Distribuito un po' in sordina sul finire della stagione estiva. Trattato con una certa sufficienza, se non proprio ignorato, da una parte rilevante della critica italiana. Eppure, per vari motivi, l'esordio al lungometraggio di Lisa Joy è a nostro avviso una delle note più liete che la fantascienza stelle e strisce, negli ultimi anni, ci abbia regalato. Lo stesso non possiamo dire ovviamente del giornalismo cinematografico "made in Italy".
Pare che ormai sia di moda scannarsi su un solo titolo per stagione cinematografica. Il "casus belli" può essere (in questo caso letteralmente) Dunkirk di Christopher Nolan. Un altro anno sarà la volta del chiacchieratissimo Joker di Todd Phillips. Oggi come oggi pare che si possa parlare solamente di Dune, con tutti a dissertare pomposamente dell'inevitabile confronto tra Lynch e Villeneuve. Nel mentre, ovvio, tanto altro finisce precocemente nel dimenticatoio...
Abbiamo citato poc'anzi Nolan. Non sarà mica una propaggine dei preconcetti che alcuni nostri critici hanno nei suoi confronti, quel minimizzare la portata di Frammenti dal passato - Reminiscence? Ad alimentare il sospetto vi è il fatto che Lisa Joy al "clan Nolan" è intimamente legata: ha sposato infatti lo sceneggiatore Jonathan Nolan, che del più noto Christopher è il fratello minore. Tutto ciò dovrebbe costituire dal nostro punto di vista una nota di merito, non qualcosa su cui malignare, anche considerando che la visionaria film-maker proprio assieme al marito Jonathan ha creato una serie di successo come Westworld - Dove tutto è concesso.
Ecco, prendiamo allora l'idea del "clan Nolan" come un timbro positivo, come una volontà comune di esplorare certe frontiere del linguaggio cinematografico, giacché l'affascinante lungometraggio intitolato Reminiscence in origine (e appesantito poi da un didascalico Frammenti dal passato, per volontà dei distributori nostrani) sembra portare proprio quelle stimmate: un rapporto complesso con la dimensione spazio-temporale, il desiderio di evadere da una realtà dolorosa, la sfarzosa ricostruzione scenografica dei diversi ambienti, l'impronta personale e straniante nel rapportarsi alle scene d'azione.
La geografia fisica accennata nel futuro distopico di Reminiscence (d'ora in poi lo chiameremo semplicemente così) è già di suo un'intuizione notevole, non perché innovativa in senso lato, ma perché sviluppata con un tratto curato e coerente coi principali snodi tematici del racconto. L'azione ha luogo in una società futura piegata dagli effetti del cosiddetto "riscaldamento globale", con repentino innalzamento delle acque, perdita di una parte delle terre emerse e quasi consequenziali atti di guerra, che hanno finito per inasprire ulteriormente i rapporti all'interno di un'umanità abbrutita; laddove i più ricchi hanno ottenuto l'esclusiva sui territori più sicuri, mentre le classi più povere sono costrette a vivere in città costiere parzialmente sommerse, col rischio che si venga spazzati via prima o poi dalle onde. Tutto ciò peraltro non viene immaginato in anni così lontani, dato che la storia raccontata nel film ha inizio a Miami suppergiù nel 2030.
Sin dalle prime immagini si fanno apprezzare le imponenti scenografie virtuali, frutto di una computer grafica usata una volta tanto con giudizio, attraverso le quali Lisa Joy e i suoi collaboratori trascinano lo spettatore in un mondo al collasso, finanche maestoso nella sua incipiente malinconia. L'elemento liquido naturalmente domina. Dettaglio, questo, tutt'altro che trascurabile: modello di Science Fiction sinuosa, verrebbe da dire "fluida", la poetica di Reminiscence è anche un naufragare tra spazi fisici allagati e una memoria per l'appunto "liquida", stimolata in apposite vasche sensoriali, affinché dal passato riemergano come isole quei ricordi che si intende recuperare. Per un motivo o per l'altro. Già, perché questa complessa strumentazione, ideata inizialmente per portare avanti in ambito legale e militare nuove forme di interrogatorio, dalle modalità un tempo inimmaginabili, è stata resa in seguito disponibile anche per i privati. Chiunque, insomma, abbia la pretesa di mantenere vivo un rapporto con il proprio passato, reso incredibilmente intenso e realistico da tale macchina.
Il protagonista Nicolas Bannister, azzeccatissima la scelta del così magnetico e ombroso Hugh Jackman, è un veterano dell'esercito divenuto poi titolare di una piccola agenzia specializzata proprio in tali ricerche, praticamente una sorta di investigatore privato dei ricordi altrui. Il suo motto pare essere un distacco professionale pressoché assoluto. Ma la folgorante apparizione della bellissima e misteriosa Mae, anche qui lodevole aver inserito nel cast l'incantevole, seducente Rebecca Ferguson, concentrato di fascino dall'aura fatale (e letale), rappresenterà per il diffidente detective un punto di non ritorno. La maestria di Lisa Joy, capace intanto di dare risalto a dialoghi dallo spessore inconsueto, rifulge per il resto nell'eleganza non solo esteriore con la quale si è saputo amalgamare un simile mix di generi, di stilemi diversi. Tale operazione spavaldamente non teme neppure di apparire "derivativa". Perché lo fa con stile, con piena cognizione di causa. La complessa indagine cui andrà incontro Bannister, perse temporaneamente le tracce dell'amata Ma ha innanzitutto un gusto rétro, da noir anni '40 / '50, lo stesso volendo che faceva capolino nel sottostimato Il tredicesimo piano. La dilatazione temporale delle sparute scene di combattimento, dal canto suo, sembra guardare in forma ancor più straniante e selvaggia sia all'universo di The Matrix che allo stesso Christopher Nolan, da menzionare anche qui quale ispiratore di un'estetica ben precisa. E quel cóte avveniristico della componente Sci-Fi può altresì ricordare, specie per quanto concerne le percezioni mentali alterate, un "classico" relativamente recente come Strange Days della Bigelow; altra donna di polso, del resto.
E se nello script portato sullo schermo da Lisa Joy pare esservi uno spirito più sognante, romantico, a contraddire tale impressione e a riaffermare un'ideale "parentela" con l'illustre collega vi è proprio l'esito molto spesso ferino delle scene d'azione. Con una crudeltà concettuale spinta a livelli da Clive Barker, tanto per dire, allorché uno dei villain più odiosi verrà punito tramite l'ingegnoso macchinario, capace tra le altre cose di far rivivere potenzialmente all'infinito anche i ricordi più terribili, spaventosi, angoscianti.
Insomma, pur non dispensando originalità allo stato puro, Reminiscence appassiona dall'inizio alla fine rimodellando da universi cinematografici precedenti una sua mitologia fiera, solenne, profonda, che sconfina poi nel Mito vero e proprio, dal momento in cui la parafrasi della triste separazione tra Orfeo ed Euridice si afferma quale controcanto essenziale dell'intera opera cinematografica. Il tutto sottolineato da un epilogo tanto catartico quanto struggente.
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