Il Conte di Montecristo, dal genio di Alexandre Dumas, una storia senza tempo
- Tiziano Canale
- 28 mar
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 29 mar
Certe storie non ti abbandonano. Ti si piantano dentro come una scheggia e, anche a distanza di anni, continuano a pulsare sottopelle. Il Conte di Montecristo è una di queste.
Alexandre Dumas non ha scritto solo un romanzo d'avventura: ha scolpito un monumento alla vendetta, alla giustizia, alla trasformazione dell’uomo quando il mondo gli crolla addosso.
Edmond Dantès, giovane marinaio pieno di sogni e promesse, si ritrova in un incubo fatto di tradimenti, prigione e infiniti silenzi. Ma invece di spezzarsi, si trasforma. Rinasce. E torna, non come vittima, ma come spettro elegante e implacabile: il Conte di Montecristo.
La sua è una discesa negli inferi che affascina e inquieta. Chi non ha mai fantasticato almeno una volta di vendicarsi con stile?

Ma Montecristo non è solo una storia di vendetta ben servita. È un viaggio dentro l’animo umano, in quei territori grigi dove si mischiano dolore, desiderio di giustizia e ossessione. E poi c’è quel tesoro nascosto... che ha fatto luccicare gli occhi a intere generazioni, come una caccia al sacro Graal del riscatto personale.
Sul fronte cinematografico, il romanzo è stato adattato e rimaneggiato più volte, come una sinfonia suonata da orchestre diverse. C'è stato il fascino compassato di Robert Donat nel 1934, l’esordio del giovanissimo Andrea Giordana nella miniserie TV, ma di stampo teatrale, del ’66 alla regia di Edmondo Fenoglio, l'intensità di Gérard Depardieu nella miniserie del ’98, e il ritmo serrato e hollywoodiano di Jim Caviezel nel 2002, che ha impacchettato la storia per il pubblico moderno, rendendola un po’ più action, un po’ più digeribile, ma comunque efficace.
È del 2024 l’adattamento con Pierre Niney nei panni del Conte, punta (quasi) tutto sull’intrattenimento puro. Spettacolare, visivamente potente, forse meno fedele al testo, ma capace di catturare l’attenzione di chi il romanzo non l’ha mai nemmeno sfiorato.

Menzione d’onore per il nostro Pierfrancesco Favino, che interpreta un Abate Faria magnetico e intenso, anche se relegato a un ruolo secondario. Ma quando compare, lascia il segno. Nel valzer degli adattamenti entra anche la Rai che in collaborazione con la transalpina France Télévisions, appena un mese fa ha messo in onda un indovinato adattamento interpretato da Sam Claflin e un impareggiabile Jeremy Irons.
Ogni versione ha il suo taglio. C'è chi ha visto nel Conte un freddo calcolatore, chi un eroe romantico, chi un’anima in pena che non riesce più a distinguere vendetta e giustizia. E questo, forse, è il miracolo dell’opera di Dumas: la sua elasticità emotiva e morale. Il Conte è uno specchio. Cosa ci vedi, dipende da te.
Del resto, il tema della vendetta attraversa secoli, culture e religioni. Dai miti greci alle saghe nordiche, dalla tragedia shakespeariana a Kill Bill, l’idea di ristabilire un equilibrio violato ci parla in modo universale. Ma Montecristo va oltre. Non si ferma al colpo di scena. Ci fa riflettere sul prezzo che paghiamo quando decidiamo di “fare giustizia da soli”. E su quanto, a volte, la giustizia possa essere più una tentazione che una virtù.
Alla fine, Il Conte di Montecristo è un libro a cui si torna sempre, come a un amico d’altri tempi: affascinante, elegante, forse un po’ melodrammatico, ma che sa ancora sorprenderti quando meno te l’aspetti.E poi, ammettiamolo: chi non ha mai desiderato vendicarsi con stile, maschera sul volto, tesoro in tasca e il mondo ai propri piedi.

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