L’errore non è stato quello di non ammettetelo lo scorso anno, è stato quello di averlo ammesso in questo, come un destino tanto ineluttabile quanto perfidamente beffardo Novak Djokovic stravince l’Australian Open. Una vittoria che per mille ragioni ha un significato che va oltre il solo fatto sportivo che è di per sé eccezionale: è la decima affermazione dell’inossidabile serbo.
Il numero uno al mondo, classifica ATP ha piazzato ace a ripetizione contro una federazione che lo sciattamente messo alla porta, ha preso a pallate coloro che hanno fatto dello sciacallaggio sulla sua onestà intellettuale e sulla sua tenuta mentale. Coloro che hanno fatto l’elenco delle sue supposte manie con l’intento di farne una specie di freak, un minus aben eletto a eroe da schiere di disadattati. Coloro che ne hanno messo in dubbio l’etica sportiva e dipinto come un megalomane egoista.
Che dice oggi quel Veronesi che un anno fa ne preconizzava ( e gli augurava) una fine miserabile? Nulla.
In ogni vicenda umana c’è sempre un momento in cui i nani si tacciono e i giganti esultano.
Ubi maior minor cessat
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