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La Pop Art fuori dal tempo di Maurizio Rapiti in esposizione a Belvedere Ostrense

Aggiornamento: 7 gen 2022


Fino al 10 luglio è possibile visitare la personale di Maurizio Rapiti presso il suggestivo complesso architettonico dell’ex Convento delle Clarisse in quel diBelvedere Ostrense, sito marchigiano del XII secolo in provinciadi Ancona. La sede dell’esposizione in Piazzale Risorgimento resterà aperta tutti i giorni dalle ore 21.00 alle ore 23.00 ad ingresso libero, è quindi una preziosa occasione per visitare un antico borgo medievale e ammirare una selezione di opere di un eccellente esponente della Pop Art, definito da una non comune cifra stilista combinata con una certa dose d’ironia che è anch’essa una caratteristica altrettanto rara. Maurizio Rapiti si è fatto notare per le sue rivisitazioni di grandi classici. Non è un copista, ancorché ne abbia la mano ereditata dal padre, ma un sublime pittore con uno spiccato gusto citazionista. L’artista, figlio del suo tempo, trasfigura il soggetto-opera che di sponda riverbera bagliori metafisici ed echi di un incombente surrealismo, contaminandolo con l’immaginario cinematografico, fumettistico, robotico e tendenze che appartengono al contemporaneo. Ecco quindi che il sushi è cristallizzato e decontestualizzato sia nell’epoca che nello status, nell’interpretazione de La bottega del macellaio di Annibale Carracci, mentre elementi delle sotto culture pop fanno superbamente mostra di sé. La De Lorean campeggia languidamente nel Capriccio architettonico del seicentesco Gennaro Greco detto il Mascacotta, simultaneamente la Celestina di Picasso, unico contemporaneo nella galleria di geni secolari, esibisce un impianto bionico all’occhio sinistro in competizione con la Monnalisa cyberpunk e visionaria di William Gibson. L’algida e solenne silhouette della Ragazza con l’orecchino di perla, di Vermeer ci osserva forse non curante o forse no, di un’assenza... lungo le pareti sfila un Musicofilo appassionato di Lou Reed basato sull’opera di Leonardo da Vinci. Lavoro non privo di simbolismi tanto che non è azzardato definire metapittorico. Una sorta di quadratura del cerchio nella quale citando il dipinto leonardesco si cita un album che a sua volta ha in copertina la celebre banana di Warhol incorniciata nel disco-manifesto The Velvet Underground. Dal più grande dei padri nobili dell’arte all’ideologo della Pop art, nel segno della musica pop. L’esposizione si snoda attraverso un Anker con diario scolastico de Il Grande Mazinga, un omaggio a Hayes e un Van Gogh quanto mai acceso nei suoi colori del campo di grano e… straniante… Lasciando fluire la sua intuizione raffinatamente dissacrante, Rapiti “sottrae” monili iconicamente identificativi. Sostituisce, rimpiazza, usa. Coinvolge insomma i dipinti più celebri di ogni tempo in un gioco di allusioni e anacronismi, che nel restituire l’opera-icona, ruba l’occhio dello spettatore. Lo costringe in un enigmistico trova l’intruso o per opposto, nella ricerca dell’oggetto mancante. Ben inteso, la dialettica visiva dell’artista non va fraintesa per una burla sia pure elegantissima, se il suo timbro è da un lato ironico e irriverente, dall’altro il suo porsi di fronte al capolavoro su cui intervenire è quanto di più rispettoso e sincero. La ricerca della citazione sottende quanto Maurizio Rapiti “frequenti”, l’arte classica. Ne conosca canoni e tecniche. Ne percepisca il respiro, tutto ciò emerge nel rigore del segno enfatizzato dall’olio. Un tratto che tanto più replica, quanto più riafferma una padronanza gestuale superiore.



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