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Non sparate su Alain Elkan. Ci ha pensato da solo

Aggiornamento: 20 ago 2023

“Una prosa da seconda elementare ma il capolavoro è la virgola tra treno e era. Poi ve la prendete con Lapo...”
(Pier Luigi Manieri)

Tutto sommato, quanto è doveroso dire a proposito dello sfortunato editoriale di Elkan, è riassumibile in un commento a un post su Facebook. Il commento è ripubblicabile perché è farina del sacco dell’estensore. Ma volendo allungare un brodo che giustifichi un articolo (prendiamo esempio dal Maestro), si potrebbe cominciare col dire che “scarpe da ginnastica di marca Nike” è illeggibile. Scarpe da ginnastica Nike o della Nike, è oggettivamente più scorrevole. Ma questi sono dettagli e allora parliamo del treno. Quella prima classe esplicitata la cui funzione dovrebbe stare nel porre un termine di paragone? Non ci sono più le prime classi di una volta? Che ci fa un’orda di coati imberbi in prima classe? In realtà, l’intero articoletto è piuttosto patetico, sterilmente autoreferenziale, spudoratamente inconsistente. Elkan lo ha buttato giù e lo ha pubblicato sul giornale di famiglia. Suo figlio John che siede a capo della Exor è di fatto il suo datore di lavoro. La Exor, lo ricordiamo è proprietaria di un impero dell’informazione che comprende The Economist e il Gruppo GEDI, del quale fanno parte, La Stampa, Il Secolo XIX e appunto, La Repubblica. Lo ricordiamo perché negli ultimi trent’anni si è molto discusso della concentrazione dell’informazione nelle mani di Berlusconi ma nessuno ha mai trovato nulla da ridire sulla posizione dominante degli Agnelli. Conclusa la digressione, torniamo a bomba: Elkan percepisce sé stesso come un Hemingway. Un viaggiatore misterioso su un mezzo da trasposto dal fascino retrò. Indossa un abito in lino “stazzonato”, ha con sé una cartella di cuoio, immaginiamo anch’essa consumata (suggerimento per un articolo successivo) e legge Proust. Deve essere un’edizione rarissima, l’unica composta da capitoli e non da volumi. Per la precisione, il quarto volume (per tutti noi che non siamo lui) de La Ricerca del tempo perduto è intitolato, guarda il caso, Sodoma e Gomorra. Ma Elkan è troppo avanti nel suo essere demodé per quisquiglie come la struttura narrativa di un’opera. Ci rammenta che legge in tre differenti lingue, e noi sommessamente gli auguriamo di esprimersi meglio col francese e l’inglese di quanto non faccia con l’italiano, perché passi la costruzione grammaticale, scolastica, a dire tanto; passi la prosopopea del tutto ingiustificata; passi che fondamentalmente è un racconto che suscita il medesimo interesse esercitato da Disco Paradise di Fedez e J- Ax, in abiti vintage da bimbominkia anni ’70 e ’80, passi tutto questo e molto altro ancora, ma la virgola tra soggetto e verbo è da dietro la lavagna.

Eppure Alain Elkan ha almeno due primati; il primo è quello di aver messo tutti d’accordo. Da destra a sinistra, da progressisti a conservatori, da lettori famelici ai tik toker, il suo testo è all’unanimità la più clamorosa e al tempo stesso, insignificante scemenza dell’estate. Talmente inqualificabile che persino i redattori del giornale di suo figlio ne hanno preso le distanze. E questo è incontrovertibilmente, il primato numero due.

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