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La Venere di Botticelli gusta la pizza e visita il Colosseo

Aggiornamento: 9 ago 2023

Lo stereotipo come leva pubblicitaria convince ancora?

La Venere di Botticelli gusta un trancio di pizza, alle spalle, il Colosseo. La differenza tra sintesi suggestiva ed elenco didascalico è sottile ma sostanziale. In generale, determina ciò che vince da ciò che fallisce. La pubblicità risponde a delle regole strategiche: reason why, benefit e caracter. Qui sembrano tutte disattese. Una creatività si compone di un big visual (foto o illustrazione o entrambe), body copy ( testo descrittivo) e claim e payoff (slogan).

Se questi sono i punti cardinali, Open to meraviglia non vende nulla perché non declina nulla . La pubblicità con Venere e pizza non è solo didascalica, è banale. Esattamente che vende e a chi? Chi viene a Roma per il Colosseo sa già che lo troverà. Il claim “Open to meraviglia” è brutto, cacofonico. Vuole essere maccheronico ma è sciatto. Se proprio non si poteva fare a meno di “meraviglia” abbinato alla pizza, avrebbero potuto puntare sull’iconico Veni Vidi Meraviglia.

Giulio Cesare e il latino vanno evidentemente benissimo per vendere le sigarette americane ma non le bellezze italiane agli americani. Il turismo in Italia è di tipo mordi e fuggi. Chi viene, fa il giro delle chiese, visita il Colosseo e scappa. La pubblicità non deve vendere il fisiologico (pizza=cibo; Colosseo=patrimonio architettonico), perché si vende da solo. La pubblicità dovrebbe suggerire altre leve, abbiamo il mare su tre lati, abbiamo la moda, le montagne. Visual e claim, punto su cui vale la pena tornare, sono scolastici. Peggio, non intrigano. Una combinazione che non suggerisce, non cattura! Avranno lavorato sulla creatività durante la pausa caffè e poi visionata e approvata da qualcuno che si occupa di tutto tranne che di comunicazione? Per contro, se ne sta parlando e parecchio quindi da un certo punto di vista, l’effetto c’è. Rimbalzando da sito a sito e da un profilo Facebook all’altro, sta fruttando molto più dell’investimento di 9milioni che per inciso, non riguarda la sola creatività ma l’intera campagna. Quindi l’effetto eco è sufficiente? Bene o male purché se ne parli? Il punto è che sembra una navigazione a vista. Il problema dell’incapacità di fare comunicazione istituzionale non è di oggi, basti ricordare l’orripilante Rome & You e il terribile Romarama ma in quei casi si sconfina nel dilettantismo, Armando Testa è tra i comunicatori che hanno fatto la storia, anche se in pausa caffè. Resta il fatto che se i motivi per credere e i vantaggi nel venire in Italia sono perimetrati nella pizza, mandolino, Botticelli e Colosseo, siamo nell’area dello stereotipo più abusato, buono per confermare ma non per ampliare il bacino d’utenza. Al turista devi offrire altre “occasioni d’acquisto “, devi intercettare i giovani che percepiscono l’Italia come un pensionato, devi avere un turismo congressuale, devi proporre le tipicità locali. Uno dei problemi è connesso alla globalizzazione che ha fatto scemare il potere seduttivo della moda italiana. Se Gucci, Valentino, Armani e Fendi li trovi ovunque, la fascinazione ne risente. Ma è un problema che Armando Testa deve saper risolvere, sennò non serve Armando Testa. Da ultimo, ma l’inglese non era bandito? E non mi si risponda che è la lunga universale, vuoi vendere il marchio Italia? Vendilo in latino. Lo comprendono tutti tranne che noi!

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