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Nuovo Cinema Italiano?

Aggiornamento: 9 ago 2023

La vox populi sostiene che il cinema italiano sia ormai inguardabile, perché tutto appiattito nella divisione tra il drammone social-esistenziale (magari con sfondo storico) dell'autore di turno e la commedia all'acqua di rose, entrambi di qualità variabile e magari non veri prodotti autoctoni ma (soprattutto nel secondo caso) copia-incolla low cost di un qualche film straniero con l'aggiunta di qualche parolaccia e un paio di gag a sfondo sessuale. E così lo spettatore italiano trangugia obtorto collo, ma bofonchia sul fatto che siamo passati dal cinema neorealista impegnato di De Sica padre a quello volgare e incivile di De Sica figlio.

Non sarebbe vox populi se non fosse anche vox dei, ed in effetti bisogna ammettere che purtroppo la cinematografia del Bel Paese troppo spesso si impigrisce su questi due stilemi. Perché ciò accade? Presto detto: i meccanismi che sottendono al nuovo sistema di finanziamento pubblico, sia in forma di fondi che di tax credit, sono strutturati per far sì che non accada più come un tempo, quando i film sostenuti dallo Stato erano visti da un quantitativo esiguo di fruitori.

La logica attuale prevede che vi siano anche criteri economici per un finanziamento, tramite i quali lo Stato si riserva di aiutare chi offra migliori garanzie di intercettare un pubblico. Va da sé che chiunque abbia l'obiettivo di ottenere l'assegnazione di benefici andrà sul sicuro, prediligendo quei generi e quelle narrazioni che si sa già avere un pubblico e generando in questo modo un involontario (ma deleterio) effetto di omologazione.

Fare di tutta l'erba un fascio è tuttavia sbagliato, e anzi, va evidenziato come di recente il cinema italiano abbia iniziato a portare sul grande schermo produzioni che si distaccano in maniera netta ed inequivocabile dal summenzionato stucchevole binomio, invitando lo spettatore a battere una strada per lui alternativa. Empiricamente, e con tutta l'ovvia facoltà di essere smentiti, si potrebbe far risalire questa sorta di nuovo corso, di Nuovo Cinema Italiano, all'uscita di Lo chiamavano Jeeg Robot (2016).

Con un incasso di poco più di cinque milioni a fronte di un costo di circa un milione e settecentomila euro, il film diretto da Gabriele Mainetti è stato il primo memorabile exploit che ha mostrato come il distaccarsi dai canoni sicuri, dal già visto, può garantire un riscontro molto positivo, se fatto in maniera accorta e con una copertura mediatica adeguata. E non è stato il solo, da lì in poi.

A stretto giro di posta è infatti uscito Veloce come il vento (2016, Matteo Rovere), a cui sono seguiti numerosi altri titoli “inconsueti” per il nostro cinema quali, per esempio, The Place (2017, Paolo Genovese), Il primo re (2019, Matteo Rovere), Copperman (2019, Eros Puglielli), Favolacce (2020, fratelli D'Innocenzo), Volevo nascondermi (2020, Giorgio Diritti), Diabolik e il relativo sequel (2021 e 2022, Manetti Bros), Freaks Out (Gabriele Mainetti, 2021), Siccità (2022, Paolo Virzì) e Dampyr (2022, Riccardo Chemello), solo per fare qualche menzione di un elenco altrimenti assai molto più vasto.

Interessante, anche se purtroppo con una permanenza in sala decisamente meno ampia di tutti i film sopracitati, è stato l'esperimento tentato con Ipersonnia (2022). Il film di Alberto Mascia prova infatti a riprendere un filone narrativo che l'Italia ha abbandonato, quello della fantascienza, che un tempo tuttavia in Italia trovava terreno fertile: il regista vicentino ha costruito un mondo distopico, simile al nostro eppure moralmente molto lontano da esso, con richiami al Memento di Christopher Nolan (2000) e a Minority report di Steven Spielberg (2004).

Allo stesso tempo, in questi giorni in sala è ancora proiettato L'ultima notte di Amore (2023, Andrea Di Stefano). Si tratta di un thriller peculiare, che esplora i meandri della mente umana di un tutore dell'ordine schiacciato tra l'incudine di un sistema statale non meritocratico e il martello di una città in cui il crimine non è solo mezzo di sopravvivenza, ma anche status sociale. Un film che va sicuramente visto, sia per l'interpretazione di un Favino capace di traslare nell'ambiente urbano la mascella serrata e lo sguardo luciferino dei migliori pistoleri del West, sia per l'intreccio psicologico che deborda dalla diegesi e coinvolge direttamente lo spettatore.

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