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Civil War II - Come copiare Dick e vivere felici (o quasi)

Aggiornamento: 9 ago 2023

Se fosse ancora vivo, l'uomo che per finta ha disegnato il futuro si domanderebbe quasi certamente se non sia stato anche lui una sorta di precog, di preveggente. È infatti indubbio che il rapporto tra uomo e tecnologia dei tempi attuali tocchi tematiche morali che uno dei più grandi maestri mondiali della fantascienza aveva anticipato, nella sua vasta e significativa produzione letteraria.

L'iniziale riferimento ai precog non è per nulla casuale. Il Rapporto di minoranza (1956) di Philip K. Dick, autore che quest'anno avrebbe compiuto novantacinque anni, è infatti l'esempio più conosciuto in materia di scelte etiche che si snodano attorno alla questione della predizione del futuro, ed alle naturali conseguenze di quest'ultima.

In merito si è poi susseguita, in diversi media, tutta una serie di epigoni, alcuni riusciti, altri meno. Nella seconda categoria va sicuramente annoverata la serie Civil War II, crossover Marvel uscito tra giugno e dicembre 2016, da prendere come modello per come non scrivere un fumetto, che sia di supereroi o meno.

Passo indietro. Già Civil War (2006) era stato un mezzo capolavoro al contrario: un dilemma morale interessante, potenzialmente foriero di riflessioni sul rapporto tra essere umano e società aveva finito per essere letteralmente buttato in caciara semplicemente trasformando Iron Man in un gerarca da Ventennio/Terzo Reich disposto a neutralizzare qualunque eroe non si adeguasse all'Atto di Registrazione, la legge che obbligava ogni super-essere a comunicare generalità e capacità al governo degli Stati Uniti.

Ebbene, con Civil War II la Marvel è riuscita pure a fare pure peggio del già non eccelso passato pre-Disney, alla faccia di chi engelsianamente dice che il futuro sarà sempre e comunque meglio del presente. Un Brian Micheal Bendis fiacco e senza idee, senza mordente, quasi senza anima, ha sceneggiato un crossover purchessia che, a questo punto, viene il sospetto avesse l'unico intento di tirare la volata al film Captain America: Civil War, uscito proprio nel 2016.

Ovvero nella ricorrenza dei sessant'anni dell'originale racconto di fantascienza Rapporto di minoranza, e solo un anno dopo l'uscita della serie tv Minority report della Fox, opera non certo memorabile per contenuti estetici o psicologici, ma comunque godibile. Ovvero ciò che invece non è Civil War II, in cui il disegno magistrale e suggestivo di David Marquez appare quasi uno spreco rispetto ad una prova opaca, pigra, di Bendis, che sembra fare come quegli adolescenti che vogliono finire i compiti in fretta per poi mettersi davanti ai videogiochi o ai corti di TikTok.

Le premesse sono anche buone: un giovane scopre di essere un Inumano con il dono di fare previsioni esatte sul futuro, e gli eroi si dividono: Capitan Marvel ne sfrutta le doti per prevenire crimini e catastrofi, ma arrestando anche chi non ha ancora compiuto alcun misfatto, contro Iron Man che invece (forse memore dell'ultima volta) vuole che, costi quel che costi, il futuro si estrinsechi esattamente come dovrebbe essere.

Partendo da premesse, come detto, tutto sommato sensate, il problema è nello sviluppo. Il quale si dipana in una serie di scontri fisici tra big (come sempre) e morti eccellenti (come sempre) senza scavare alle radici della questione. Si pigra è la narrazione, risibile è poi la conclusione: ad un certo punto, gli eroi smettono di combattere senza una reale motivazione, così come era stato abbastanza puerile e circostanziale, per giunta, il casus belli iniziale.

Nota a margine: tutte queste considerazioni, che sono di per sé sotto gli occhi di tutti anche a fronte della sensibilità che varia da individuo ad individuo, avrebbero potuto finire nero su bianco sulle recensioni riguardanti il fumetto in questione. Le quali invece sono state alquanto silenziose, limitandosi a sottolineare come effettivamente la scrittura di Bendis sia stata al di sotto dei suoi di solito eccellenti standard artistici.

Il fatto che i dati di vendita dei singoli albi di Civil War II abbiano oscillato tra i quasi quattrocento milioni del #1 e i soli centosei del #6, con un calo progressivo a mano a mano che la storia procedeva, testimonia che i lettori a metà strada hanno mangiato la foglia e capito che si trattava di una storia di scarsa qualità. Un abbandono della nave che affonda che potrebbe suonare come un campanello d'allarme, se alla Marvel-Disney non ci fosse uno stuolo di quei famigerati sordi che, come noto, non vogliono sentire.

Il sospetto, però, è che a Burbank considerino il comparto fumetti come semplice traino di quello cinema, senza alcun interesse a valorizzare adeguatamente due forme d'arte che, fino a prova contraria, sarebbero distinte. E allora, nel caso, si può legittimamente rivolgere un appello alla Disney: continuino lor signori, se vogliono, la loro operazione di macelleria fumettistica, ma si astengano dall'andare a pescare, con plagi dozzinali, dal patrimonio spirituale, artistico e culturale Philip K. Dick: se dobbiamo celebrarlo così, anche alla luce di suoi virtuali novantacinque anni, meglio lasciar perdere.

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