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#Manciniout?

Aggiornamento: 9 ago 2023

La più incisiva sciagura portata dalla nefasta esperienza del Movimento Cinque Stelle e dalla sua retorica verbalmente violenta e forcaiola è stata sicuramente la liberalizzazione, nel pubblico discorso, del giacobino “Dimissioni e tutti a casa”. Tale esecrabile forma mentis, una volta legittimata, è stata poi applicata con nonchalance a tutti gli ambiti, ivi compreso quello sportivo, dove sì era già presente, ma comunque in maniera più affievolita.

E così, quando nel marzo del 2022 l'Italia è rimasta fuori dai Mondiali per la seconda volta di fila, è scattata subito la virtuale ghigliottina per Roberto Mancini. Il quale solo nove mesi prima avesse inaspettatamente vinto gli Europei non importava più a nessuno: aveva fallito l'obiettivo e dunque doveva andarsene.

In quel momento storico, del commissario tecnico veniva persino minimizzato il merito che viceversa dopo Wembley gli era stato riconosciuto. Ad alimentare tale volubilità ci si è messo anche un certo giornalismo, che per proprio interesse asseconda gli umori della folla (soprattutto digitale) prestandosi al gioco della gogna, quando invece dovrebbe affrontare in maniera lucida, razionale, motivata, le questioni spinose.

Attenzione, però. Se all'epoca il #Manciniout era solo un modo per parlare alla pancia degli appassionati, oggi sembra diventata un'opzione quantomeno valutabile. Non tanto per i risultati che mancano, perché in fondo sotto la sua gestione l'Italia è arrivata tre volte tra le prime quattro del continente (oltre al già citato Europeo, due volte in Nations League), ma nell'impressione complessiva.

L'Italia delle ultime uscite, infatti, è sembrata opaca, neanche lontana parente della macchina brillante e divertente ammirata nei primi anni di Mancini. La permanenza in rosa di giocatori che nell'ultima annata hanno reso meno di quanto ci si attendesse, ad esempio Toloi, Bonucci, Emerson Palmieri, Jorginho o Cristante, insieme ad altre convocazioni abbastanza dubbie avvenute nelle finestre di novembre e marzo, lasciano forti perplessità, specie di fronte ad assenze come quelle di Romagnoli, Gianluca Mancini, o Zaccagni.

Certo, c'è da dire che attualmente il ct si trova a dover gestire un passaggio da una generazione che doveva vincere ed invece ha quasi sempre perso (grossomodo quella nata nei primi anni Novanta che arrivò in finale all'Europeo 2013, per intenderci) ad una su cui ancora non ci sono grosse aspettative, ed in questo senso il suo lavoro si sta rivelando cruciale. Giovani come Buongiorno, Scalvini, Parisi, Frattesi, Tonali, Gnonto, Retegui, Scamacca o Raspadori, ed insieme a loro scalpitano diversi altri volti che al momento sono impegnati con l'Under-21 nella difficile ma stimolante missione di riportare l'Italia del calcio alle Olimpiadi, a quindici anni di distanza dall'ultima volta.

Il lavoro di Mancini è dunque, di fatto, provare a quadrare il cerchio, seminando per il futuro ma non ignorando il presente. Solo nelle segrete stanze sanno quali siano i programmi che la FIGC ha chiesto all'allenatore jesino di implementare, ma certo, sarebbe un peccato buttare via un lavoro di sei anni, specie in un'epoca in cui molte federazioni hanno deciso di ragionare sul medio-lungo termine: Deschamps siede sulla panchina della Francia dal 2012, ha vinto un Mondiale e fatto due finali (una continentale, una iridata), Southgate dal 2016 con l'Inghilterra ha ottenuto un quarto posto mondiale ed un secondo in Europa, Dalic, dal medesimo anno, ha portato a casa un argento e un bronzo mondiali, per non citare.

Rispetto agli ultimi due, Mancini ha un trofeo in più, che non lo mette certo totalmente al sicuro, ma perlomeno gli permette di avere un argomento più da giocarsi di fronte a perplessi e critici. Se ragionassimo come fa, o come si propone di fare, la pubblica amministrazione nostrana, il mandato di Mancini come dirigente sarebbe ampiamente rinnovabile: ha sì fallito il principale obiettivo che gli era stato dato in sede di ingaggio, ma contemporaneamente ne ha portato in dote un altro, ben più importante, che non era stato contemplato, e più in generale sta lavorando in prospettiva, seminando per il futuro.

In quest'ottica, come per tutti i dirigenti pubblici, anche la continuità dell'opera di Mancini sarà tuttavia subordinata al raggiungimento degli obiettivi. I quali saranno inevitabilmente legati soprattutto al sempre difficile rapporto tra risultati ottenuti in campo e valorizzazione delle risorse, ossia i calciatori italiani, specie le nuove leve.

Questo discorso, naturalmente, prescinde dalla volontà del ct di restare in sella alla Nazionale. A ben guardare, rispondendo alle domande dopo il match contro la Spagna, la sua prossemica si collocava tra lo spazientito ed il rassegnato, dando quasi l'impressione che al momento sia lui il primo a pensare non voler restare ancora a lungo.

Nel caso fosse Mancio a mollare la presa prima della fine del suo contratto (giugno 2026), al momento le alternative non mancano, al contrario della primavera 2022, quando invece latitavano i nomi all'altezza in grado di prendere il posto del commissario tecnico uscente. Ad oggi i migliori liberi sarebbero Luciano Spalletti ed Antonio Conte: fermo restando che non è detto che entrambi restino tali alla fine del ciclo che porta a Germania 2024, ovvero l'eventuale scadenza più prossima, per entrambi ci sono motivi pro ed ed altri contro.

Il mister neo-scudettato ha un'idea di calcio propositivo e morbido, che per essere concretizzata richiede tempi lunghi impensabili in Nazionale, ma è uno che spesso e volentieri ha dato fiducia ai giovani. Il salentino viceversa ha sempre puntato su atleti pronto-uso, anche di secondo piano, ma il suo gioco è invece molto più diretto da mettere in pratica, come si è visto nel suo precedente mandato. Entrambi si portano dietro, poi, un carattere che fa a pugni con i compromessi, e non di rado hanno chiuso alcune delle loro esperienze in polemica più o meno esplicita.

Dietro ad una serie di certezze fanno quindi capolino diversi punti interrogativi, nodi che verranno sciolti solo nel prosieguo del cammino dell'Italia. L'auspicio è che, come la summenzionata pubblica amministrazione nostrana sovente non riesce a fare, si giunga alla scelta più sensata, che guardi al bene di un patrimonio collettivo di una Nazionale. Per la quale gli italiani provano molta più passione rispetto, per dirne una, alle Poste o ai Musei.

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