Fino al 5 settembre è possibile ammirare presso il Palazzo Blu di Pisa, l’accurato allestimento dedicato a Giorgio de Chirico curato di Lorenzo Canova, professore associato di storia dell’arte contemporanea all’università degli studi del Molise, nonché consigliere scientifico della fondazione Giorgio e Isa de Chirico. La personale che ha curato per il prestigioso spazio espositivo consiste in un’antologia che verte sulla suggestione metafisica del genio greco-italiano. Visionario peso massimo dell’arte del 900 già oggetto di trattazione dell’indispensabile IL grande ritorno. Giorgio de Chirico e la Neometafisica (La nave di Teseo).
Al di là della mia passione personale per questo genio assoluto, non si può non partire che da lui: chi era e cosa rappresenta ancora oggi de Chirico
Giorgio de Chirico, dando vita alla pittura metafisica nel 1910, ha creato un sistema visivo e costruttivo che ha influenzato moltissimi artisti e movimenti, dal Dadaismo al Surrealismo fino alla Pop Art e alle ultime generazioni internazionali. La sua influenza ha toccato anche la letteratura, il cinema, la moda e il design.
De Chirico è stato uno dei più grandi artisti del Novecento, ma anche un grandissimo scrittore (il suo romanzo Ebdòmero è un capolavoro assoluto), uno straordinario teorico e un intellettuale di primissimo piano: oggi la sua opera è sempre più ammirata in tutti i multiformi (ma coerenti) passaggi di quella che Maurizio Calvesi ha felicemente chiamato la sua “Metafisica continua”.
Tra l’altro anche la Neometafisica, il periodo finale della sua opera, a cui ho dedicato il mio libro Il grande ritorno, recentemente pubblicato da La nave di Teseo, viene finalmente e giustamente apprezzata per il suo grande valore, per la sua densità di contenuti e per la sua luminosa qualità pittorica.
Film come L’ultimo Vermeer (diretto da Dan Friedkin, il presidente della A.S. Roma n.d.r.) e La tela dell’inganno ritornano sul ruolo della critica. Mettono l’accento sull’ingerenza che il critico esercita sull’opera arrivando persino a leggervi quello che non c’è, quando non addirittura alla mistificazione. Da storico, professore e curatore di mostre qual è secondo te il ruolo del critico d’arte?
In un mondo di curatori, il critico d’arte (purtroppo o per fortuna) è una figura ormai inattuale ma che a me piace ancora molto per le sfide interpretative e di scrittura che lo coinvolgono. Credo però di essere il residuato di un’altra epoca, non penso che oggi sia peggio, sono solo cambiate molte cose, com’è giusto che sia. Io ho sempre cercato di guardare al contemporaneo con l’occhio dello storico e di evocare, ricostruire e mettere in luce rigorosamente relazioni e intrecci tra personalità, visioni ed epoche spesso a volte sincroniche, a volte molto distanti nel tempo. Registro e analizzo con interesse anche le cose (e non sono poche) che personalmente non mi piacciono, ma che penso sia doveroso studiare per conoscere meglio il nostro mondo, per quanto è possibile cerco di avere sempre una visione filologica, ovviamente non è affatto detto che io ci riesca sempre.
Dire che l’arte non debba interessarsi della politica è da un punto di vista storico e antropologico sbagliato. Diversa è l’arte politicizzata. Il distinguo è sottile ma sostanziale. Come dovrebbe rapportarsi l’arte con l’esperienza umana della politica, Il tuo parere?
La politica è parte essenziale della natura umana, come ci insegnava già Aristotele; ovviamente parlo della politica non nella sua accezione comune che oggi ci dà sempre più spesso spettacoli sconfortanti, ma nella sua accezione profonda fatta di relazioni, dialettiche, costruzioni e utopie.
Nel bene o nel male l’arte non può sfuggire alla politica per il solo fatto di essere parte del mondo che viviamo, si può avere una visione profondamente politica anche dipingendo soltanto un (magnifico) mazzo di fiori secchi, come per esempio ha fatto il grande Mario Mafai.
L’arte del 900 in una definizione
Linearità del tempo progressivo e circolarità dell’eterno e del profondo. Innovazione e tradizione, sogno del nuovo e ritorno al passato, utopia e distopia del progresso, trasformazione e distruzione, ordine e disordine, complessità e azzeramento. Scusatemi se semplifico e banalizzo: lancio solo delle suggestioni.
Un tuo collega ospite di una trasmissione, dovendo indicare un artista particolarmente rilevante ha indicato Bansky. Motivando così: "Bansky è uno che sa far parlare molto di se e ci fa riflettere sulle cose". Non è un po’ poco? Basta questo per essere tra i più rappresentativi? Ed è sufficiente questo per essere riconosciuto come tale?
Non è sufficiente, ma in questa epoca dominata dalla comunicazione può essere uno strumento molto affilato per incidere sul presente.
Comunque ritengo Banksy, chiunque sia(no), un artista molto più denso e complesso rispetto a questa definizione certamente corretta, ma forse un po’ riduttiva.
Per esempio anche nel suo stile sintetico e potente, riconoscibile ma raffinato Banksy ha dato vita a una vera e propria scuola fatta da moltissime giovani artiste e artisti che trovano nella sua opera un fondamentale punto di riferimento.
La realtà aumentata nei musei è un’opportunità o una spettacolarizzazione
Dipende dal contesto e dal museo, in alcune situazioni può essere una risorsa molto importante per avere una conoscenza migliore del contesto e delle cose che abbiamo di fronte, in altre rischia di diventare un’inutile spettacolarizzazione, ma trovo che sia un’opportunità molto interessante se, come tutte le cose, viene usata con intelligenza.
I tuoi impegni come curatore?
Quest’anno ho curato due mostre a cui tengo molto, una su de Chirico (con Saretto Cincinelli) a Palazzo Blu a Pisa, l’altra su Pino Pascali e Gino Marotta (con Rosalba Branà) alla Fondazione Pino Pascali a Polignano a Mare. Sto lavorando, dopo i disastri della pandemia, alla riapertura dell’ARATRO, il museo laboratorio di arte contemporanea dell’Università del Molise a Campobasso che dirigo dal 2007 e a dei possibili progetti internazionali (a lunga scadenza) ancora su de Chirico.
Questi primi 21 anni di ventunesimo secolo come sono andati sul piano artistico e culturale?
Fino alla grande crisi del 2008 la scena era molto vivace, multiforme e articolata. Dopo la crisi purtroppo si sono ristretti molti spazi di azione e di proposta. Oggi, soprattutto nelle grandi mostre ufficiali, domina una sorta di pensiero unico che, come ho già detto, registro doverosamente, ma che personalmente trovo piuttosto vecchio e dominato da un conformismo abbastanza noioso.
Penso però che al di fuori di questo confine piuttosto ristretto ci siano delle novità e delle visioni molto interessanti e di grande qualità, per esempio a volte basta aprire Instagram per fare delle belle scoperte. È necessario avere comunque ancora curiosità e non dare tutto per scontato, ci sono personalità artistiche di tutte le generazioni che meritano di essere conosciute meglio e che danno ancora dei contributi di grande spessore, al di là di certi stereotipi ufficiali. Comunque, nonostante tutto, il nostro mondo, nella sua complessità, ci regala sempre delle splendide soprese culturali.
A proposito di pensiero unico, si afferma che l’arte contemporanea sia provocazione. Il che è a volte un modo sensato di inquadrarla, a volte pretestuoso per giustificare anche l’indifendibile. A volte, come certi aspetti dell’attualità impietosamente ci mostrano, molti si sottraggono alla polemica. Gli artisti contemporanei sono quindi unilateralmente provocatori?
La provocazione è una stata delle tecniche utilizzate da molti movimenti e artisti di avanguardia (ad esempio i futuristi e i dadaisti) per rompere certe convenzioni e per imporsi con forza nello scenario culturale. Tuttavia la loro opera ha un valore ampio e complesso che va oltre questa, in fondo semplice, strategia.
Devo dire che nel contesto attuale, dove oramai nel bene e nel male abbiamo visto qualunque cosa, l’utilizzo di quella che vorrebbe essere una provocazione mi sembra troppo spesso piuttosto vecchio e scontato, forse si può essere realmente dei provocatori rompendo l’alone di conformismo di opere che dovrebbero essere la prosecuzione delle grandi avanguardie ma che talvolta sembrano essere invece la loro negazione, scadendo purtroppo nell’accademismo e nella ripetizione.
Da studioso come definisci la bellezza, cos’è?
“La bellezza è un enigma”, come dice il principe Myškin ne L’idiota di Dostoevskij.
Come potrei non essere d’accordo, anche come studioso di de Chirico, il maestro degli enigmi metafisici.
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