Ormai per scrivere un tormentone estivo non ci vuole chissà quale fantasia: basta apporre in ordine sparso su qualche (rivedibile) ritmo latino-americano le parole “corazón”, “fiesta”, “mi vida”, “boca”, “fuego”, “cuerpo”, “bailando”, “playa”, e non come i sempre scomodati Righeira, “caliente”, “amor”, o pescare nel mazzo del citazionismo spiccio, et voilà, migliaia di giovani e meno giovani sono pronti a far esplodere la propria estate. Una prospettiva un po' povera, ne conveniamo, ma davvero qualcuno potrebbe trovare di meglio per interpretare il sentiment specifico dell'estate?
Certo che sì. È sufficiente fare lo sforzo (pratica ormai in disuso) di frugare nell'archivio della propria memoria, e dietro l'angolo si trova sempre un brano di Renato Zero, il più lisergico dei cantautori italiani, ad accompagnare dolcemente chi si accosta nell'arsura estiva.
Galeotto fu il canotto (1981) è sicuramente quello più coerente con lo stile scanzonato e irriverente per il quale il cantante romano è trasversalmente conosciuto. Nella fattispecie la canzone in questione racconta, tra il serio e il faceto, di come un uomo apparentemente devoto (Oh, oh, oh, cara, /Cosa farei senza di te!) a una moglie puntigliosa (Per la merendina, ci pensi tu!/Partiamo alle cinque?/Torniamo alle otto?!) in realtà approfitti di una gita al largo con, verosimilmente, un pedalò per liberarsi della donna e ricominciare un'esistenza (Mentre vai giù,/Io mi sento su!) che si prospetta sicuramente meno oppressiva.
Decisamente più poetica è, invece, Il grande mare (1989), in cui Renato racconta di due amori distinti, che però finiscono inevitabilmente con l'intrecciarsi. Da una parte quello per un'altra persona (Sulla sabbia il tuo nome ed il mio/Giuravamo che fosse amore) che punta a donarsi interamente ad essa (Dell'estate mia/Fanne ciò che vuoi/Si potrà innamorare/Degli amori tuoi ), ma che allo stesso tempo ha bisogno di essere sempre tenuto vivo, che non sia solo una fuggevolezza superficiale (Non vorrai imprigionarla/In una fotografia/Sembrerà un addio) e che sempre, viceversa, deve essere pronto a prendere il largo (Riscopriamo l'avventura/Superiamo ogni paura/E la nave in porto tornerà ).
Dall'altra, invece, c'è l'amore per il mare in senso stretto. Un mare che il cantautore romano descrive come qualcosa che fa commuovere e soffrire, dividere e ritrovare, qualcosa che c'è sempre e che, malgrado le tempeste, sarà sempre lì, immenso, ad aspettare chi da esso sarà pronto a farsi incantare ogni volta come fosse la prima.
Se c'è una canzone di Renato Zero che cesella alla perfezione la stagione estiva, tuttavia, quella non può essere che Spiagge (1983). Il testo si sviluppa tratteggiando i litorali italiani non tanto con aggettivi propri, ma attraverso la ricchezza di umanità che vi si può trovare: sono spiagge in cui tra le conchiglie ed il sale la gente ha lasciato il cuore, di corpi abbandonati e attimi rubati, di vele che prendono il largo fino a che non scompaiono, di cocco e granite, muscoli e bikini, straniere e bagnini, e di un juke box che suona proprio la tua canzone.
Quelle dello Zero più grande e ingombrante della musica italiana sono quindi spiagge che si caratterizzano come tali anzitutto per il ventaglio di possibilità che offrono, un ventaglio talmente ampio e vivo che l'estate stessa viene descritta come disinvolta e puttana. In una contrapposizione che ricorda “l'amore sacro e l'amor profano” evocato da Fabrizio De André in Bocca di rosa, tuttavia, Zero accosta all'immagine della prostituta quella dell'amore puro in sé, che nella sua visione è un sentimento che per nascere ha bisogno di un terreno fertile, quale appunto le spiagge.
Quello estivo è tuttavia un cerino che brucia in fretta, destinato a dissolversi con il ritorno alla routine e la lontananza (Ti scrivo tu mi scrivi/Poi torna tutto come prima) verso l'inevitabile stagione declinante alle porte (L'inverno passerà/Tra la noia e le piogge), ma che allo stesso tempo è però premessa di nuove fiamme che si accenderanno (Ma una speranza c'è/Che ci siano nuove spiagge). Un significato profondo, che marca una notevole differenza rispetto a quei cantanti il cui unico proposito è svangare la stagione togliendo qualsiasi senso mistico all'estate.
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