Emanuela Di Matteo: Roma, le streghe, Buzzati e il realismo magico. Questo e altro nella raccolta Summis Desiderantes Affectibus. Ne parliamo con lei
- Pier Luigi Manieri
- 3 giu
- Tempo di lettura: 6 min

C’erano una volta Poe e Lovecraft ma anche Bradbury, Landolfi e Buzzati. Poi a rinverdirne i fasti, sono arrivati Sclavi e Gaiman, perché di tanto in tanto, qualcuno viene sedotto dalla favola nera. Quella che stana i cattivi pensieri e simultaneamente gli esorcizza. Nel tempo ha assunto diversi nomi, quello più rassicurante è realismo magico ma se ci si pensa su un momento, è un bell’ossimoro che mette insieme due elementi inconciliabili. Oppure, no? Perché qualche volta, appunto, ci imbattiamo in testi che ci sorprendono. Che ci ammaliano circuendoci. Che ci attirano come il canto di una sirena, avvinti da un incantesimo che ha un bel nome, “affabulazione”. Anche di più se tale magnetismo ha a che fare con qualcosa che ci è familiare, come la nostra città, in questo caso l’Urbe, ma che nello snodo della narrazione diventa “altro”, alieno, inquietante e pericoloso. Questo è ciò che troviamo in Summis Desiderantes Affectibus, la piacevole raccolta di racconti messa insieme da Emanuela Di Matteo, alcuni inediti, altri recuperati da precedenti lavori e collettanee (una curata proprio dallo scrivente, il quale loda con cognizione di causa), in cui l’amore, la morte, il quotidiano, i bambini, la speranza, l’orrore, il sesso, la paura, l’incubo con le sue creature e l’ignoto, si intersecano tra loro, come le strade e i vicoli della Capitale, teatro fisico ma anche metaforico di queste storie visionarie. Ne parliamo con la scrittrice e giornalista, impegnatissima nella promozione del suo volume edito da Scatole Parlanti.

Summis Desiderantes Affectibus così si apre la bolla promulgata da Innocenzo VIII nel 1484, è solo una suggestione latina per fare colpo o ritieni che rappresenti con precisione il contenuto della raccolta?
Il titolo di questa raccolta è stato molto dibattuto. Infatti se fin dall’inizio mi era sembrato il più giusto per unificare lo spirito di tutti e 34 i racconti, essendo il filo rosso che unisce ogni storia, poco prima della pubblicazione ho temuto che potesse suonare astruso e respingente. Per fortuna la casa editrice Scatole Parlanti ha insistito che fosse mantenuto e, visto il successo, ha avuto ragione.
Il titolo “summis desiderantes affectibus”, cioè desiderando con supremo ardore, ha una doppia motivazione: la prima è che la famigerata Bolla papale, dalla quale in seguito scaturì il “Malleus Maleficarum”, il Martello delle Streghe, diede inizio alla persecuzione di eretici, scomunicati, ribelli.
Le storie che ho raccontato sono tutte ambientate a Roma, città papale, nella quale convivono santità e corruzione e hanno come protagonisti proprio coloro che il Papa definì “fuori dalla Grazia di Dio”: criminali, mostri, streghe, ma anche persone comuni, madri e mogli che sembrano perfette, impiegati, uomini e donne che millantano una moralità irreprensibile.
Chi è il vero mostro della storia sarà il lettore a deciderlo. Ma poi davvero possiamo essere fuori dalla Grazia di Dio? Nel senso di non riconosciuti nella sua pietà, nella sua misericordia? Non lo credo.
La compassione, intesa come partecipazione alla sofferenza, al tormento dell’altro, che non consente una netta condanna morale senza un dubitativo, percorre trasversalmente ogni storia, anche quando sembra impossibile.
In un’epoca come la nostra che sembra condannare, giudicare senza sfumature, le mie storie vorrebbero portare il coraggio del dubbio, il socratico “so di non sapere”, perché siamo immersi in un mondo fitto di mistero, realmente magico.
Il secondo motivo che mi ha spinta a scegliere questo titolo è che “desiderando con supremo ardore” è che il desiderio è il motore della vita, di ogni azione, non solo nel senso amoroso e passionale, può essere anche una spinta al delitto, al crimine. Il desiderio ardente può anche far tornare sulla terra le anime inquiete, come accade in vari racconti.
Descrivici i racconti.
Quasi tutti hanno un’ambientazione contemporanea e urbana, si svolgono nella Roma di oggi.
Spaziano da viaggi in autobus (“Di te più niente”, “Babbo Natale”), che diventano esperienze esoteriche non proprio piacevoli, alla fantascienza ucronica, con un uomo che si risveglia dopo una bevuta ritrovandosi in un mondo uguale eppure completamente diverso (Il Formicaleone). Ci sono racconti avventurosi, nei quali indagini criminali si mescolano all’incanto della fiaba: una strega, stanca di mangiare i bambini, dopo tanti secoli si schiera al loro fianco contro i pedofili (La puzza del cielo). Mi piace la contaminazione fra generi diversi. C’è un uomo che ha un incidente stradale durante il quale una gazza ladra, portatrice dei voleri dell’altro mondo, gli rivela l’inaspettata origine della sua nascita. Un impiegatuccio statale, apparentemente senza ambizioni e sempre vessato dai colleghi, proprio nel momento della morte ha una rivincita sulla vita e sul destino (Uno, due, tre…). Un giovane kosovaro che trova lavoro come tombarolo, viene abbandonato dai suoi compagni, ferito, a morire in una scarpata, ma un’improbabile dea pagana gli farà un dono (La regina di Saba). Fantasmi che appaiono e scompaiono in un ufficio deserto (Mezzanotte), altri che invece di infestare un castello, si manifestano davanti ai secchioni della differenziata, perché vogliono denunciare il proprio assassino (Il rogo di Via del Fornetto). Ma anche gatti cattivi ed arrabbiati (come possono non esserci i gatti, a Roma?) che rispondono al volere del potente Gatto Mammone.
La magia e il soprannaturale sono modi per parlare della della realtà, di un quotidiano di cui fanno parte la paura, la solitudine, l’ipocrisia, ma anche la cronaca nera, coi suoi delitti e i suoi indicibili orrori che toccano i più piccoli, gli indifesi. Le atmosfere gotiche spesso lasciano il passo a vicende dense di ironia e umorismo nero (Arabella, Il Gatto Mammone).
C’è anche una piccola Trilly, svenuta in un bosco (Una luce Piccola Piccola), ma a trovarla sarà la persona sbagliata: talvolta incontriamo l’incanto ma non sappiamo riconoscerlo.

Attraverso i tuoi racconti siamo via via immersi in una dimensione altra, intrisa di inquietante quotidianità, qualcosa a metà strada tra il realismo magico e la rarefazione della realtà di Buzzati…quali sono i tuoi riferimenti letterari?
Hai nominato il mio scrittore preferito: Dino Buzzati...! La sua semplicità (apparente), la sua dolcezza, il senso di mistero ed inquietudine che ammantano il quotidiano, dando forma ad un mondo nel quale tutto possiede un’anima, sono per me inarrivabili esempi di letteratura.
Per il resto io sono onnivora, leggo davvero qualsiasi cosa. Come affermava l’amato Ray Bradbury, non credo che esista la letteratura di serie A e una di serie B. Esiste la curiosità, la storia ben scritta, che sia un libro del terrore, di fantascienza, un saggio sull’intelligenza dei corvidi, come quello di Konrad Lorenz, o un trattato di Paracelso sull’esistenza delle ninfe e delle sirene… Amo la poesia di Giorgio Caproni, il fumetto “Dampyr” della Bonelli, i racconti di Edgar Allan Poe o quelli di Anton Čechov, leggo tanto e leggo tutto.
Le mie uniche idiosincrasie sono verso la parola inutile, falsa, che segue la moda o il diktat del momento, quella pretenziosa ma senza emozione, bellezza, verità. L’arte, anche se in modi spesso non convenzionali, per me deve essere sincera, raccontare la (propria) verità.
Esiste ancora uno spazio per lo stupore e il senso del meraviglioso?
Grazie per questa bella domanda. Purtroppo l’attuale tendenza è quella di essere convinti di avere una risposta ed una spiegazione a tutto. Se così fosse vivremmo in un mondo di cartapesta senza vie di uscite, tremendamente noioso, nel quale esiste solo ciò che si vede, che appare, alla The Truman Show. Per dirla alla Dino Buzzati, che hai citato poco fa, se non permettessimo ai bambini di coltivare il senso della meraviglia e dello stupore, magari raccontando ancora che esistono La Befana e Babbo Natale, avremmo un mondo di adulti imbecilli.
Chi vorresti che leggesse la tua raccolta e perché dovrebbe farlo?
La mia raccolta di racconti, pur non essendo assolutamente rivolta all’infanzia, per via delle tematiche trattate, ha spesso la struttura della fiaba, ma della fiaba nera.
Mettere sulla pagina un brutto fatto di cronaca, come accade talvolta in “Summis Desiderantes Affectibus” è la premessa della fiaba, non è mai compiacimento nel descrivere l’orrido. Tutti noi sappiamo che il male esiste, e ci siamo ritrovati ad affrontarlo, anche solo nel senso del dolore di una perdita, di un momento di profonda prostrazione morale. Ma nella fiaba l’incalzare della strega, del mostro, dell’assassino, è contrastato dal protagonista grazie alla propria astuzia, o intelligenza, talvolta bellezza, o all’aiuto degli amici, all’Amore. Siamo abituati a pensare che nelle fiabe tutto però alla fine si risolva bene, mentre nella realtà no. Nei miei racconti non sempre il finale è felice, ma sempre c’è la grazia di Dio, che può significare perdono, speranza o anche solo consapevolezza della trascendenza.
Penso che questa raccolta si rivolga a persone sensibili al fascino del gotico e che non amano le mode e le tematiche imposte nel campo della creatività, le faziosità, le lezioncine di facile morale, e pur possedendo un’etica, non si spaventano di fronte al dubbio: veri adulti quindi, ma col cuore di bambino.
I racconti:
Una luce piccola piccola,
La regina di Saba,
Schegge,
Palpebre,
Di te, più niente
Uno, due, tre...
Il nome
e.v.a.
Biancaneve
Arabella
Siamo Buoni
Babbo Natale
Come il vento
Leyla
Il formicaleone
Le esplicative parole
Una mamma premurosa,
Sei quel che sei
Anelli d'oro
Parrozzetto
Non qui, non ora.
Mezzanotte
Il rituale
Hobby
Il rogo di Via del Fornetto
Il Gatto Mammone
Fiammetta
Il mio posto preferito
Il Pishtaco
Rinfresco aziendale
Chiara
Il pianeta Erre
Summis desiderantes affectibus
La puzza del cielo
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