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Berlusconi: e ora con chi prendersela?

Aggiornamento: 9 ago 2023


Il 12 giugno 2023 muore Silvio Berlusconi. Se volessimo applicare il Principio di Coerenza alla società italiana una buona parte della popolazione dovrebbe scendere in piazza a festeggiare. Stappare bottiglie, e brindare alla fine del nemico. In fin dei conti è quello che molti hanno sognato/voluto/invocato/auspicato. La sparizione di Berlusconi avrebbe ridato dignità all’Italia. Basta con le bandane, basta con i sorrisini tra Merkel e Sarkozy, basta col bunga bunga, basta con le barzellette, basta con lo psiconano, basta con “quelli che non rispondono alle 10 domande”.

Facciamo un passo indietro. 23 novembre 1993. Silvio Berlusconi, in quel momento solo ed unicamente proprietario di Mediaset e presidente del Milan, va ad una inaugurazione di un punto vendita della catena Euromercato a Casalecchio sul Reno. Tangentopoli era a piena forza. La politica italiana era squassata da forze demolitrici mai viste prima. A giugno si era avuta una prima tornata di elezioni amministrative, e il PDS (Partito Democratico della Sinistra) la nuova denominazione del PCI, voluta da Achille Occhetto, è il trionfatore in molto comuni. Nel Nord est la Lega Nord conquista comuni e la parola “secessione” viene sussurrata sempre più forte. Non stiamo scherzando. Nei salotti romani del 1992-1993 l’ipotesi di un tentativo di secessione violenta di Lombardia e Veneto era considerata sufficientemente credibile da meritare qualche riunione di riflessione. Oggi ovviamente lo negano tutti. Nel novembre 1993 c’è la seconda tornata di elezioni amministrative, e stavolta tocca a Roma. 21 novembre 1993. I risultati dicono che al ballottaggio andranno Francesco Rutelli, per l’area di sinistra, e Gianfranco Fini, per l’area di destra. Carmelo Caruso, candidato della Democrazia Cristiana, il partito (ufficialmente) di ispirazione cattolica, a Roma sede del Vaticano prende solo l’11,43 %. È la fine di un’epoca. Sinistra contro Destra, e niente prigionieri. O di qua o di là. Berlusconi, che non ha mai nascosto la sua amicizia con Bettino Craxi, ex segretario del PSI costretto all’esilio politico, viene sempre più spesso chiamato in causa per un suo possibile ingresso in politica. Fino a quel momento Berlusconi ha sempre negato tutto. Ma il 23 novembre 1993 le cose cambiano. Per la stampa e la TV italiana del 1993 che Gianfranco Fini sia arrivato al ballottaggio è stato un trauma. Fini è il segretario del Movimento Sociale Italiano, i “neo fascisti”. Non è possibile che il 31% dei romani abbiano votato il MSI e Fini. Significa che la realtà raccontata da giornali e TV non è quella reale. Ci deve essere un errore. Un fraintendimento degli elettori. Un voto di rabbia contro la DC. La parte sana dell’Italia non può votare Fini. Non può minimamente pensare di sostenere la candidatura di un “neofascista a sindaco di Roma”. Nessun imprenditore potrebbe scegliere Fini su Rutelli. Il vento glorioso della Storia viaggia con Occhetto, il PDS, e Rutelli. E la stampa, sicura di cosa avrebbe risposto Berlusconi il 23 novembre 1993 nel corso della conferenza stampa per l’inaugurazione dell’Euromercato a Casalecchio del Reno pone a Berlusconi la fatidica domanda “Ma lei, se fosse residenti ea Roma, chi voterebbe al ballottaggio? Rutelli o Fini?”. Sembra una domanda come tante. E invece è la domanda che ha segnato la storia politica e soprattutto del rapporto tra stampa e politica per i trent’anni a seguire. Dalla risposta a questa domanda discendono l’accanimento giudiziario, le 10 domande, le migliaia di pagine e pagine di inchieste su Repubblica/La Stampa/ Corriere della Sera, i libri di Travaglio, le invettive di Grillo, il V-Day, i diktat anti Forza Italia dei 5 Stelle che portarono al governo Conte 1 e così via. Tutto da qui. Tutto da questa risposta. Ma cosa disse Berlusconi?

Che tra Fini e Rutelli, un liberale vero non avrebbe potuto che votare il primo, e che quindi se lui fosse stato residente a Roma avrebbe serenamente e fortemente votato per Gianfranco Fini, in quanto Rutelli era sostenuto da forze politiche contrarie al liberalesimo.

Questa risposta sincera e non diplomatica fu un trauma per la stampa. Come si permetteva Silvio Berlusconi, padrone di Mediaset, proprietario di giornali (tutte cose che dal 24 novembre 1993 divennero connotazioni negative) di dare il suo sostengo a un neofascista? Non si rendeva conto che così facendo cercava di boicottare il Vento della Storia che soffiava per il PDS? È qui, in questo giorno e in questo momento, che nasce il Totem Berlusconi, quell’anticristo politico che “impedirà all’Italia di essere un paese civile” (© di troppi scribacchini della carta stampata per poterne indicare uno).

Certo, esisteva sempre la possibilità che il ricco borghese avesse commesso un errore in buonafede, e si potesse ancora redimere sottomettendosi ai nuovi sicuri vincitori. In fin dei conti Rutelli il 6 dicembre 1993 ha vinto, e possiamo essere generosi. E invece posto di fronte alla sicura vittoria (per tutti gli analisti politici) del PDS alle prossime elezioni politiche del 27 e 28 marzo 1994, Berlusconi commise il peccato mortale, che non gli sarà mai più perdonato: fondò un partito e nel gennaio 1994 scese in campo. Il Polo delle libertà e del buon governo, questo è il nome delle due coalizioni collegate tra loro, guidate da Berlusconi, stravinsero le elezioni ribaltando un risultato dato ormai per scontato a favore del PDS di Achille Occhetto, che non si riprese mai più dalla batosta elettorale.

Da lì partì l’esperienza politica ufficiale e governativa di Silvio Berlusconi, come presidente di Forza Italia, il suo partito.

Chi darà un giudizio del Berlusconi politico/premier/statista? Solo la storia. E la storia ha bisogno di distanza. Oggi siamo tutti troppo immersi nello stesso calderone politico sociale condiviso e/o creato da Berlusconi per poterlo valutare in modo sereno e severo, come deve essere un giudizio storico. Rifuggite da chi pretende di poter giudicare la storia mentre la sta ancora vivendo. Soprattutto in politica i giudizi su uno statista vanno dati esaminando tutta la carriera politica, e soprattutto sulla base delle conseguenze durature delle sue scelte per la società del suo paese, o del fallimento delle stesse. Ma tutto questo richiede tempo e sedimentazione nel tessuto sociale di una nazione. Prendiamo Winston Churchill. La sua carriera politica ha avuto talmente tanti alti e bassi da essere quasi unica. Colpevole del massacro degli inglesi a Gallipoli nella Prima Guerra Mondiale, figura quasi macchiettistica tra le due guerre, poi Eroe e salvatore dell’Inghilterra nella Seconda Guerra Mondiale, ma poi rifiutato dagli elettori nelle prime elezioni politiche subito dopo la guerra. E poi il ritorno come Premier e infine i funerali di stato. Sarebbe molto meglio sospendere i giudizi apodittici su Berlusconi, e riconoscere che le valutazioni a caldo hanno sempre una tara di “appartenenza”. Detto questo la cosa che però gli studiosi della cronaca politica possono sicuramente fare è tentare di inserire il pensiero politico di Berlusconi all’interno di un sistema di riferimento. Questo è possibile, sulla base delle dichiarazioni programmatiche ripetute e confermate nel corso degli anni. A differenza di cosa oggi si dice Berlusconi non si è mai presentato come esponente di una qualsiasi “destra” politica. Il suo pensiero originario si proponeva come una versione italiana del liberalesimo di matrice anglosassone, volendo al tempo stesso raccogliere l’eredita centrista della Democrazia Cristiana. Quest’ultimo elemento è fondamentale. Più che un partito di un ceto particolare, come potevano essere visti il PRI (Partito Repubblicano Italiano) e il PLI (Partito Liberale Italiano) Berlusconi vedeva Forza Italia come partito in grado di accogliere varie declinazioni, proprio perché popolare ossia “di popolo”. Ecco quindi la prima generazione dei fondatori del partito (Martino, Pera, Urbani) che hanno speso tempo ed energie per tentare di dare un sostrato ideologico all’agire politico di Berlusconi, innestandolo nei filoni del Liberalesimo, dell’Atlantismo, e dell’Europeismo. Il discorso sulla valutazione politica di Berlusconi potrebbe continuare all’infinito, ma non è né il tempo né il luogo per questo. Sicuramente però si può dire che nella politica italiana dal 1994 al 2023 c’è stata un’unica costante, nel bene e nel male. E questo non è poco.


Ovviamente Silvio Berlusconi non è stato solo politica. Dall’esperienza della costruzione di Milano 2, quartiere residenziale vicino Milano, a Mediaset, passando per la Grande distribuzione con la Standa, e l’editoria con l’acquisizione della Mondadori, c’è una storia imprenditoriale precisa. È edilizia, è telecomunicazioni, è super mercati, è editoria sia da edicola che in libreria. In questo Berlusconi fu un elemento di rottura. Prima le dinastie imprenditoriali italiane non erano mai scese in campo in prima persona nella politica. Agnelli, Falk, Pirelli… La politica era una cosa, l’economia un’altra, l’industria un’altra ancora. È vero che ogni tanto un esponente delle famiglie “che contano” scendeva in politica, ad esempio Umberto Agnelli che è stato senatore DC, ma Con Berlusconi tutto cambia. L’industriale che entra in politica non lo fa solo per dare “lustro” alla famiglia, o per vigilare discretamente sugli interessi dell’azienda. Berlusconi diventa da subito premier, ossia colui che governa, può decidere e orientare scelte industriali e finanziarie. E questo crea innegabilmente delle domande. Se chi deve definire le leggi che regolano settori industriali o dell’informazione è esso stesso attore principale in quei settori come evitare conflitti di interessi o leggi ad personam? Nel lessico politico e sociale entra il concetto “conflitto di interessi”, e cosa più importante si cercano di modellare strumenti in grado di risolvere questi eventuali conflitti. Sarebbe nato questo dibattito senza Berlusconi, senza cioè una forza che imponeva alla società di prendere atto che ormai l’intreccio tra economia, industria, comunicazione e politica era talmente stretto da doversi per forza dotare di regole nuove rispetto a quando l’industriale X al massimo finanziava le campagne elettorali di tizio o caio?

E accanto alla politica e agli affari non possiamo dimenticare l’aspetto sportivo. Inizialmente Berlusconi intendeva comprare l’Inter, ma la famiglia Moratti non accettò l’offerta. Ecco quindi che il 20 febbraio 1986 Berlusconi divenne proprietario del Milan. Tra il 1986 e il 1994 passano 8 anni. Berlusconi nei primi anni ’90 allarga la penetrazione nel mondo dello sport, tramutando la società sportiva Milan in una polisportiva, ampliando il campo di attività ad altri sport come Rugby (Amatori Milano), pallavolo (Gonzaga Milano), Hockey su ghiaccio (Devils Milano) e baseball (Milano Baseball). Berlusconi sicuramente vide nello sport un altro settore dell’intrattenimento con enormi potenzialità di crescita (e in effetti ebbe ragione) e dal 1986 al 2017 fu il presidente del Milan, affidando la gestione della squadra ad Adriano Galliani. Nel 2017 la Fininvest cedette il 100% delle quote societarie del Milan a un imprenditore cinese, Li Yonghong, che qualche anno dopo l’avrebbe rivenduto a un fondo USA. Il richiamo dello sport però era troppo forte, e nel 2018 Berlusconi divenne presidente del Monza, società calcistica di serie C, che grazie agli investimenti inizio un percorso che nel 2022 lo avrebbe portato in serie A

Berlusconi è stato uno statista? Sì, ovvio. E chi lo nega lo fa per pregiudizio ideologico. È stato uno statista che ha sempre avuto ragione e ha mantenuto le promesse elettorali? Ovviamente no. Le promesse elettorali da qualsiasi parte provengano svaniscono la mattina dopo le elezioni, quando arriva la realtà della vittoria o della sconfitta. Attaccare Berlusconi perché promise “un milioni di posti di lavoro”, o perché firmò “il contratto con gli Italiani” nello studio di Vespa e poi “non ha mantenuto la parola”, è infantile. Quella non era politica. Era spettacolo e campagna elettorale, esattamente come la scelta della cravatta migliore per i dibattiti presidenziali USA.

Il vero giudizio sugli statisti lo danno la storia, le conseguenze a lungo termine delle scelte politiche, le scelte per la difesa dell’interesse nazionale strategico contro chi vorrebbe depredare l’economia di un paese, se lo spazio di libertà di espressione individuale aumenta tra l’inizio della sua carriera e la fine, e l’indicatore del PIL. Se nel ungo periodo le scelte politiche (decentramento, autonomia più o meno differenziata, ecc…) dimostrano di semplificare la vita quotidiana dei cittadini, se le scelte politiche di protezione degli interessi nazionali impediscono la svendita di asset basilari per il tessuto economico industriale di una nazione, se la ricchezza individuale cresce allora lo statista X merita un giudizio positivo. Se avete notato abbiamo usato la formula “Spazio di libertà di espressione” e non “diritti civili e/o individuali”, perché sono due cose diverse. I diritti civili e/o individuali possono anche non essere SOSTANZIALI alla cittadinanza, ma derivare da scelte legislative della società. Il matrimonio, così come codificato dalla legge non è un diritto inalienabile e sostanziale alla cittadinanza. È una modalità in cui si esprime il diritto SOSTANZIALE a creare legami stabili e con tutela dei figli nati da questi legami, senza che enti terzi (stato, chiesa, santoni, o altro) impediscano la libertà dell’individuo. Diversa cosa è la libertà di espressione. Questo è un diritto SOSTANZIALE dell’essere cittadini, e un metro di valutazione per uno statista è se nel corso della sua carriera di governo e di pensiero abbia ridotto o ampliato lo spazio di libertà di espressione dei singoli, con leggi e norme in questo senso.

È su questo che dovremmo valutare l’opera politica di Berlusconi. Non se si metteva la bandana quando era in vacanza, o se andava a letto con una 19enne. Il giudizio morale è una cosa, il giudizio politico un'altra. Con Berlusconi invece tutto si è mescolato assieme, perché bisognava fargliela pagare per Fini e per la discesa in campo.

Ci sono giornalisti, direttori di riviste, conduttori televisivi, politici, capipopolo, tribuni, che hanno costruito la loro carriera anti e contro Berlusconi. Un nome per tutti: Marco Travaglio. Oggi cosa faranno? Un necrologio ipocrita? L’applicazione del antico precetto per cui “i morti sono tutti brave persone”?

Berlusconi è morto. L’Italia del 2023 piaccia o meno è figlia sua, molto più di quanto sia figlia di Renzi, Occhetto, Serracchiani, Fassino, Bossi, Fratoianni, Fini. Ma non è stato lui a organizzare e dirigere ogni singolo errore e volgarità di questi 30 anni. Gli italiani ci hanno messo del loro. Berlusconi però era il capro espiatorio perfetto. Lo stato non vuole combattere la Mafia? Colpa di Berlusconi. Lo stato non vuole combattere l’evasione fiscale? Colpa di Berlusconi. Gli italiani sono sessisti e volgari? Colpa di Berlusconi. La politica è corrotta? Colpa di Berlusconi. In Africa i bambini fano il bagno nelle acque infette e prendono il colera? Colpa di Berlusconi.

E adesso? Chi potrà sostituirlo?

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