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Intervista a Dario Germani

Aggiornamento: 22 ago 2022

La grande passione per l’horror del regista di Antropophagus II e The Slaughter

Dopo aver speso parole di apprezzamento per The Slaughter – La mattanza e aver scambiato le prime impressioni a riguardo con Antonio Tentori, il vulcanico autore della sceneggiatura, ci siamo decisi a coinvolgere nella discussione lo stesso Dario Germani. Regista non soltanto di questo horror ma anche del temerario Antropophagus II, sembrerebbe proprio che il volitivo film-maker non abbia timore di confrontarsi coi classici del nostro cinema di genere, riversando sul set una passione sincera, idee sanguigne e qualche interessante modello produttivo. Parliamone però direttamente con lui…


A distanza di pochi mesi dalla visione di Antropophagus II ci ritroviamo con in sala un altro film da te diretto, The Slaughter – La mattanza. Sappiamo bene che non è facile in Italia essere prolifici, facendo horror o thriller. Hai trovato quindi un buon assetto a livello produttivo, che ti permette di girare con una certa continuità?

È vero, non è passato molto tempo dall’uscita di Antropophagus II, ed eccoci in sala con un nuovo film a tratti simile. Devo dire di potermi ritenere fortunato, conosco Paolucci ormai da più di 10 anni ed ho iniziato con lui come direttore della fotografia nelle Filippine, ci siamo subito trovati e legati in un sentimento di forte amicizia e stima. Lui stesso mi ha presentato Marco Gaudenzi e PierpaoloMarcelli, soci fondatori di Flat Parioli, una delle società di post-produzione ai vertici in Europa.

Sono riuscito ad ottenere stima e fiducia e sono stato scelto per far parte di una squadra impegnata in diverse opere. Penso che un assetto produttivo così nuovo è singolare sia il vero motore di tutto questo e la dimostrazione che si possono fare film di genere anche in Italia con altre economie lontane da quelle dei colleghi americani.


Diversissime tra loro, ma in ogni caso estremamente claustrofobiche e opprimenti, le ambientazioni dei due film poc’anzi citati molto hanno contribuito alla loro riuscita. Come le hai trovate? Possiamo magari immaginare che i soggetti delle tue opere nascano proprio dalle suggestioni offerte da certi luoghi?

Venendo dalla direzione della fotografia ho imparato il valore della scenografia e della location, impossibile fare una buona fotografia se non c’è nulla da illuminare; quindi, credo che la scelta delle locations sia la base di partenza per lo sviluppo di una sceneggiatura funzionale, soprattutto con piccoli budget dove la location del vero è indispensabile.

Nella mia squadra posso però far sempre leva sul bravissimo scenografo e amico Tonino di Giovanni, in grado di migliorare e trasformare qualunque ambiente in quello che serve, in qualche modo lui riesce a dare anima alla scena rendendo gli ambienti dei personaggi e non delle anonime scatole.

Inoltre, non meno importante, l’intuito di Gianni Paolucci che definirei un produttore creativo in quanto riesce a trasportare dei soggetti molto semplici in ambientazioni diverse comunicando a me e allo sceneggiatore, in questo caso il maestro Tentori, tutte le sue suggestioni e intuizioni.

Importante è stata anche la collaborativa partecipazione del mio aiuto regista Antonio Abbate con cui spero di poter lavorare di nuovo insieme in quanto è preso da mille altri lavori di grandi registi. Avere un aiuto giovane, entusiasta e “secchione” del cinema horror è stato fondamentale soprattutto in un film pieno di citazioni come The Slaughter. Penso che mettere insieme tre generazioni di cinema sia fondamentale per avere una visione più ampia possibile…


Un altro spunto ricorrente è, a nostro avviso, il concetto di ”legacy”, l’idea cioè che il mostruoso assassino di turno sia pronto a passare il testimone a qualcuno più giovane, non meno crudele. Da cosa deriva questa tua predilezione per tale prospettiva, molto presente del resto nel cinema di genere americano negli ultimi anni?

Mi hanno sempre appassionato le “saghe”, da bambino ero un divoratore di romanzi prevalentemente fantasy, e volevo che non finissero mai, mi piaceva anche da adolescente portarmi dietro i personaggi sull’autobus o sulla metro, come ne finivo uno non vedevo l’ora di ritrovare il protagonista o il suo “seguace” nel romanzo successivo. Per fortuna non c’erano i telefonini e si viaggia a un po’ di più con la fantasia.

Penso che lasciare il testimone sia anche un buon modo per continuare a far film, o magari fare di meglio nel successivo.



Più in generale, quali sono i registi o le saghe horror del presente e del passato, cui ti senti maggiormente legato?

Come già detto vengo dalla fotografia e ho avuto il piacere di lavorare con tanti registi italiani sia già di pelo che all’opera prima e da tutti ho sempre rubato con gli occhi e riportato, a volte inconsciamente, nel mio cinema.

Chiaro che in Italia è fondamentale conoscere Argento e Fulci ma anche i film di Mattei e Fragasso che forse più si avvicinano all’idea di intrattenimento a basso costo che intendiamo portare avanti, migliorandoci di film in film. Bisogna capire che fare un film con dei budget, che in altri paesi servono per fare una giornata di lavoro, non è affatto disdicevole, anzi! La vera forza del cinema di genere è proprio l’ingegno e la creatività e penso che una scuola così sia impagabile.

Damato e Mattei ci hanno insegnato a dar vita ai sogni senza arrendersi. Sono felice di portare avanti questo tipo di cinema, e quando le mancanze vengono soppiantate dalla creatività, allora vuol dire che tutti noi abbiamo del talento.


A proposito di “mostri”, per quest’ultimo film ti sei trovato a collaborare con un ”mostro sacro” del genere, come Antonio Tentori… che puoi dirci di questa esperienza, ovvero poter contare sulla sua grande esperienza - e cinefilia - in fase di sceneggiatura?

Lavorare con Tentori dà la sensazione di lavorare con tutti i grandi del cinema italiano condensati in un unico uomo, lo ho conosciuto piano piano, inizialmente insieme a Gianni per parlare di idee e progetti in divenire e poi è diventato di famiglia, essendosi finalmente manifestata l’opportunità di lavorare insieme.

Antonio Tentori è un uomo che trasmette serenità, non ostenta il suo aver lavorato coi grandi e si mette in gioco con tutti e con rinnovato entusiasmo. Sono felice di aver lavorato con lui e di poterlo far nuovamente a breve.


Gli effetti speciali in Antropophagus II ci sono parsi, ed è un complimento, particolarmente raccapriccianti; forse un po’ più soft in The Slaughter – La mattanza, ma sempre creati per dar forma a uccisioni brutali, feroci. Che importanza dai a questi momenti in ogni film? E con chi hai collaborato finora per vederli realizzati?

Da regista il primo film horror che ho realizzato è Lettera H, scritto da Andrea Cavaletto e sviluppato in collaborazione con lui e Claudio d’Elia che è stato anche il montatore. In quest’opera gli effetti speciali sono stati affidati a Sergio Stivaletti per i Prostetici e Luca Saviotti per i Visual, due istituzioni del cinema!

Con Antropophagus II ho avuto il piacere di conoscere e collaborare con David Bracci, conosciuto in realtà precedentemente per gli effetti di alcuni film che dovevamo girare nelle Filippine ma che sono saltati per via del Covid. Con Bracci è nata subito una forte amicizia e stima, anche lui passa da produzioni modeste come quelle fatte insieme a film con dei budget da capogiro mettendo però la stessa professionalità e modestia. Penso che David possa essere considerato nell’Olimpo degli effetti speciali italiani così come Stivaletti che credo sia stato suo maestro.

Nei miei film di genere cerco sempre la soluzione meno semplice per gli effetti speciali in quanto mi piace dare una sensazione di autenticità alla crudeltà e al raccapriccio, limitando i tagli di inquadratura. Penso che l’effetto se inserito in una sequenza senza tagli sia più veritiero.


Per finire, stai già lavorando a qualche nuovo progetto?

Sono molti i progetti in cantiere, uno da DoP a cui tengo molto e quattro dove è previsto che faccia anche la regia.

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