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Pier Luigi Manieri

I Duran Duran sono tornati!

Aggiornamento: 12 lug 2022

“Siamo una delle più importanti rock band del ventesimo secolo, non ne sono rimaste molte…”. Sono tornati i Duran Duran!

Gli eterni Wild Boys festeggiano i 40 anni di Rio al festival "La prima estate" per l’unica data italiana. Brani da Rio, Duran Duran, Astronaut e Futur Past, l’ultimo album

Sono sulla scena esattamente da 42 anni, il loro primo album, Duran Duran, risale al 1981. Nati in quella che fu la corrente del New Romantic, sono stati il più importante fenomeno musicale della British Invasion, definizione che inglobò tutte quelle personalità pop -rock nate in Inghilterra e nel Regno Unito, che per un decennio, dall' ottanta al novanta, dominarono praticamente incontrastate le classifiche di tutto il pianeta, e loro, quel decennio, lo cavalcarono sul dorso della tigre pezzata che diede il titolo al terzo album, grazie al successo di dischi ammazza classifica come Rio, Seven and the Ragged Tiger, appunto, e Arena nonché a capolavori come Save a Prayer, Rio, The Chauffeur, New Religion, Planet Heart, Night boat, To the shore, Friends of mine, The Seventh Stranger, Carelles Memories, e successi come Girls on film, The Reflex, Hungry like a wolf, Is There Something I Should Know, The Wild Boys e A View to a Kill.

Definiti da un sound che combinava insieme il funky e la disco degli Chic, con le atmosfere più cupe e rarefatte che guardavano al New Romantic dei Japan e Ultra Vox, e al suon grezzo e graffiante del punk dei Sex Pistols, e con più di una occhiata ai numi tutelari David Bowie e Roxy Music, i Duran Duran furono fin da subito: " la band che la gente ascolta mentre cadono le bombe", come profetizzava il loro cantante, autore dei testi e front man carismatico vale a dire, Simon Le Bon, per sottolineare l'unicità del gruppo. Insieme a Le Bon, la formazione includeva Nick Rhodes (al secolo Nicholas James Bates) tastiere, e i tre Taylor: John Taylor al basso, Andy Taylor chitarra solista e Roger Taylor alla batteria, alcun legame di parentela.

La line up oggi è praticamente la stessa ad eccezione di Andy Taylor che dopo diverse fuoriuscite e rientrate nel gruppo, lo ha lasciato definitivamente tra la conclusione del tour promozionale di Astronaut e la preparazione in studio dell'album successivo The Red Carpet Massacre, alla fine del 2005. E proprio Astronaut riveste più di un particolare significato, il primo è da rintracciare nell' enorme successo ottenuto sia in Europa che in America, il secondo è che, incredibile a dirsi, la data a Roma al Cornetto Free Music Festival, tenutosi il 19 giugno 2005 in Piazza San Giovanni in Laterano è stato il primo concerto dei Duran Duran in formazione originale sul suolo della Capitale. Il primo concerto dei Fab five (oramai Fab three) si tenne infatti allo Stadio Olimpico solo nel 1987, quando Roger Taylor e Andy Taylor avevano già lasciato il gruppo. Il primo in preda a stress da eccessivo successo, si ritirò per dedicarsi alla vita di campagna . Il secondo invece, per inseguire sonorità più rock, già espresse nel superbo progetto "Power Station", insieme al Taylor bassista, Robert Palmer voce e Tony Thompson degli Chic alle percussioni. Successivamente avrebbe accompagnato Rod Stewart (alla faccia di chi ancora sostiene che sia un discreto chitarrista ma nulla di più), non senza aver precedentemente tentato, con pochi acuti a dire il vero, la strada solista con l'album Thunder (1987).

Astronaut, album solido che sembra voler finalmente mettere un punto sulle continue diatribe interne sulla ricerca delle sonorità, coniugando l'anima rock dei due Taylor con la sperimentazione elettronica di Rhodes. Ne esce un gran disco, ricco d'idee in cui Le Bon si esalta tra falsetti, bassi e alti correndo lungo tutta la sua estensione vocale. Album elegante, e di successo planetario, in cui i cinque si raccontano, giovani - anziani musicisti. I virtuosismi di Andy Taylor sono assecondati dalle strutture atmosferiche di Rhodes, da sempre mente musicale del gruppo, con un’ammirazione che senza neanche troppe resistenze sconfina nell’idolatria per Brian Eno. Le linee di basso di John Taylor sono incalzanti e anche il redivivo Roger alla batteria è più energico che mai. I testi scritti come da tradizione da Simon Le Bon, sono, in linea con gran parte delle liriche Duraniane, criptici, densi di simbolismi e provocatori ad eccezione di brani d’alleggerimento come (Reach Up for The) Sunrise. Di Astronaut fa parte anche la spendida What happens tomorrow, che è in scaletta nel concerto che tra poche ore indendierà Lido di Camaiore

Complessivamente l'album sembra, anzi è il riflesso degli artisti che lo hanno realizzato per quanto è somigliante. Purtroppo nel bene quanto nel male, Andy, come già detto, ricadendo nei suoi limiti caratteriali, alla conclusione del tour lascerà definitivamente la band. L'album ha comunque un valore assoluto, anzi due: il primo è quello di confermare che i Duran Duran al di là dei videoclip e delle foto da copertina sono sempre stati musicisti veri. Il secondo è che confinarli a fenomeno anni ottanta è sempre stato quanto meno riduttivo ed ingeneroso. Icona certamente si, ma non per questo col freno a mano tirato al trentuno dicembre 1989. I Duran hanno dimostrato con Astronaut ma ancor prima con The Wedding Album (1993), piccolo gioiello contenente la toccante ballad “Ordinary World”, e la sincopata “Come undone”, di andare oltre quell'effetto revival, deliziosamente raccontato da Hugh Grant in Scrivimi una Canzone che più opportunamente può riguardare quegli artisti come Boy George, Marc Almond, Howard Jones, Limahl, solo per citarne alcuni, che vivacchiano tra reality show e serate in discoteca con le basi o riscoprendosi dj, incapaci di evolversi e dunque proporsi significativamente. O come i Tears for Fears che sostanzialmente campano di rendita eseguendo i loro pezzi immortali ma ai quali non hanno aggiunto sostanzialmente nulla. The Wedding non solo scalò le prime posizioni delle classifiche di tutto il mondo ma fece da traino seguito a un tour coraggiosamente acustico, che apprezzammo al Teatro Palladium.

Al di là delle incomprensioni e degli incidenti di percorso, uno letterale al Festival di San Remo del 1984 dove Le Bon in diretta si rompe una gamba, l' altro musicale in cui al Live Aid prende una stecca in mondo visione, i Duran erano, sono e saranno sempre un progetto scomodo, segnato dall'impossibilità di metter d'accordo bell'aspetto e talento, binomio che soprattutto la stampa non gli ha mai perdonato se è vero che ancora qualche anno fa Molendini sul Messaggero parlava di ex boy band. Ebbene si metta l’anima in pace, di recente è stato infatti ufficializzato che in autunno la band sarà inserita nella

Rock & Roll Hall Fame. La cerimonia si terrà a novembre e per l’occasione torneranno i due chitarristi storici, Andy Taylor e Warren Cuccurullo.


Rock band, perché è proprio nella dimensione live che questi Dorian Gray prestati alla musica sempre intenti ad inseguire l'eterna giovinezza, si consegnano senza risparmio al pubblico. Con eleganza e nello sprezzante rifiuto di apparire caricaturali i Duran Duran continuano la loro storia musicale, un tempo contrassegnata, come si conviene, da liti, separazioni, cause legali, e consumo industriale di alcol e droghe, mentre oggi, appare fatta soprattutto di musica e stile: sornioni e leggeri più che mai. Nella loro storia quarantennale si sono tolti lo sfizio di collaborare coi più grandi, hanno suonato in versione Arcadia con Sting, Herbie Hancock e sua Maestà David Gilmour, hanno trovato il tempo e lo spazio per collaborazioni di livello aristocratico, come quella con David Lynch, che li ha visti insieme per un eccezionale evento al Mayan Theater di Los Angeles: vale a dire un concerto trasmesso il 23 marzo 2011 in diretta mondiale su www.YouTube.com/DuranDuranVEVO, con i quattro in gran forma esaltati dalle sperimentazioni visuali del cineasta che ha creato in tempo reale una serie di immagini in sovrapposizione ai Duran Duran.

Stasera punteranno quasi tutto su Rio. Album impareggiabile, arrivato come un’illuminazione e composto da meraviglie assolute come Lonely in your nightmare, My on way, Hold back the rain, Last change on the stairway, oltre alle già citate Hungry like the wolf, Save a prayer, New Religion, The Chaffeur e Rio che dà il nome all’album. Il confinarlo in una definizione risulta ostico anche a distanza di 40 anni. È un album unico nel suo genere, un’alchimia di suoni e testi che rasenta la perfezione. È senza dubbio il lavoro più personale dei cinque di Birningham, in cui esprimono in piena libertà tutto il loro potenziale solo parzialmente espresso nel pur notevole Duran Duran. Il primo è un album straordinariamente completo per essere l’esordio discografico di un gruppo di post adolescenti. Vicinissimo alle sonorità dei Japan, mostrava parallelamente una pericolosa vocazione al punk e al dark contrassegnata dal suono acido e corrosivo di basso e chitarra e dalle intonazioni volutamente distorte e lamentose a cui si lasciava andare Le Bon. Se i testi sottendono un’anima gotico-romantica, le tastiere dal respiro spaziale di Rodhes rimarcano la tensione futurista che ha serpeggiato lungo ogni album. Duran Duran è un album-manifesto di tutto il movimento post punk, Rio invece si spinge oltre. Cori punk, giri jazz, romanticismo e dimensioni parallele, simbolismi a ripetizione, la stessa Rio, è raccontata come fosse una donna, è l’album che li consacrra e che segna l’immaginario estetico del decennio, a cominciare dalla copertina disegnata da Patrick Nagel, celebre grafico e illustratore americano. Le partiture di brani come Lonely in your nightmare e The chaffeur sono un perfetto esempio di armonie strumentali in equilibrio tra tastiere, voce e chitarra, al tempo stesso Hungry like awolf, New religion e My on way esprimono la vocazione rock dei due Taylor. Segue Seven and the ragged tiger, il terzo album in studio è un lavoro canonico. Qui i Duran si sposano con la new wave ma allo stesso tempo, esplorano il funky e la disco. Ecco la ballabilissima The Reflex e l’avvolgente Union of the snake. In questo album Simon Le Bon dà il meglio di sé nella imponente The Seventh Stranger. Seguiranno Arena e il singolo A view to a kill, che concludono la prima fase della carriera.

In definitiva, hanno conosciuto almeno tre fasi di enorme successo, durante le quali sono strati seminali per tanti gruppi, a cominciare dai Litfiba. Desaparecido trasuda Duran Duran, basti ascoltare Istanbul. Così come i Blur composero Boys and Girls avendo come modello la timbrica vocale di Le Bon e le sonorità dei due Taylor dell’album Duran Duran. Sempre in Italia, gli sono debitori i Bluvertigo che proprio stasera saranno sullo stesso palco.

Si accennava alla collaborazione con Lynch, una naturale evoluzione, del resto, sono da sempre legati a filo doppio al cinema, a cominciare dal nome (Duran Duran era il nemico di Barbarella nel film di Vadim, tratto dal fumetto). Al cinema hanno dedicato un album: quel Notorius che faceva il paio con Vertigo nell'omaggiare Alfred Hitchcok. Per il quale hanno composto A view to a kill, il brano di maggior successo della serie di James Bond; e I do, what i do. Nonché Ordinary World è in Danny the dog. E sempre al cinema hanno guardato rivoluzionando i video clip, che con loro diventeranno veri e propri film e che plasmeranno metaliguisticamente citando Indiana Jones (Hungry like a wolf), Mad Max e 1997:Fuga da New York (Union of the snake e Wild Boys). In attesa di un'altra donna o un altro luogo che si chiami Rio e che danzi con la sabbia. Per sentirsi ancora vivi e, perché no? Segretamente, invidiati.

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