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Stefano Coccia

"Antropophagus 2" di Dario Germani

Un horror estremo, radicale, che riprende l’ode al cannibalismo di Joe D’Amato

Antropofagia unica via! Lo scorso 25 marzo presso il Nuovo Cinema Aquila si è svolta l’anteprima di Antropophagus 2. Un horror, vogliamo metterlo subito in chiaro, che può far passare per qualche giorno la voglia di carne anche ai più accaniti consumatori di bistecche al sangue e tartare di manzo. Sì, perché il regista Dario Germani (già stimato direttore della fotografia) ci ha dato giù veramente di brutto, senza risparmiare colpi bassi ed effettacci rivoltanti d’ogni sorta, nell’omaggiare con tutta la ferocia del caso il cult movie diretto nel 1980 da Joe D’Amato alias Aristide Massaccesi. Trattasi di un sequel, stando alle note di regia. Ma il primigenio Antropophagus di Joe D’Amato si differenziava alquanto da questa nuova incursione nel mondo del cannibalismo e della necrofilia, tanto a livello di coordinate geografiche che di background familiare del mostro protagonista, tipologia delle vittime, crudeltà delle mutilazioni e mood generale.


Ci si scordi quindi subito della quieta isoletta greca trasformata in un Inferno, per residenti e turisti di passaggio, dalla follia di un uomo spinto in principio a divorare i propri famigliari più stretti, nelle condizioni estreme e crudeli dettate da un naufragio. Tutto ciò nella pellicola di Joe D’Amato aveva quale conseguenza, almeno in un memorabile flashabacke di sguincio nell’amara sorte della sorella dell’assassino, una pur remota umanizzazione del sanguinario cannibale, divenuto tale solo dopo aver sperimentato un trauma terribile.


Il regista Dario Germani e lo sceneggiatore Lorenzo De Luca hanno scelto invece, con una certa scaltrezza, di discostarsi dal prototipo avvicinandosi all’idea molto in voga di “legacy” come pure alla messinscena più radicale, estrema, di molto cinema splatter prodotto in questi anni negli Stati Uniti e non solo: innanzitutto lo spietato massacratore diventa qui un’implacabile macchina di morte abituata da sempre ad agire in tal modo, con sadico e ostentato disprezzo delle sue vittime, poiché educato sin da piccolo così da un genitore non meno amorale e crudele di lui. L’epilogo stesso di Antropophagus 2 sembrerebbe indicare un destino analogo per la progenie del mostruoso protagonista. Un’eredità da tramandare di generazione in generazione, per l’appunto. Riguardo alle vittime, trattasi in buona parte della vagonata di fatue e seducenti studentesse condotte da un’incauta professoressa, per improbabili motivi di studio, in un vecchio bunker abbandonato nei cui kilometrici sotterranei le ragazze troveranno una fine atroce.


Un primo merito del film è rappresentato quindi dalla scelta di un set particolarmente claustrofobico, oscuro, angosciante. Le riprese sono avvenute a Sant’Oreste, comune del Lazio con tanta Storia alle spalle, situato su un crinale del Monte Soratte. E siccome la location principale, costituita perlopiù da quelle contorte gallerie sotterranee e dai vari ambienti che si trovano all’interno, ci ha suggestionato al punto di compiere una piccola ricerca su quel bunker a noi finora sconosciuto, perdonateci la lunga digressione ispirataci da Wikipedia che ora seguirà. Ci sono sembrate storie meritevoli di essere raccontate: Nel periodo tra il 1937 ed il 1943 il versante Sud del Soratte venne interessato da pesanti lavori di escavazione per realizzare dei ricoveri antiaerei un sito riservato ai vertici del governo italiano in caso di attacco sulla capitale: il bunker del monte Soratte.

Durante la Seconda Guerra Mondiale il dedalo di gallerie che si estendeva per oltre quattro chilometri e mezzo e raggiungeva la profondità di quasi 300 metri sotto la roccia, venne utilizzata nel 1943-1944 come quartier generale delle forze di occupazione tedesche della Wehrmacht e come residenza del capo di stato maggiore, il Generale Feldmaresciallo Albert Kesselring che ivi installò l'Oberbefehlshaber Südwest.


Pesantemente bombardato il 12 maggio del 1944, il bunker garantì la continuità operativa del Comando tedesco della Wehrmacht almeno fino al 4 giugno 1944, quando venne minato ed incendiato dagli stessi tedeschi in fuga.

Tra il 1952 ed il 1962 le gallerie del Soratte furono utilizzate come polveriera per l'Esercito Italiano.


Durante il periodo della Guerra Fredda la parte più profonda delle gallerie fu trasformata in un bunker antiatomico utile ad accogliere i vertici del Governo italiano, la Presidenza del consiglio dei Ministri ed il Presidente della Repubblica in caso di attacco termonucleare su Roma.

Tale struttura, venne collaudata a livello strutturale e fu sede di importanti esercitazioni in ambito NATO, ma non fu mai operativa.

Tra il 1993 ed il 2003 fu oggetto di ulteriori progetti da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri che però non vennero mai portati a termine.

Il complesso della ex-zona militare si estende per 44 ettari sul versante Sud del monte Soratte ed oggi è diventato un museo diffuso a carattere storico-culturale aperto al pubblico e denominato "Percorso della memoria".


I bunker ipogei del Soratte sono inseriti in questo progetto di valorizzazione generale dell'area e sono oggetto di una notevole missione di valorizzazione ad opera di una associazione di volontari che ne garantisce la visitabilità su prenotazione.

Scusateci ancora per cotanta pedanteria, ma almeno coloro che hanno visto o che vedranno il film avranno infine un’idea più precisa del perché siano presenti quelle pesanti chiusure metalliche, i tanti cimeli bellici, le maschere antigas e altra oggettistica rinvenuta nei tetri spazi visitati dalle giovani, sfortunate protagoniste. “Sfortunate” è quasi un eufemismo, perché grazie anche alla bravura con prostetici e altri effetti speciali di David Bracci e del suo team, ciò cui si assiste è una ben orchestrata mattanza, in cui a farsi notare sono anche la varietà e la crudeltà delle sevizie inflitte. Corpi sventrati, impalati, scalpati, mangiati, mutilati in vario modo. E in questo tripudio di sangue e viscere, un po’ come nell’originale di Joe D’Amato (fonte qui di una delle poche citazioni quasi letterali), neanche un povero feto può starsene tranquillo al suo posto…


Morale della favola: i troppo deboli di stomaco si astengano pure dalla visione, gli amanti dello splatter e del gore si facciano comunque coraggio, perché questo “tunnel dell’orrore” è (in tutti i sensi) lungo da percorrere. Con speranze di sopravvivere, ovviamente, ridotte al lumicino.



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