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Pier Luigi Manieri

NEW WAVE! LE HIT SENZA TEMPO DELL'ESTATE 1984

Aggiornamento: 23 set



Jukebox

L’estate sta finendo, cantano I Righeira nel 1985 e oggi, primo giorno di autunno gli scippiamo il titolo per cristallizzare un’epoca perché non può esserci alcun dubbio sul fatto che il 1984 sia un anno cruciale per la musica pop-rock e per la new wave. Il picco si raggiunge quell’estate, momento magico per la vendita dei 45 giri pompati come cannonate dai jukebox.


Tra il 1983 e tutto il 1984 Billy Idol sbanca coi singoli sfornati a getto continuo da Rebel Yell. Dopo il brano omonimo che dà il titolo al suo masterpiece, l’ex ossigenatissimo front man dei Generation X detta legge con un filotto tutto d’oro composto dalla oscura e romantica Eyes without a face, da uno dei pezzi dalle sonorità più canonicamente new wave dell’album: Flesh for fantasy e in coda, da quella bomba di suadente rock’n’roll che è Catch my fall. Voce potente, presenza scenica pazzesca, testi che ti entrano in testa e ti martellano, seducono, ipnotizzano e il funambolico Steve Stevens alla chitarra solista sono le armi con cui Idol conquista incontrastato posizioni in classifica e cuori di fanciulle che sognano questo giovanotto inglese dallo sguardo magnetico e dal labbro incazzato.


Billy Idol

Sul fronte del dark, con un pianoforte distorto, i violini impietosamente molestati e la voce di Robert Smith libera di inseguire farfalle, The Caterpillar dei The Cure avvia quel processo di sdoganamento che si concluderà con The Head on the door, l’album successivo ed eterogeneo che da band di culto li porterà a essere tra le formazioni più amate del decennio; La segue a ruota, Seven Seas di Echo & the Bunnymen. Il brano va forte, fortissimo ma non quanto il precedente The Killing Moon.



The Cure

Se maggio è il momento di una ballata dolente come Heaven Knows I'm Miserable Now in cui la voce falsetto-baritonale del coltissimo, sarcastico e irrimediabilmente tormentato Morrissey, si plasma con la chitarra acida e maggiormente virtuosistica  dell’intera scena, quella di Jhonny Marr, a giugno, pompato suVideomusic e DJ Television irrompe Such a Shame dei Talk Talk che rivela al pianeta la band synth pop-neo romantic di quel geniaccio schivo e antidivo di Mark Hollis.


 

Corposo lo schieramento synth pop a cominciare dagli Industry. Band da un solo album: Strange to Strangee da un one shot: State off the Nation che fece il botto!



La vicenda artistica e professionale di Jon Carin è affascinante, di fatto è da tutta la vita un componente esterno dei Pink Floyd, suonando in tutti gli album da A Momentary Lapse of Reaons e alternandosi ora tra Gilmour e ora tra Waters nei progetti solisti.

A conti fatti il suo primo gruppo, gli Industry sono stati una parentesi ma tanto è bastato per scrivere una pagina di storia della musica pop nonché splendida stella polare nel firmamento synth pop.  Celata dietro un motivetto ben orchestrato e orecchiabile, tutta la paranoia dell’escalation nucleare che fu il grande topos narrativo di quegli anni.



Altri brani new wave-synth pop-rock alternativo che incendiano l’estate sono: la ballabile e orecchiabile Big Apple dei Kajagoogoo, The Lebanon, pezzo dal tema forte e tiratissimo degli Human League e la trascinante You Take Me Up dei Thompson Twins.


Duran Duran

Una menzione a parte va spesa per The Reflex, dei Duran Duran, partiti  tre anni prima come ineffabili alfieri del new romantic la loro incursione funky-disco è in cima alle classifiche di ogni hit parade del pianeta comprese le due più importanti, neanche a dirlo, USA e U K. Secondo singolo di Seven and The Ragged Tiger, dopo Union of the Snake e prima di New Moon on Monday, manipolato dal sapiente tocco di Nile Rodgers che solo un anno prima  costruisce Let’s Dance di David Bowie,  è la canzone meno new wave del disco più new wave dei Cinque di Birmingham che immediatamente dopo il tour di Arena e il singolo A wiew to a kill, diverranno tre, fino alla riunione del 2001 che porterà all’ottimo Astronaut.

 

Quella copiosa pioggia di gemme che a settembre sarà arricchita da un capolavoro come Pride (In the Name of Love) che è con ogni probabilità il punto più alto mai raggiunto dagli U2, comprende un brano dai toni dark di rara bellezza. Elegante, poetico essenziale. Due chitarre minimaliste ma toste e una voce potente e oscura che deve qualcosa a Bowie e Silvyan, parliamo di  Heaven degli Psychedelic Furs. Ma prima che giunga l’autunno è anche l’ora dell’uscita di Some Great Reward dei Depeche Mode che per il lancio puntano tutto sulle sonorità industriali di Master and Servant.


 

L’effervescenza della scena new wave fa sì che la fioritura sia senza confini, vale la pena di riscoprire Lobo-Hombre en París degli spagnoli La Union e l’album Big in Japan dei tedeschi Alphaville che conta tra le altre, la splendida Sounds Like a Melody.



Chiudiamo in bellezza: è un dato oggettivo che gli Ultravox assieme ai Japan e ai Joy Division hanno il merito di indirizzare tutto il movimento post punk verso sonorità più acide, cupe, futuriste e romantiche, una vena forse non inesauribile ma palpitante di energia che in quella incredibile estate musicale svetta con la potentissima e struggente Dancing with Tears in My Eyes.  

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