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Giuseppe Falcao

L'eccezionale normalità di Damiano Tommasi

Aggiornamento: 27 apr 2021

Damiano Tommasi è sempre stato un calciatore diverso dagli altri: uomo di cultura, testa brillante, “anima candida”, l’ha dimostrato quando faceva l’atleta e l’ha poi dimostrato quando ha appeso gli scarpini al chiodo. Nel 2011 infatti è diventato il Presidente dell’Associazione Nazionale Calciatori e anche Consigliere Federale. Un riferimento importante per gli atleti, come lo era in campo per i compagni.


Ciao Damiano, dopo i nove anni da Presidente dell’Aic, cosa fai oggi?

Sono tornato a vivere a Verona e sto seguendo un progetto che abbiamo messo in piedi qualche anno fa. Una Scuola bilingue da 0 a 14 anni che si chiama Bambi&Bimbi, a Pescantina. Una cosa molto impegnativa. Poi avendo sei figli sono straimpegnato a fare il papà. A livello sportivo dirigenziale sono membro del Board dell’Associazione Mondiale Calciatori, la Fifpro. E poi ho ripreso ad occuparmi di alcune cose che avevo sospeso come il vino. Nella nostra casa abbiamo un vigneto di Valpolicella Doc.

Come il Barone Nils Liedholm?

Sì, sì. Ho una piccola produzione di vino. Facciamo poche bottiglie, circa 2000/3000 l’anno.

Come stai vivendo quest’epoca?

Sicuramente sono fortunato: abbiamo una casa in campagna, molto verde, tanti spazi. Capisco che è diverso ad alcune situazioni, a chi vive in casa solo, senza parenti, fratelli. La pandemia ci ha colpito per fortuna in modo non grave. Pero avendo la scuola viviamo anche noi con tante ansie, paure. C’è voglia di normalità.


Un’epoca dove il Covid incide pesantemente anche sul calcio. Cosa ne pensi dei protocolli Covid in Serie A che dovevano garantire sicurezza e regolarità del campionato?

Si sapeva che sarebbe stata una situazione borderline. E’ evidente che fare un’attività sportiva con quei protocolli sarebbe stato rischioso. La coperta è corta e si sta cercando di tenere in piedi il sistema professionistico soprattutto da un punto di vista economico. Credo però che un dato sia stato sottovalutato sia da parte degli atleti che delle società: il sovraccarico di impegni che i calciatori stanno affrontando. Un sovraccarico che terminerà con il Mondiale 2022. Un problema che non era considerato una priorità, ma che ora lo sta diventando. Ad esempio le nazionali che faranno l’Europeo si stanno accorgendo che sono pochi 23 calciatori in rosa.


Il problema sono anche le tante partite…

Il tema dei calendari è da sempre sul tavolo, ma purtroppo i calciatori riescono ad incidere poco nelle decisioni finali. La Uefa si fa il suo calendario, le Leghe Nazionali si organizzano le loro stagioni, la Fifa fa le stessa cosa ed ecco che aumentano i numeri degli impegni, ma i calciatori sono sempre gli stessi. La cosa che mi preoccupa di più è naturalmente il poco riposo da una partita e l’altra. Tutto andrebbe calibrato in base alle potenzialità di un atleta.


Pensi che si sia fatto troppo poco per adeguare il calcio nell’epoca della pandemia?

Forse si, ma qualcosa è stato fatto. Sono stati cambiati i format di alcune competizioni, eliminate alcune coppe nazionali, sono stati introdotti i 5 cambi. Ovvio però che come ho detto prima ci si è dimenticati degli atleti.

Come vedi il Calcio Italiano dopo la fine della pandemia?

Credo che ci sarà una voglia pazzesca di tornare allo stadio anche se purtroppo ci si sta abituando a vivere la partite senza il pubblico, da casa. Bisognerà essere bravi ad “accompagnare” la gente allo stadio.


So che hai scritto anche un libro sulla Roma.

A breve uscirà. Mi hanno chiesto di scrivere sui 50 campioni della storia della Roma, dentro ci sono anche tanti episodi e aneddoti dell’anno dello scudetto. Parecchi protagonisti del libro sono stati miei compagni di squadra.


Lo scudetto festeggia 20 anni il 17 Giugno.

C’è il dubbio di festeggiarlo perché festeggiarlo significa ricordare che la Roma sono venti anni che non lo vince. Più passa il tempo e più rischia di essere non lo scudetto più recente, ma bensì l’ultimo. Sicuramente è un bellissimo ricordo per me. Da un punto di vista professionale e di rapporti di amicizia.


Di quella squadra con chi sei ancora in buoni rapporti?

Con Vincent Candela, Batistuta, ma soprattutto con Eusebio Di Francesco. Ci sentiamo spesso.

Ti ha stupito il suo esonero?

Sì, molto. Avevo fatto anche i complimenti al Presidente per il rinnovo fatto in un momento difficile. Non sarei sorpreso che faccia come ha fatto a Sassuolo, ritornando sulla panchina del Cagliari. Lui è amareggiato, ma già carico per tornare in pista.


Tu prima di diventare un idolo dei tifosi della Roma, sei stato contestato e fischiato. Come hai superato quel momento?

Per me fu importante all’epoca sapere di avere la stima di tutti, della società, dei miei compagni, della mia famiglia soprattutto. Bisogna concentrarsi, lavorare. Mi sentivo di non essere performante come si aspettava il tifoso. Io però cercavo sempre di dare il massimo. Credo che bisogna essere anche un po’ fatalisti. Fai tutto quello che puoi, poi le cose possono anche non riuscire. L’importante è dare tutto. Sono stato anche fortunato ad aver vissuto nell’ordine temporale giusto il tutto: prima le critiche e poi il successo. Se fosse successo il contrario forse a Roma non avrebbero avuto questo ricordo di me.


Si dice che l’ambiente Romano incida in negativo sui risultati della squadra. Alibi o verità?

Roma è un banco di prova duro. E’ una piazza molto esigente non avendo comunque una grande tradizione di vittorie. Quando si arriva vicino a vincere aumenta la tensione ed è difficile tenere sempre la barra dritta. Ci si esalta con poco e ci si deprime con poco.

Cosa pensi dei Friedkin?

Sono stato a Trigoria alcune volte ma non ho avuto modo di conoscerli. Una delle poche cose che ho capito è che hanno intenzioni molto serie nel medio periodo. Tutto quello che fanno ha una logica.


Si è parlato di un tuo ingresso in società: cosa c’è di vero?

Ogni volta se ne parla, sono cose che non sono sul mio tavolo.


Pensi che nella Roma ci sia bisogno di ex calciatori che hanno giocato in questo club in ruoli dirigenziali?

Molti club hanno figure cosi. Il Milan, l’Inter, il Bologna con DI Vaio. Credo sia più un bisogno del tifoso, delle radio, della stampa, di vedere qualcuno di famiglia all’interno della propria squadra. Questo non vuol dire che sia una cosa buona a prescindere, o che sia negativo non averle.


Ti piace Fonseca?

Fonseca è stato molto bravo ad inserirsi in un ambiente complesso, in un periodo molto particolare. Non c’è molto tempo per lavorare in modo organico con la squadra. E’ sempre molto equilibrato nelle analisi delle partite. Mi sembra che la squadra lo stimi molto.


C’è un’Anima Candida nel calcio di oggi?

Ci sono tanti ragazzi che possono dire tanto in questo calcio, sia da un punto di vista tecnico che umano. Alcuni sono diventati padri da giovani, prendo ad esempio Barella, Pellegrini. Credo ci sia un buon gruppo che si sta facendo valere. Anche tante ragazze nel calcio femminile, se gli si danno le possibilità e gli strumenti anche loro possono fare bene.


Pensi che le società tendano a nascondere “umanamente” i calciatori?

Penso che non vengono adeguatamente valorizzati. Anche nei settori giovanili inserire l’aspetto di crescita umana e psicologica è un investimento che si fa in poche situazioni, ma alla lunga può avere una resa molto più importante di quello che viene considerato. Quando si acquista un calciatore lo spessore umano è sempre una parte marginale rispetto all’aspetto tecnico. E Invece credo abbia un grande peso.

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