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"Eyewater” in Spiral (lacrimazione)

Aggiornamento: 4 ott 2022

A Tokyo, nei pressi della stazione di Omotesando, nel quartiere di Minato,letteralmente Il Porto, nato nel 1947 dalla fusione dei quartieri di Akasaka, Azabu e Shiba, c'è un edificio, considerato uno dei capolavori dell' architettura postmoderna, commissionato dalla compagnia di lingerie Wacoal e progettato nel 1985 dall'architetto giapponese Fumihiko Maki (lo stesso che ha progettato il maestoso Centro Congressi Makuhari Messe a Chiba e che, attualmente, sta lavorando alla realizzazione del nuovo edificio per la sede dell' O.N.U. a New York), dal nome evocativo: Spiral.

E' un centro polifunzionale, una fusione fra Vita e Arte di 9 piani fuori terra e 2 piani interrati, che ospita uno spazio espositivo, un bar, un ristorante e un centro commerciale.

Il nome, espressamente scelto dal CEO di Wacoal Yoshitaka Tsukamoto, si deve alla suggestiva rampa interna a forma di spirale che conduce ai piani superiori.

Dal 2 all'11 di settembre è in corso “Eyewater”, Lacrimazione, una mostra personale di Yuya Hashizume, un giovane artista nato nel 1983 nella Prefettura di Okayama e trasferitosi da qualche anno a Tokyo, pur rimanendo molto legato alla comunità locale d'origine.

Già presentata, con notevole successo di pubblico e di vendita, a Seoul, Taipei, Londra e Shangai la mostra è stata ogni volta rivista, arricchita e rivisitata.

A Spiral presenta un'ampia raccolta di acrilici su tela e un monumentale “gonfiabile” che troneggia nel bel mezzo della sala e che è osservabile, percorrendo per l'appunto la via che porta ai piani superiori, sotto tutte le angolazioni possibili.

Le opere, tutte con sfondo monocromatico e pop “che più pop non si può”, tra il Manga e il “frame” di un Anime, fermano il momento in cui una singola, solitaria lacrima spunta dall'occhio del soggetto ritratto.

Gonfia e pronta a rigare il viso, ma cristallizzata e immota nell'atto di sgorgare.

Non c'è una chiara spiegazione a questo pianto, il motivo è sconosciuto. L'artista non lo sa e neppure se lo chiede.

Vuole soltanto che chi osserva dia sfogo all'immaginazione e riempia, con un suo soggettivo e intimo significato, lo spazio aperto dalla domanda.

Che sia lacrima di rabbia, di gioia, di commozione, di dolore, di rimpianto, di tristezza o di altro ancora sarà lo spettatore, che potrà anche, liberamente, immaginare la storia, che si cela dietro la figura, a deciderlo.

Magari anche riconoscendone una propria, vissuta in passato.

Il centro catalizzatore di tutto è la lacrima. Una lacrima, indubbiamente, liberatoria e leggera. Causata non da una tragedia ma dal semplice scorrere della vita. Una “lacrima normale”, insomma.


Come ci insegna, infatti, il sommo Haruki Murakami nella tragedia è quasi impossibile piangere, più facilmente si urla, si maledice, si implode in se stessi.

“Avrei voluto mettermi a piangere forte, ma non potevo. Non avevo più l’età per versare lacrime, avevo fatto troppe esperienze. Esiste anche questo al mondo, la tristezza di non poter piangere a calde lacrime. È una di quelle cose che non si può spiegare a nessuno, e anche se si potesse, nessuno la capirebbe. È una tristezza che non può prendere forma, si accumula quietamente nel cuore come la neve in una notte senza vento. La tristezza troppo profonda non può prendere la forma delle lacrime” (cit. La fine del Mondo e il Paese delle Meraviglie, 1985).


Una lacrima solitaria che, sospesa magicamente fra ragione e sentimento, colpisce al cuore e libera la mente.


Photo credits LAMBERTO RUBINO

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