tra cinema, videoclip e televisione, fondando anche una propria casa di produzione la Mompracem S.r.l.

La bellissima Miriam Leone vincitrice della 69ª edizione del concorso di bellezza Miss Italia del 2008, protagonista, sin dai primi esordi, di film, fiction e programmi televisivi, riveste impeccabilmente il ruolo dell'affascinate ereditiera che sarà l' inseparabile compagna del criminale, interpretato da Luca Marinelli. Questi, già vincitore del David di Donatello due volte come il miglior attore non protagonista (La solitudine dei numeri primi Lo chiamavano Jeeg Robot) e della Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile in Martin Eden, lo ricorderemo anche nei panni di Fabrizio De André nella miniserie televisiva dedicata al cantante e come protagonista dell’ultimo splendido film di Claudio Caligari, Non essere cattivo.


“Il Re del Terrore” messo in scena dal Marinelli risulta un po' meno terrifico del personaggio originale, forse perché riprodurre l'agghiacciante sguardo magnetico di Diabolik (addirittura depositato come marchio registrato) non è così facile. Magari avrebbe richiesto un maggior impegno da parte dei truccatori, e comunque l'impegno e la professionalità dell’attore, forse il migliore oggi in Italia assieme ad Alessandro Borghi, dalla vasta esperienza nei ruoli del “cattivo”, compensano abbastanza il divario che lo separa dall' eroe di carta e china.

Un inflessibile e severo Valerio Mastandrea, candidato dieci volte al David di Donatello vincendolo quattro volte, impersona l'acerrimo avversario dell'imprendibile ladro. Da notare anche una partecipazione straordinaria di Claudia Gerini nei panni di uno dei travestimenti della Kant.

Il film, realizzato in tempi Covid, con tutti i problemi che ne derivano, risulta comunque godibile, regalandoci le emozioni a tinte forti che tanti di noi, giovani e meno giovani, hanno provato sulle pagine illustrate. Una buona fattura all' italiana, molto di testa e con gli effetti speciali necessari senza appesantire la narrazione. Avremmo magari gradito un maggior ritmo sul finale perché, diciamocelo, ormai il cinema americano ci ha abituati ad esiti carichi di sparatorie, esplosioni, devastanti incendi e morti plurime. Ma perché poi? Per una volta possiamo anche goderci una suspence di pura tensione: quel sottile terrore che comunque ci inchioda allo schermo senza fare troppo chiasso.

Un' opera, infine, che ci rende il desiderio di correre a riaprire quei volumetti formato tascabile, da leggere magari in treno, immergendoci, tra il sogno e l'incubo, in un mondo fantastico.

Sergio Collacchioni


Le note del Re del terrore (di Pier Luigi Manieri)

Il film dei fratelli Manetti è tutti gli effetti assieme a Freaks out del quasi omonimo Gabriele Mainetti, il caso cinematografico dell’anno. Il Diabolik cinematografico riverbera il fumetto, ne è più una continuazione che non un adattamento, in ragione di ciò prevale una visione filologica in luogo di quella formale. Al netto di alcune pecche che con un po’ di attenzione in più si sarebbero evitate, il film è sostanzialmente riuscito. Specie per i nostri canoni, di questi film se ne vedono sempre troppo pochi...

La scena iniziale è notevole. È pura immersione nel fumetto. Il film mantiene un livello alto per il 90% della durata. Il finale è debole. Poco ritmo ed eccessivamente affrettato. La scena subacquea meritava maggiore sviluppo. L’elemento liquido è stato per tutti gli anni sessanta e settanta un imprescindibile “luogo” della narrazione, se, come immaginiamo, i Manetti vi hanno fatto ricorso per sfruttarne la suggestione, la resa ottenuta è solo parziale. La polizia che parla in dialetto torinese è improponibile. Alcune scene sono poco convincenti, quando il direttore dell’albergo va a cercare delle chiavi inesistenti nel bagno, si trattiene per un periodo inspiegabilmente lungo all’interno, per essere impegnato in una finta ispezione. Una durata però funzionale a far fuggire Diabolik dall’armadio in cui è nascosto. O l’altra quella in cui Eva va cercare il mattone della parete dietro il quale è riposta la chiave, ci vuole tuto il ricorso alla sospensione della incredulità per accettare come credibile un’indicazione tanto vaga. Ma tutto ciò è forse uno spaccare il capello in quattro.

Il cast

Miriam Leone non ha bisogno di pleonastici approfondimenti, Eva Kant le calza addosso come uno dei magnifici abiti di sartoria che il suo personaggio indossa e che ne esaltano la bellezza ultraterrena. Miriam Leone non interpreta, è Eva Kant. Mastrandrea è una sorpresa. È un Ginko impeccabile. Si temeva particolarmente la sua partecipazione, zeppa a parte che ogni tanto si percepisce, non sbaglia una battuta, un gesto. Misurato, imperturbabile, elegante, anche. Marinelli se la cava. È quello che convince meno, crediamo che su di lui andasse fatto un lavoro preparatorio più accurato. Anche da un punto di vista fisico. E magari eliminare in post-produzione il neo. E già che c’erano anche una limatina al naso non avrebbe guastatoma al netto di talune ingenuità, il film è di una coerenza rara. Coerenza che trova certificazione nella cura dei dettagli: costumi, ambienti, oggetti sono di una fedeltà assoluta. In modo vistoso lo sono le musiche. Un contrappunto che si combina e compenetra a tal punto con la pellicola da divenirne interprete esso stesso. Del tema e del film ne parliamo con Pivio, che in coppia con Aldo De Scalzi ha ricreato un Diabolik su pentagramma.


L'intervista di Pier Luigi Manieri al maestro Pivio in esclusiva per Plusnews


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