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I Maneskin espugnano Sanremo con "Zitti e Buoni"

Aggiornamento: 23 mar 2021


Una due giorni per molti versi epocale, quella che si è conclusa alle due di stanotte. Ha aperto le danze, Draghi. Ha stabilito la linea guida, l’ha fatta digerire a tutti, a partire da Boris Johnson e Ursula von der Leyen e chissà che quest’ultima non si stia domandando se nel cambio Conte-Draghi ci abbia guadagnato l’Italia ma l’Europa un po’ meno. Il Papa intanto, sceglie proprio la terra in cui lo sport nazionale è tirare in testa a un cattolico, per riportare la chiesa al centro del villaggio. Si ricorda, finalmente e tardivamente, dei credenti più vessati del pianeta. Ma nel farlo, lo fa alla grande. Gli effetti si avvertono anche in Russia, dove l’enciclica viene fatta rimbalzare proprio dalla comunità islamica. Che è la seconda per numero di credenti dopo gli ortodossi. Con un pizzico di malizia si potrebbe pensare che gli islamici russi lo usino per indebolire gli ortodossi, e che magari si gioca su una scacchiera in cui i pezzi sono le coscienze ma tutto va bene se serve allo scopo: aprire una stagione di dialogo e salvare quante più vite possibile. Un così straordinario flusso di eventi non poteva che avere un epilogo coi fuochi d’artificio. O meglio ancora, con una scarica elettrica sotto forma di spartiti musicali, basso e chitarra affilati come lame e un pezzo che ha già fatto storia, perché da stanotte quell’assioma, verità, postulato, tabù (fate voi), è infranto! Il rock può avere la meglio su Sanremo. Espugnata la roccaforte del binomio cuore-amore. I sintomi c’erano tutti, una coppia di conduttori e direttori artistici che si occupa di musica praticamente da sempre e che impone una linea inedita e temeraria. Tant’è che era dall’edizione del 61 che non si assisteva a un’imbarcata così corposa di belle speranze. Quella volta debuttarono: Adriano Celentano, Milva, Little Tony, Pino Donaggio, Tony Renis, Gino Paoli, Giorgio Gaber. Molto del meglio della musica leggera italiana e internazionale che sarebbe stata protagonista nei venti anni successivi. Tornando all’oggi e ai segni, quella cover ostica e ambiziosa in coppia con Manuel Agnelli aveva lasciato presagire che i quattro di Roma la sapessero lunga. Scegliendo Amandoti, s’avventurano sulle tracce non di uno ma ben due assi. Il primo è, ubi maior minor cessat, sua maestà il genio: Giovanni Lindo Ferretti e i suoi leggendari CCCP che inseriscono questo capolavoro dell’amor dolente nel loro ultimo afflato: Epica Etica Etnica Pathos. Il secondo asso è la toscana rocckettara, l’inossidabile Gianna Nannini che la recupera nel 2004. Formazione essenziale: voce, chitarra, basso, batteria. Nulla di più, nulla di meno. Zero tastiere, e zero fiati. In genere scelgono questo assetto, quei gruppi che sanno come giocarsela con le corde, o quelli veramente incoscienti. Due facce della stessa medaglia: il rock! Attenzione! Da sassofonista ancorché amatoriale, un sax in mezzo ce lo metto sempre, come pure una tastiera. Ti riempie i buchi, ti copre le magagne. Fa sognare. Ma loro invece, no. Loro sono i Maneskin! (ma guarda?). Infilati dentro a guaine glam idealmente sottratte a David Bowie, sferragliano di brutto mescolando tecnica e vitalità giovanile. Celebrati dalla Roma all'Olimpico prima della partita vittoriosa sul Genova, a loro il destino ha riservato ciò che neppure a Vasco Rossi, Zucchero, Decibel, alla Oxa versione punk, ai Bluvertigo, Pelù e ai Subsonica è stato concesso. Arrivare in cima, quella dove arriva uno su mille (per richiamare un trio che il festival se l’è portato a casa). Damiano David, il cantante e front man del gruppo ha una voce e presenza scenica fuori dal comune, Victoria De Angelis, la bassista è deliziosa e grintosissima e a dispetto della silhouette filiforme, Thomas Raggi alla chitarra picchia duro che è un piacere, assistito, va certificato, da un bagaglio tecnico di prim’ordine. Chiude la line up Ethan Torchio alla batteria, dove non sfigura. Insomma, i Maneskin si confermano tecnicamente notevoli, potentissimi e gagliardamente sfrontati! E questo è l’altro bel motivo per cui la loro vittoria è un’autentica gioia. I loro coetanei e quelli anche più piccoli di loro, stanno vivendo un tempo terribile. Qualcosa che li segnerà probabilmente per la vita. Ebbene, la scossa elettrica che questi quattro giovani diavoli sprigionano è quanto di meglio potesse capitargli. Oltre a loro mi sono piaciuti Fulminacci (bravissimo e intelligente), il sempre disarmante Lo Stato sociale, Arisa, che meritava di più, Coma Cose (solari e disimpegnati), Bugo, il più interessante. Stendo un velo pietoso sull’altro romano, la star del festival col nome da piroscafo… è sconcertante come sia riuscito a far suo il peggio dei peggio, a partire da Manson e Lady Gaga, rimescolandoli in una retorica da accerchiato infarcita di trashate assortite. Male anche Max Gazzé. Del bassista cantante che s’ispirava a Sting è rimasto nulla. Nel complesso, questo festival va accolto con favore. Segnala un certo fermento giovanile come non si vedeva da anni, però, perché c’è un però, se poi il meglio della serata arriva quando passate le ventiquattro da una mezzora, sul palco esplodono Stella stai e Gloria di un sessantanovenne Umberto Tozzi in forma strepitosa (deve esserci in tasto per votarlo, maledizione!), vuol dire che questi fanciulli devono ancora farne parecchi di palchi e di testi… ma se tanto mi dà tanto…

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