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Addio a Michele De Angelis, l’uomo nella macchina da presa

Aggiornamento: 7 gen 2022

Una di quelle notizie che non vorresti mai ricevere è arrivata, come un fulmine a ciel sereno, sabato mattina. Prima un post su Facebook. Una bellissima foto, tra l’altro. E poi dai social si passa mestamente, in privato, alle prime conferme: Michele De Angelis non è più tra noi. L’incredulità. Lo sgomento. La profonda tristezza. Perché non soltanto Michele è stato un punto di riferimento costante, energico, eclettico, per chiunque si occupi di cinema, non soltanto in Italia; e molto spesso senza che arrivassero tutti i riconoscimenti dovuti a un’attività creativa e di mediatore culturale, che in pochi hanno saputo portare avanti con tale passione. Basterebbe forse questo per avvertire subito un senso di vuoto. Ma per chi scrive Michele era innanzitutto un amico.

E allora la tentazione di capire cosa diavolo sia successo si fa forte, si cercano notizie in rete, almeno in principio non vi è nessuna pista in merito, si comincia allora a vincere il naturale riserbo e a chiedere a qualche amico comune se per caso sappia qualcosa di più. Amici che probabilmente stanno vivendo lo stesso smarrimento. E alla fine qualcuno ti racconta che da qualche giorno Michele aveva frequenti mal di testa e che un successivo malessere, rivelatosi purtroppo fatale, lo ha colto mentre era in casa. La cronaca sofferta di tali frangenti non può però colmare l’assenza, né restituire l’immagine di cosa abbia rappresentato per chi lo stimava professionalmente. Né tantomeno per chi oltre ad apprezzarne l’impegno cinefilo e culturale in senso lato, guardava a lui con affetto. Come a condensare entrambi i punti di vista, vogliamo estrapolare dai social un ricordo, visibilmente commosso, dedicatogli da Simone Starace, che ha co-diretto assieme a lui le ultime edizioni del Fantafestival portando avanti, sempre in tandem, altre iniziative editoriali di tutto rispetto: “I tanti messaggi di dolore, arrivati da mezzo mondo, ci ricordano che tutti abbiamo e avremo sempre un debito incommensurabile con quest'uomo generoso, capace di operare piccoli miracoli. Impossibile ripercorrere in queste righe la sua vulcanica carriera di regista, sceneggiatore, produttore, distributore, archivista, restauratore, documentarista, animatore culturale e organizzatore di festival. Mi vengono i brividi solo a ricordare i progetti che non ha fatto in tempo ad annunciare e che restano come un ritratto della sua irriducibile poliedricità: un film inedito, una produzione esecutiva, una imminente rassegna in 35mm, svariate uscite home video, un canale YouTube, la nuova edizione del Fantafestival, restauri di Mario Bava, Alessandro Blasetti e Mario Soldati. L'unica consolazione possibile in questo momento è sapere che Michele ha lasciato la nostra vita per diventare uno di quegli eroi della storia del cinema che amavamo tanto. Sta alla nostra coscienza adesso ricordare e portare avanti la sua straordinaria eredità, restituendogli il riconoscimento che non sempre ha avuto in vita.”


Ecco la grandezza di Michele De Angelis, osservata “in campo lungo”. Ma non possono mancare certo i primi piani. E magari una lunga ripresa “in soggettiva”, considerando che per lui il linguaggio cinematografico era una seconda lingua appresa precocemente, con tanta dedizione, quasi fosse una seconda pelle. La soggettiva in questione intende regalargliela proprio il sottoscritto. Giacché, fin da quel primo fecondo incontro avvenuto durante un festival di cinema horror a Nettuno, non sono state poche per chi scrive le occasioni di interagire con Michele positivamente e apprendendo sempre qualcosa di nuovo. La situazione più divertente si era verificata senz’altro quando, nel corso di una golosissima rassegna in pellicola da lui organizzata a San Lorenzo presso il Cinema Palazzo, mi chiese di presentare insieme un glorioso B-Movie, Bees: lo sciame che uccide noto anche come Api selvagge. E lo facemmo, con spirito dichiaratamente situazionista, vestendo curiosi copricapi militari, appartenuti a eserciti del Patto di Varsavia! Indossati anche per omaggiarlo. Perché, ricordiamolo per inciso, Michele era qui in Italia tra i massimi conoscitori del cinema di genere realizzato un tempo nei paesi dell’Europa Orientale…


Tanto altro potrebbe finire nell’album dei ricordi. Compresa qualche intervista assai gagliarda, come quella che pubblicammo su una rivista molto stimata nell’ambiente, CineClandestino. E sempre attingendo a tale rivista vorrei chiudere il piano-sequenza sull’amico Michele, sul regista Michele, recuperando qualche stralcio della recensione che feci del suo apprezzatissimo, raffinato mediometraggio, il cui titolo ci dice anche un po’ come era lui. L’uomo nella macchina da presa. Ci viene naturale immaginare che Michele sia diventando di soppiatto un fotogramma del suo stesso film, concepito innanzitutto quale immensa, viscerale dichiarazione d’amore per la settima arte: “Michele De Angelis ha il Cineocchio sveglio. Ha il Cineocchio lungo. Chi lo conosce sa anche che il cinema lo vive, lo realizza, lo “annusa” in ogni maniera possibile. Specie se ha l’odore delle care, vecchie pellicole, quelle che di tanto in tanto vengono ancora proiettate nelle rassegne da lui organizzate. Ed era quindi naturale che la sua bulimica cinefilia confluisse nel corto (ma con una durata che lo assimila quasi a un mediometraggio) da lui presentato in anteprima nazionale al 37° Fantafestival, ovvero L’uomo nella macchina da presa. Un titolo che è chiaro omaggio a Dziga Vertov, quello scelto da De Angelis, ma vedere il suo film è un’esperienza intensa che significa poi immergersi in tanto altro cinema. Del resto quello teorizzato dal grande cineasta sovietico era L’uomo con la macchina da presa (capolavoro datato 1929 che ha questo titolo, in russo: Человек с киноаппаратом). Qui invece l’uomo è nellamacchina da presa. Come a farsi portavoce di un Kinoglaz estremo, De Angelis non si limita quindi a profetizzare un Uomo nuovo ormai inseparabile dalla macchina da presa, assecondando le visioni più ardite di primo Novecento, ma prende tale Uomo e lo proietta addirittura dentro l’immagine, lo inserisce cioè all’interno di quel sistema di riproduzione (audio)visivo che aveva nella pellicola il suo fulcro e che si è poi ulteriormente evoluto (ammesso che l’avvento del digitale possa essere considerato una reale evoluzione)…”.


Ciao Michele, che sia un Super8 più intimista o un magnifico western in CinemaScope, ho idea che ci rivedremo lì. Nei sogni proiettati su un grande telo bianco.

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