
Le notizie possono essere tante cose. Semplici dati, presentati in modo asettico; strumenti con cui distrarre l’attenzione dei lettori da altre notizie; armi di lotta politica, contro l’avversario. Dipende tutto da come le si usa. Per chiarire: abbiamo il dato, e poi l’uso del dato. Spesso il dato principale contiene al suo interno altri dati che lo costituiscono.
Immaginate la notizia finale come un mosaico. L’immagine complessiva è costituita da minuscoli elementi, che posti in una sequenza specifica arrivano a un risultato. Ma se ponessimo gli stessi elementi in un’altra sequenza arriveremmo a un risultato diverso.
Oggi nel giornalismo non ci si limita più solo a dare le notizie. L’elemento principale della discussione è l’analisi dei dati. Ossia prendiamo il dato finale di un processo e proponiamo a chi ci ascolta una analisi che spiega il significato del dato. Il dato di per sé è neutro. È l’analisi che ne facciamo e che proponiamo che gli dà un senso, un senso che vale per chi ci ascolta.

Facciamo un esempio. Elezioni politiche in UK. Il partito laburista con Starmer vince. Se però si analizzano i dati che compongono il risultato si scopre che a) il partito laburista ha avuto numericamente meno voti delle ultime elezioni; b) il partito di Nigel Farage ha sottratto ai conservatori voti tali che fanno sì che in una corsa maggioritaria secca i laburisti siano arrivati primi ma la sommatoria dei voti conservatori + Farage in molti casi era maggiore di quella dei voti dei laburisti; c) il sistema elettorale UK è un unicum. Maggioritario secco a un turno. Applicando lo stesso sistema elettorale in Francia Marine Le Pen avrebbe avuto una maggioranza assoluta. Invece, leggi elettorali diverse portano a risultati diversi.
In UK il partito che in molti casi era minoritario come numero di voti aritmetico ha avuto la maggioranza assoluta. In Francia il partito che ha la maggioranza aritmetica die voti, arriva terzo come numero di seggi. Il problema è che in una comunicazione sempre più concentrata, anzi liofilizzata, vale solo lo slogan. X vince, Y perde. Senza capire cosa sia successo, e soprattutto trasferendo i risultati ottenuti da Tizio all’interno del contesto unicum del paese di Tizio, anche da noi, senza considerare che sistemi elettorali diversi portano nei fatti a risultati diversi.
Perché questo preambolo? Perché oggi in Italia il giornalismo politico, che dovrebbe essere il luogo in cui sviluppare e portare avanti analisi sui dati, cogliendo e riflettendo sui singoli elementi che costituiscono il dato, così da aiutare il lettore a cogliere la complessità dell’esistente, e la mala fede di chi semplifica tutto ad uso e consumo della sua parte, è appiattito solo nel rilevare il dato. O per esaltarlo, o per subirlo e difendersene, accentandolo come verità rivelata, invece di metterlo in discussione con un’analisi lucida.

Arriviamo al punto della discussione: la rielezione di Ursula Von Der Leyen a Presidente della Commissione Europea.
Il voto per il presidente della Commissione europea non si esprime per nazioni. Non ci sono 27 voti, uno per membro dell’UE. Il voto è espresso dai partiti politici rappresentati nel Parlamento. Per i singoli Paesi dell’UE i singoli partiti che sono entrati nel parlamento europeo grazie alle elezioni nei singoli Stati, votano. Se un Paese porta nel parlamento europeo 10 partiti ci saranno 10 voti. Se le elezioni europee in Italia hanno fatto sì che 8 formazioni (FdI, FI, Sudtiroler, Lega, PD, M5, Sinistra Italia, Europa Verde) abbiano superato il quorum e si siano divisi i 76 seggi che il regolamento UE assegna all’Italia, questo vuol dire che per le elezioni del Presidente della Commissione 8 formazioni politiche italiane potevano votare. Non esisteva un voto dell’Italia a Ursula Von Der Leyen, ma un voto dei singoli partiti/formazioni.
Ora vediamo come hanno votato queste 8 formazioni:
Pd, FI, Sudtiroler, Europa Verde a favore della rielezione di Ursula Von Der Leyen.
Sinistra Italiana, M5, FdI, Lega contro la rielezione.
Se il dato principale è la rielezione, le tessere del mosaico che compongono il mosaico sono le seguenti:
la rielezione di Ursula Von Der Leyen ha diviso trasversalmente sia partiti di governo che partiti di opposizione.
Se si prende sul serio l’affermazione secondo cui il governo ha mostrato divisione nel voto, allora l’opposizione ne ha mostrata ancora di più. Pd e Verdi hanno votato a favore, ma M5S e Sinistra Italiana hanno votato contro. Se la divisione su Ursula Von Der Leyen è sintomo di tensioni nel governo, perché non dovrebbe essere lo stesso per l’opposizione?
Alle elezioni europee Sinistra e Verdi si sono presentati insieme, con la sigla AVS, Alleanza Verdi Sinistra, ottenendo 6 seggi, due per la Sinistra (Salis e Lucano) tre per i verdi, e un indipendente. Sinistra italiana ha votato contro la rielezione, i verdi a favore. Se Forza Italia e le altre due forze di governo dovrebbero litigare, e il governo dovrebbe sciogliersi perché Forza Italia ha votato a favore di Ursula Von Der Leyen e Lega e FdI no, allora perché la federazione AVS non dovrebbe implodere allo stesso modo? Fratoianni e Bonelli hanno fatto scelte identiche a quelle che hanno fatto Meloni e Tajani. Allora perché Meloni e Tajani dovrebbero litigare, e Fratoianni e Bonelli no? Senza mettere in conto il fatto che Salis, entrata grazie agli sforzi congiunti con Bonelli, ha appunto votato contro.
Fin qui speriamo di essere stati chiari. Ora però il vero problema è: perché nessuno dice queste cose? Perché gli analisti politici, i cronisti, coloro che dovrebbero cogliere i dati che compongono il mosaico, non portano all’attenzione di lettori e ascoltatori questi dati?
A livello giornalistico la cosa lascia un po’ sconcertati. Il giornalista politico, non chi prende i comunicati degli uffici stampa e li riporta pari pari, ma chi indaga (il giornalismo di indagine, quello vero, non quello usato per colpire gli avversari) queste cose dovrebbe coglierle alla prima lettura delle agenzie che riportano le notizie. Dovrebbe vedere che le contraddizioni imputate a Tizio, sono anche nel campo di Caio, e dirlo ai lettori. Non per parteggiare per Caio o Tizio, ma per far capire ai lettori che la realtà è più articolata e complessa. E che chi vuole presentarla in modo semplicistico lo fa o per mala fede, o per incapacità professionale.
Lo scopo del giornalismo non è fare la figura dei salvatori della democrazia nei talk show, e se vogliamo nemmeno quello di rompere le scatole ai presunti potenti.
Lo scopo del giornalismo è aiutare le persone comuni a saper giudicare, e per farlo bisogna essere onesti intellettualmente, cogliere le contraddizioni nei vari campi, e portarle alla luce, così che le persone non si accontentino di una narrazione facile, semplificata, fatta su misura per la parte politica X o Y.
È evidente, sempre limitandoci a un discorso tecnico di giornalismo, e non di parte, che oggi è necessario pensare in modo diverso da prima. La comunicazione di analisi, ossia quella che dovrebbe essere propria del giornalismo politico non meramente cronachistico, ma che riflette sui dati e ne propone letture (da accettare o rifiutare, ma su cui il lettore dovrebbe riflettere così da essere consapevole delle reali dinamiche che percorrono la società) non passa più o non solo per la carta stampata.
È necessario trovare modi aggiuntivi alla carta stampata, per allargare il più possibile la platea da raggiungere. È un fatto che negli ultimi anni i giornali vivano una crisi di vendite e di autorevolezza. I numeri del venduto di anche solo dieci anni fa sono un sogno. Dalle centinaia di migliaia di copie si è passati alle decine di migliaia di Repubblica, cosa che quasi sempre ha portato a una cristallizzazione dei giornali nel presentare le notizie in modo da confortare i pregiudizi e i preconcetti del pubblico rimasto. I quotidiani si sono generalmente trasformati in megafoni di ideologie, con chiavi di letture delle notizie predeterminate dalla direzione, che servono a “coccolare” i lettori ideologicamente affini, ma che progressivamente deludono chi cerca analisi libere. Ovviamente non siamo ingenui: i giornali sempre stati la voce di gruppi ben caratterizzati. Confindustria, Fiat, i Partiti. Quasi mai un quotidiano è stato totalmente libero nell’analizzare le notizie e proporre chiavi di lettura. Chi finanzia, dirige.
Legge cruda, sgradevole a sentirsi, ma reale. La situazione attuale della stampa quotidiana è un residuo dell’epoca passata, con una evidente sproporzione di forze tra chi porta avanti visione diverse. Da un lato i resti (come lettori) dei quotidiani come Repubblica, Stampa, Corriere della Sera, e dall’altro testate che propongono letture diverse, come Il giornale, Libero, La Verità, Il Tempo. Ci sono voci isolate, non ascrivibili a uno o all’altro schieramento, come il Fatto quotidiano appiattito sul M5S o Avvenire, che spesso è l’unico a parlare di argomenti di politica estera o sociale diversi dagli altri, ma poco altro.

La sproporzione di diffusione tra i due campi prima descritti è ancora grande, e quindi è ovvio che a volte chiavi di lettura diverse da quelle date dal primo campo (come, ad esempio, quello sulle votazioni per Ursula Von Der Lyen) non riescano a trovare lo stesso spazio. Anche perché lo scenario in televisione, dove la politica si fa e diviene show, propone le medesime disparità. Al netto della famigerata Tele Meloni (tra leggenda metropolitana e diceria da propaganda spicciola) che non è dato sapere su quale frequenza si veda, i soli Porro, Del Debbio e Giletti, più Mosca che porta a vanti una sola politica: la sua, sono numericamente pochi rispetto ai vari Formigli, Berlinguer, Merlino, Floris, Gruber, Augias, Telese e Tiziana Panella che è stata assessore alle Politiche e ai Beni Culturali, ai Grandi Eventi, al Marketing territoriale e all'Editoria nella giunta a guida PD della provincia di Caserta di Sandro De Franciscis, dal 2005 al 2008. A ciò aggiungiamo quegli spazi come Fabio Fazio, non propriamente politici ma che se ne occupano. A questo pinto vale la pena anche solo come citazione, menzionare Beppe Caschetto, agente dei pesi massimi con tessera PD ed eminenza grigia dei palinsesti RAI, LA 7 e 9.
Ma se la concentrazione di interessi politico finanziari e relativi volti-alfieri tira prevalentemente in una sola direzione con grave danno per la libera circolazione delle opinioni, la sfida è trovare nuovi spazi per far arrivare i contenuti diversi dalla vulgata ufficiale, ai lettori, così che possano avere un quadro più ampio e formarsi opinioni maggiormente consapevoli. Se la carta stampata è nella fase terminale di un ciclo iniziato nell’’800 e la televisione è monocorde, è necessario trovare modi per usare efficacemente le nuove tecnologie di comunicazione e le nuove opportunità offerte dai social e dalla rete. Web-press, newsletter, Videocast, portali di notizie e contenuti. Esistono praterie sconfinate per trovare nuovi modi per diffondere contenuti e raggiungere nuovo pubblico, per contro, ragionare secondo vecchi schemi porta gli stessi limiti.
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