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I Maneskin sbancano pure Las Vegas!

Aggiornamento: 12 mag 2023

Doveva accadere. È accaduto.

"Hello Las Vegas! È un onore essere qui ed avere la possibilità di suonare sul palco della band più grande di sempre".


Sul palco dell'Allegiant Stadium di Las Vegas, Damiano David apre così il concerto dei Rolling Stones, la tappa indubbiamente più importante della carriera dei Maneskin. Una decina di pezzi per scrivere un’altra gloriosa pagina di rock tricolore in uno dei templi della musica a stelle e strisce. In realtà, la musica americana parla parecchio italiano: Frank Sinatra, Dean Martin (Dino Paul Crocetti), Madonna (Louise Veronica Ciccone), Ronnie James Dio (Ronald James Padavona), Angelo Badalamenti, Jon Bon Jovi, Warren Cuccurullo, Eric Carr (Paul Charles Caravello), Gary Cherone, Lady Gaga (Angelina Germanotta), Frankie Laine (Francesco Paolo LoVecchio), Al Di Meola, i fratelli Jeff, Mike e Steve Porcaro, Richie Sambora, Bruce Springsteen, Steven Tyler (Steven Victor Tallarico), sono solo alcuni degli americani di origine italiana che hanno contribuito a creare in modo significativo la storia della musica leggera negli USA, come lo stesso Frankie Valli (Francesco Stephen Castelluccio) che portò al successo nel 1967 “Beggin”, che negli Usa, cinquantaquattro anni dopo, è disco di platino grazie alla reinterpretazione dei ragazzi di Monteverde. Trenta minuti per surriscaldare il pubblico prima delle leggendarie pietre che rotolano.

Aprono con due brani in italiano tratti dall'ultimo album Teatro d'Ira: In nome del Padre e la celeberrima Zitti e Buoni, con cui si sono portati a casa l'ultima edizione del festival di Sanremo e chiudono con I Wanna Be Your Slave. Un’esibizione breve ma intensissima ed elettrizzante. Insomma, questi splendidi animali da palcoscenico, mietono successi come non accadeva da decenni, di fronte all’evidenza della loro affermazione fanno sorridere le opinioni da giapponese sull’atollo che ne denigrano la qualità adducendo ragioni come il marketing. Il quale, lo spieghiamo a color che provengono da Marte, c’è sempre stato solo che prima ne erano a conoscenza solo gli addetti ai lavori. Per dire: i Sex Pistols furono un’invenzione di Malcom McLaren e appena pochi giorni fa Sir Paul Mc Cartney ha rilanciato una querelle proprio coi Rolling Stones “rivali storici” solo per fini commerciali ma in realtà, amiconi. “Sono solo una cover band di blues”, ha affermato. E con la sua bordata riparte la diatriba tra questi monumenti eternamente inossidabili e coriacei, tant’è che Jagger lo ha invitto ironicamente a dare una mano questa “cover band”... I Maneskin funzionano perché piacciono. Occorre rassegnarsi. Sanno intercettare il loro pubblico con pezzi anche coraggiosi, si pensi alle cover di Amandoti e ora, di “Beggin”. Inoltre giocano un campionato senza avversari, basti dare un’occhiata a cosa c’è in circolazione. Gli stessi Rolling Stones avevano, oltre ai Beatles, avversari come i Beach Boys, The Who e i nascenti The Doors, che se la giocavano con i Pink Floyd, Genesis, Deep Purple, Led Zeppelin. I Queen dividevano scena e classifiche con gli Aerosmith, David Bowie, Roxy Music, Lou Reed. Guardando alle nostre latitudini, quando Battiato impose il suo La Voce del Padrone, dovette vedersela con Venditti, Baglioni, Zero, De Gregori, tutti nel massimo splendore, oltre a stelle emergenti come Matia Bazar, Enrico Ruggeri, Scialpi, Alberto Camerini. I Litfiba si prendevano l’underground italiana assieme ai CCCP, Denovo, Krisma. La successiva scena posse, per quanto insignificante da un punto di vista storico, fu comunque effervescente e animata da un circuito numericamente rilevante, mentre i Maneskin, come dicevamo, non hanno praticamente avversari. Rappresentano un unicum così come Gabriele Mainetti lo è nel cinema. Ma non è mica colpa loro se l’industria discografica ha abdicato al rock in nome di soluzioni mordi e fuggi come il rap. Loro scendono in campo, se poi vincono per assenza di avversari non può essere un problema loro. Come abbiamo già affermato in altre circostanze, il musicista si valuta in base alla creatività, alla tecnica con gli strumenti, alla qualità compositiva e scrittura testi, alle doti canore e alla presenza scenica. E su tuti questi criteri ai Maneskin non si può rimproverare nulla, sono ben mirati strategicamente? Sì. Ma questo non ne scalfisce la qualità. Quanto al fatto che siano divisivi (ma solo per certa stampa giurassica e bacchettona e per certi realisti più del re), il chi ama questo e chi odia quell’altro, è un gioco che si è sempre fatto ma prima non c’erano i social, ora sì. La differenza sta tutta qui.

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