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"Le grandi interviste". Alan D. Altieri, tra fantasy e spy story nel segno dell’Apocalisse

Variamo il ciclo di interviste “Rileggiamole”, con un autore unico, un peso massimo e punto di riferimento della letteratura action italiana e internazionale. Un uomo dalla personalità notevole, dalla mente lucidissima e dalla scrittura fredda e tagliente come una lama. Sergio Alteri, Alan D. Alteri, nel corso di questa lunga intervista di nove anni fa racconta la sua sterminata produzione, e nel farlo ci restituisce il ritratto di un uomo umanamente notevole, colto e acuto come pochi. Le cui analisi sulla società e i fenomeni che la governavano, erano attuali ieri quanto lo sono oggi. La sua perdita prematura, ammesso che ci sia un tempo accettabile, ha reso la narrativa di genere un territorio meno affascinante, meno coinvolgente ed esaltante, gli è però sopravvissuto il suo patrimonio letterario che definire inestimabile è riduttivo.


Ama le armi. Emerge con assoluta onestà di pensiero dai suoi romanzi. Non ritiene che il conflitto armato sia un’opzione a priori non percorribile. È contro tutto e contro tutti. O se si preferisce, è un tipo scomodo perché ha la tendenza a ignorare le mezze misure. Pane al pane e vino al vino. Piace a tutti. Perché con un talento pressoché sconosciuto a certa nuova letteratura italiana, troppo intenta ad auto referenziarsi per prestare attenzione a dettagli come la scrittura, t’incatena al testo. Cominci a leggerlo, t’immergi e non puoi più fermarti. D’un fiato fino all’ultima riga. Tutto questo e altro ancora è il padre del tiratore scelto Kane, dello spadaccino Wulfgar e della versione italiana de “Le Cronache del fuoco e del ghiaccio - Il trono di spade”, la saga fantasy più famosa dopo Il Signore degli Anelli. Un autore perennemente in trincea che usa la parola come un lama affilata per colpire nel profondo l’animo del lettore.


Gottschalk- Yutani. Un colosso metafora dell'economia globale al di là delle singole sovranità degli stati. È affascinante, il filo tra i tuoi diversi romanzi non è un personaggio ma un'azienda...


Per definire Gottschalk-Yutani, preferisco usare il termine “sistema”, allargandolo a “il sistema che è tutti i sistemi”.

Come sai, la tematica primaria di pressoché tutto il mio lavoro di narratore è il conflitto del singolo contro un potere titanico, intrinsecamente infame.

Il concetto di GY/Corp. nasce nel 1994, con il mio thriller futuristico “Ultima Luce”.

Nel mondo di “Ultima Luce”, piegato da surriscaldamento globale estremo, sia gli Stati che gli apparati sovra-nazionali sono ormai concetti obsoleti.

Chi detiene il vero potere è l’entità che possiede il monopolio economico finanziario di... tutto.

Quindi, quale “sistema che è tutti i sistemi”, nessun apparato meglio di GY/Corp. riassume il mega-meta-potere e di conseguenza la mega-meta-rapacità.

Se osserviamo il procedere di una crisi economica globale di dimensioni da alcuni definite “bibliche”, forse i mega-conglomerati bancari, le mega-multinazionali dell’energia, degli armamenti, dell’informatica, degli alimenti, addirittura dell’acqua potabili potrebbero non essere poi tanto lontani da GY/Corp.


Sei un autore che nel dividere mette tutti d'accordo. Per la sinistra sei fascista, per una certa destra comunista...


Per cui vogliamo proprio buttarla in poliTTiKa? Okay, no problem.

Secondo un eccezionale aforisma di autore ignoto, “La politica è la continuazione del crimine con altri mezzi”. Davvero una parafrasi di von Clausewitz tanto acida quanto manichea? Forse.

L’aspetto più peculiare che ritengo di vedere nella politica di oggi è l’agonia terminale della politica stessa.

Non è, né può essere un caso, se, dovunque guardiamo, l’affluenza alle urne è in costante, inarrestabile caduta libera.

Negli Stati Uniti l’affluenza media è il quarantotto percento. Il Presidente degli Stati Uniti risulta quindi eletto dal ventiquattro percento degli aventi diritto.

In ItaGLiani, quello che ne resta dopo interi decenni di degrado (eufemismo) della non-politica, dei non-governi e del non-stato, stiamo rapidamente superando il quaranta percento di astensionismo. Un trend destinato a non fermarsi.

Da più parti si sostiene che i politici intesi in senso storico -- legislatori, negoziatori, precursori -- sono svaniti. Per lasciare il posto alla loro versione da faldone giudiziario: i politiKanti.

Da più parti si sostiene quindi che esiste unica ragione di esistenza del/della politiKante: essere rieletto/a, così da conservare privilegi degni della peggiore tradizione dei boiardi.

Di conseguenza, unica professione del/della politiKante è tirare acqua (inquinata) al mulino (abusivo) di questo o quel gruppo di potere (iniquo) che ha fornito i fondi (neri) per farli eleggere.

No, non un caso se l’elettore volti le spalle a una simile, deprimente (eufemismo) realtà definita fin troppo bene dal termine “Casta”.

Una realtà che ho cercato a mia volta di analizzare nella serie di articoli “Death Economy - Economia della Morte”, apparsi sul sito carmillaonline.com.

A proposito, sarà un sito di destra, centro o sinistra?

Tornando ai faldoni giudiziari di cui sopra, termini come destra, centro, sinistra, quant’altro appaiono come farse da trivio verniciate da ideologia da burla.

Quindi, tornando ai giudizi che la poliTTiKa -- o qualsivoglia imitazione della medesima -- ha dato-dà-darà del mio lavoro, vale davvero la pena di sprecare altro tempo?


Un tuo eroe (anti) è un poliziotto nero di Los Angeles, un altro è un anarchico scozzese che opera nei commandos britannici. La vita a quanto pare non è mai semplice...

La tua idea di epica e il tuo modello di eroe sembrerebbero molto vicini a quelli howardiani: eroi solitari, nichilisti, diffidenti delle società avanzate, seppur Kane e Wulfgar siano più problematici di Conan, Kull e Cormac FitzGeoffrey...


Come ti capita spesso, hai centrato il punto in pieno.

Il leggendario Autore Francis Scott Fitzgerand ci ha insegnato una triste, universale realtà: “Datemi un eroe... e vi scriverò una tragedia.”

Il destino di un “eroe” -- ma facciamo bene attenzione a usare questo termine: è terreno minato -- non può che essere un destino di lutti, tragedie e, prima di qualsiasi altra cosa, contraddizione intrinseca.

Perfino in Hannibal Lecter, eroe oscuro e maledetto tra i più formidabili della letteratura creato dal grande Thomas Harris, esiste una contraddizione che finisce con il coniugare il mostruoso con... l’affettuoso.

Non a caso “Hannibal” -- terzo installment letterario della saga dopo “Red Dragon” e “Silence of the Lambs” -- si conclude con una non così imprevedibile love-story al nero.

Ciò premesso -- da parte mia, al posto di “eroe” preferisco usare il termine “protagonista” -- tutti i miei protagonisti sono intrinsecamente problematici:

Solomon Newton in “Città Oscura” deve affrontare, oltre a tutto il resto, la questione razziale;

Russell Kane della serie “Sniper” è costretto a fare conti da un lato con una laurea in medicina (salvare vite), dall’altro con il mirino telescopico da cecchino (cancellare vite);

Wulfgar del trittico di “Magdeburg” è dilaniato nel profondo dalla “sindrome del sopravvissuto”: perché continuare a esistere quando tutti gli altri hanno cessato di esistere?

A tutti gli effetti, non ritengo che -- quanto meno nella narrativa a intrigo -- un “eroe” a tutto tondo possa esistere: avrà sempre un punto debole. E avrà sempre un lato oscuro.


Come traduttore de “Le Cronache del fuoco e del ghiaccio - Il trono di spade”, ritieni che l'origine del suo successo clamoroso sia avere spostato l 'asticella del genere verso un impianto più realistico? Per realistico intendiamo meno epico-cavalleresco e più spregiudicato. O è corretto dire che si tratta di un riflesso dei tempi, nel bene e nel male?


La tua domanda, così ottimamente articolata, contiene già la risposta.

Anzitutto, George R.R. Martin rimane uno degli Autori più preparati, versatili e professionali della narrativa di lingua inglese contemporanea tout-court.

Martin ha come retroterra fantascienza, horror, cinema, TV, fumetti, serializzazioni, libri stand-alone. A tutti gli effetti, È un eccezionale fuoriclasse.

Avevo già letto larga parte della sua opera, per cui ebbi ulteriore conferma delle sue qualità nel 1998, quando cominciai a tradurre il primo volume della saga “Ice & Fire”.

Siamo di fronte a un’opera monumentale, condotta da un Autore che nulla in assoluto ha da imparare su costruzione dei personaggi, struttura della storia, drammatizzazione delle situazioni.

Nessun dubbio quindi su quanto tu affermi: il realismo È la grande innovazione che Martin ha portato nel genere fantasy.

Certo, in “Ice & Fire” esiste una componente soprannaturale -- non-morti, draghi, sortilegi -- ma il vettore primario rimane quello dell’intrigo di potere. Inevitabilmente infame, il potere, intendo. Oops...

“Ice & Fire” è comunque una grande narrazione epica, al tempo stesso è uno spaccato estremamente attuale dei guasti causati da ambizione, rapacità, ossessione, avidità. Una grande opera fantastica, epica e... “politica.”

Gia’ di livello superiore sul piano letterale, “Ice & Fire” è poi esplosa con la ugualmente eccezionale serie TV di produzione HBO.

Ormai siamo al cospetto come fenomeno su scala planetaria, a livello di Star Trek e di Harry Potter, se non addirittura oltre.


Oggi l'interazione tra cinema-televisione-libro-fumetto-videogioco-cartone animato è pressoché assoluta, fino a concretizzarsi nella crossmedialità. Che opinione hai di questa tendenza?


Crossmedialità va di pari passo con inevitabilità.

Il livello tecnologico attuale dei media della comunicazione audio-visuale imponequesta evoluzione.

Ritengo che ciò a cui stiamo assistendo sia non più un semplice trend, ma un vero e proprio vettore destinato a diventare sempre più pervasivo.

Lo definirei un vettore osmotico: cinema, TV, fumetti, video-games, internet, addirittura giochi da tavolo e music-videos fanno ormai tutti parte del medesimo meta-universo.

Ognuno di queste componenti influenza le altre, prende spunto dalle altre, si allinea alle altre. Basti pensare alla ondata, tsunami in realtà, di film sui supereroi.

A titolo di ulteriore esempio di questa osmosi, non perdete i trailer di “Ghosts”, ultimo, imponente videogame dalla categoria FPS della ben nota serie “Call of Duty”. Troverete un plot di estrema complessità sostenuto da una grafica filmica pressocché perfetta.

In sostanza, la crossmedialità è... the (one) way of the future.

Continuando a parlare di fantasy, hai scritto “Silent Trigger”, action thriller diretto da Russell Mulchay, regista di una pietra miliare del cinema fantastico come Highlander, cosa puoi dirci di lui?


Russell Mulchay è uomo di grande intelligenza e cortesia, oltre a essere un grandissimo professionista e un eccezionale visualista.

Il suo primo “Highlander” -- è bene essere consapevoli che, al di là del concetto di base, il film è peraltro molto diverso dalla sceneggiatura iniziale, riscritta più volte -- è a tutt’oggi un vero e proprio classico.

Nella mia breve permanenza sul set di “Silent Trigger” -- eravamo a Montreal, Canada, nella primavera del 1995 -- ho avuto modo di apprezzare la precisione di Russell sia come regista di attori che come pianificatore di sequenze complesse.

Russell Mulchay è attento, preciso, preparato, controllato. A lui va tutta la mia riconoscenza e tutta la mia ammirazione.


Perché la nostra letteratura popolare propone raramente - per non dire mai - personaggi italiani?


È la domanda da un milione di dollari. Meglio non addentrarci…


Tornerà Wulfgar? Cosa ha aggiunto alla tua già ricca bibliografia la trilogia di Magdeburg?


Wulfgar tornerà. Già nella iniziale struttura di “Magdeburg” -- era lo AD 1998 -- era presente qualcosa che all’epoca definivo “blocco nipponico”.

Fu Cecilia Perucci, eccezionale Editor di Corbaccio, e centrare in pieno il bersaglio evidenziando una seria contraddizione narrativa, vale a dire sovrapporre all’Europa del 1630 il Giappone del 1620.

Troppo diversità di culture, troppa complessità narrativa da concentrare in uno stesso romanzo storico.

Ecco perché il “blocco nipponico” non fà parte della trilogia di “Magdeburg” se non come nel modo in cui Wulfgar combatte e attraverso accenni più o meno obliqui a un percorso in qualche modo mistico.

Da questa separazione, il concetto di “Magdeburg: La Via della Spada”, sorta di “prequel parallelo” al trittico. In che modo “Wulfgar è diventato Wulfgar” nell’Impero Giapponese successivo alla fine delle guerre feudali.

In un mondo (narrativo & editoriale) perfetto, “La Via della Spada” dovrebbe quindi segnare il ritorno di Wulfgar entro un tempo (si spera) contenuto.


Da Achille a Wulfgar, è la vendetta il più universale degli archetipi letterari?


Bene, direi proprio di sì. È uno dei motori primari se non il principale della letteratura di tensione e della natura umana. Da sempre.


Con “Terminal War: Juggernaut”, uscito da poco in libreria, torni alla fantascienza dopo i quasi vent’anni trascorsi da “Ultima luce”...

Il progetto Terminal War (TW) è una estensione diretta del mondo di “Ultima Luce”.

In TW -- non ci sono date precise, ma siamo circa un secolo dopo “Ultima Luce” -- nazioni, stati e governi sono definitivamente tramontati.

In questo futuro disperato e inquinato, disgregato e avvelenato, “l’unico gioco in città” è il sistema che è andato oltre tutti i sistemi: la mega-meta-conglomerazione monopolistica globale chiamata solamente Gottschalk.

Tentando un parallelo forse azzardato con l’opera fantasy di George R.R. Martin, TW è un tentativo da parte mia di presentare una Sci-Fi “realistica”.

“Juggernaut”, il volume di apertura, si svolge interamente sulla Terra, nella salma di quella che è stata Washington D.C. -- tramutata in un incubo post-metropolitano -- nell’arco (narrativo) di un’unica notte.

Già dal secondo volume -- “TW 2: Magellan” -- l’azione si sposta però anche nello spazio profondo. Il “realismo” di TW, quindi?

Non ci sono intere flotte spaziali alla “Star Wars”, nè ci sono equipaggi di centinaia di persone alla “Star Trek”.

Soprattutto non c’è quella enorme varietà di specie aliene, più o meno pittoresche, parte integrante della tradizione della “space opera”.

Il cosmo di TW è un cosmo pressocché “vuoto”: pochi pianeti desolati, tutti incompatibili con la vita in generale, con la vita umana in particolare.

Fulcro tematico di TW è la solitudine dell’uomo. E il tentativo dell’uomo stesso di sfuggirvi.

NON la migliore delle idee...


Nel tuo universo iper-muscolare, e a prima vista misogino, le donne hanno ruoli notevoli. Donne volitive, spregiudicate, fortissime che si confrontano, e spesso vincono, sulla controparte maschile. Tra le critiche più feroci a te riservate c'è anche quella di maschilismo. La critica e i movimenti d'opinione italiani sono drammaticamente anacronistci?


Non ritengo di dover esprimere giudizi di sorta né sulla critica né sui movimenti di opinione itaGLiani.

Da narratore, non ho troppa predilezione per la “damsel in distress”, la fanciulla in ambasce, per quanto essa rimanga comunque un archetipo.

Hai ragione: quasi tutti i miei personaggi femminili sono donne con almeno un paio di spine dorsali. È maschilismo, questo?

Inoltre, tutti i protagonisti dei racconti dell’antologia “Warriors”, pubblicata da TEA nel 2012, sono donne che di spine dorsali ne hanno addirittura tre. È misoginia, questa?

Il momento in cui archivieremo definitivamente quella insulsaggine chiamata “politically KorreKt” arriverà sempre troppo tardi.


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