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La parabola di Conte. Fenomenologia diversamente populista dell’uomo dai dpcm a reti unificate

Aggiornamento: 16 feb 2021


In principio era il ciuffo. Ribelle. Svolazzante. Vezzoso. Giuseppi, come lo chiamava l’amico americano di un solo giorno, lo accarezzava distrattamente. Gesto misurato ma significativo. Guardate un po’ che nero corvino che ho! Alla faccia vostra. Simbolo giovanilista che in effetti, ha fatto anche tendenza per qualche mese. Diamo a Cesare quel che è di Cesare e a Conte, quel che è suo. Fazzoletto nel taschino di un abito eccezionalmente lucido, compreso.


Dunque, l’avvocato del popolo. Immagine da romanzo per dire che la distanza tra politica e cittadino era azzerata. E il cittadino, quello dell’uno vale uno, lui lo ha cercato spesso. Forse persino ammagliandolo con un rebus di titoli accademici ingrossati sul filo della smargiassa millanteria. Con quel suo proporsi sempre e comunque sotto la regia del Casalino neo scrittore, ci ha riportato alla memoria certi personaggi di Gassman e Sordi, un po’ cialtroni ma simpatici, nella loro voglia di esserci a tutti i costi. Di essere invitati alla festa. Eccolo lì, fare il gigione con la Merkel e la ramanzina a Salvini. E com’era, il rimbrotto, da statista? Macché, da lavata di panni sporchi. Più Uomini e donne che Parlamento. E ancora, riportare in vita una mummia come Haftar con l’immancabile Casalino in diretta telefonica. Ultimo parodistico sussulto di un personaggio che era fuori posto. Almeno, così appare oggi. Non è passato neppure un anno da quando incollava milioni di telespettatori davanti allo schermo per schierare più colori sul bel Paese che sul Risiko. E anche lì, pioggia di consenso perché in fondo, l’uomo solo al comando, tira. Anche se è una caricatura. O quanto meno, volubile.


Accreditato dai grillini, negli ultimi giorni dell’impero quando ancora ci credeva, lo avevano accasato nella Democrazia Cristiana. E già si esultava per un Risorgimento dello scudo crociato. Mastella lucidava il servizio buono, Casini pregustava, Cirino Pomicino si vedeva di nuovo trionfante. A conti fatti s’è trattato di un’ora d’aria, di una fuoriuscita dal sarcofago. Il sipario è sceso, se è sceso, con la stessa sorprendente rapidità con cui è salito. Scaricato da tutti alla velocità della luce per andare a cavallo di creature mitologiche: i Draghi. In realtà è solo uno ma pare che sia Super. Un “Super Mario” non si nega a nessuno. E sembra che moltiplicherà i pani e i pesci, e che starebbe sulle scatole a tutti, un po’ perché ha studiato dai gesuiti e un po’ di più per essere l’uomo delle banche. Ma in fondo, chissenefrega? Francia o Spagna… e così nel gioco muscolare dell’uomo solo alle redini, Giuseppi, che non gradisce il triplo carpiato con avvitamento per il Campidoglio, è finito in panca perché quando il gioco si fa duro le mezze figure se ne tornano nell’anonimato, che in campo vanno quelli che portano il pallone. Tra applausi scroscianti. Il potere logora chi non ne conosce il sapore…

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