La Venere di Botticelli gusta la pizza e visita il Colosseo
Lo stereotipo come leva pubblicitaria convince ancora?
La Venere di Botticelli gusta un trancio di pizza, alle spalle, il Colosseo. La differenza tra sintesi suggestiva ed elenco didascalico è sottile ma sostanziale. In generale, determina ciò che vince da ciò che fallisce. La pubblicità risponde a delle regole strategiche: reason why, benefit e caracter. Qui sembrano tutte disattese. Una creatività si compone di un big visual (foto o illustrazione o entrambe), body copy ( testo descrittivo) e claim e payoff (slogan).

Se questi sono i punti cardinali, Open to meraviglia non vende nulla perché non declina nulla . La pubblicità con Venere e pizza non è solo didascalica, è banale. Esattamente che vende e a chi? Chi viene a Roma per il Colosseo sa già che lo troverà. Il claim “Open to meraviglia” è brutto, cacofonico. Vuole essere maccheronico ma è sciatto. Se proprio non si poteva fare a meno di “meraviglia” abbinato alla pizza, avrebbero potuto puntare sull’iconico Veni Vidi Meraviglia.
Giulio Cesare e il latino vanno evidentemente benissimo per vendere le sigarette americane ma non le bellezze italiane agli americani. Il turismo in Italia è di tipo mordi e fuggi. Chi viene, fa il giro delle chiese, visita il Colosseo e scappa. La pubblicità non deve vendere il fisiologico (pizza=cibo; Colosseo=patrimonio architettonico), perché si vende da solo. La pubblicità dovrebbe suggerire altre leve, abbiamo il mare su tre lati, abbiamo la moda, le montagne. Visual e claim, punto su cui vale la pena tornare, sono scolastici. Peggio, non intrigano. Una combinazione che non suggerisce, non cattura! Avranno lavorato sulla creatività durante la pausa caffè e poi visionata e approvata da qualcuno che si occupa di tutto tranne che di comunicazione? Per contro, se ne sta parlando e parecchio quindi da un certo punto di vista, l’effetto c’è. Rimbalzando da sito a sito e da un profilo Facebook all’altro, sta fruttando molto più dell’investimento di 9milioni che per inciso, non riguarda la sola creatività ma l’intera campagna. Quindi l’effetto eco è sufficiente? Bene o male purché se ne parli? Il punto è che sembra una navigazione a vista. Il problema dell’incapacità di fare comunicazione istituzionale non è di oggi, basti ricordare l’orripilante Rome & You e il terribile Romarama ma in quei casi si sconfina nel dilettantismo, Armando Testa è tra i comunicatori che hanno fatto la storia, anche se in pausa caffè. Resta il fatto che se i motivi per credere e i vantaggi nel venire in Italia sono perimetrati nella pizza, mandolino, Botticelli e Colosseo, siamo nell’area dello stereotipo più abusato, buono per confermare ma non per ampliare il bacino d’utenza. Al turista devi offrire altre “occasioni d’acquisto “, devi intercettare i giovani che percepiscono l’Italia come un pensionato, devi avere un turismo congressuale, devi proporre le tipicità locali. Uno dei problemi è connesso alla globalizzazione che ha fatto scemare il potere seduttivo della moda italiana. Se Gucci, Valentino, Armani e Fendi li trovi ovunque, la fascinazione ne risente. Ma è un problema che Armando Testa deve saper risolvere, sennò non serve Armando Testa. Da ultimo, ma l’inglese non era bandito? E non mi si risponda che è la lunga universale, vuoi vendere il marchio Italia? Vendilo in latino. Lo comprendono tutti tranne che noi!