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PERCHÉ RECUPERARE CANDY CANDY

Gli anime giapponesi giunti sui nostri schermi tra gli anni Settanta e gli anni Novanta hanno forgiato più di una generazione di appassionati, creando nuovi immaginari, ma nel corso del tempo hanno incontrato destini diversi, rimanendo o classici evergreen che continuano ad essere trasmessi o fenomeni vintage da riscoprire.

Tra questi ultimi spicca Candy Candy, replicato dal suo arrivo nel 1980, prima sulle reti private e poi sull’allora Fininvest poi Mediaset, al 1997, quando la trasmissione dell’anime e una nuova edizione del manga da parte della Star Comics furono bloccati per una causa legale tra le due autrici, Yumiko Igarashi e Keiko Nagita, nota in arte come Kyoko Mizuki.

Da allora è passato un quarto di secolo, ma Candy è rimasta nel cuore di molti, senz’altro di chi era cresciuto con lei. Anche se non più reperibile ufficialmente, lo è ufficiosamente come serie animata, e si sono segnalate alcune repliche su alcuni canali locali italiani, oltre che una presenza costante sulle televisioni dell’America latina.

Ma vale la pena recuperare Candy Candy, serie di culto per le ragazzine degli anni Ottanta, e classico comunque che meriterebbe di essere trasmesso con tutti i crismi, come altre opere dell’epoca?

L’eroina ideata da Keiko Nagita e Yumiko Igarashi quando erano ancora amiche ha non pochi punti di interesse, anche a distanza di anni, nella sua lunga epopea animata, ben 115 episodi, basata su un manga che invece era più conciso nella narrazione della crescita della protagonista. Gli shojo manga, i fumetti per ragazze, si erano affermati negli anni Settanta grazie al capolavoro Versailles no Bara o se si preferisce Lady Oscar di Riyoko Ikeda, che aveva fatto emergere un pubblico di giovanissime affamate di storie intriganti e coinvolgenti. Tante autrici si affermarono sulla sua scia, come appunto Yumiko Igarashi e Keiko Nagita.

A differenza del già noto per le ragazzine italiane del 1980 Heidi, arrivato due anni prima, nel 1978, Candy Candy non era tratto da un classico dell’Ottocento, ma era una storia originale, anche se con forti richiami alla letteratura occidentale. Nel corso della storia vengono citate opere come Cenerentola, Jane Eyre, Orgoglio e pregiudizio, Romeo e Giulietta e Papà gambalunga, senza che la storia diventi una scopiazzatura.

La vicenda di Candy si svolge tra Stati Uniti, Inghilterra e Scozia all’inizio del Novecento, con qualche anacronismo nei costumi dei personaggi tutto sommato non poi così fastidioso. Ci sono forti richiami alla cultura scozzese, sia pure dal punto di vista grafico, e si citano alcune vicende legate alla Prima Guerra Mondiale, che resta sullo sfondo a differenza della Rivoluzione francese per Lady Oscar, ma che influenza pesantemente alcuni eventi, come la morte di uno degli amici della protagonista, Stear, in un tragico colpo di scena finale.

La storia raccontata si inserisce nel genere del romanzo di formazione di stampo ottocentesco, come le opere di Louisa May Alcott e Charles Dickens, e, a differenza di Heidi, Candy cresce sullo schermo, passando da bambina a giovane donna, anche se tutto è molto edulcorato, siamo sempre in uno shojo per preadolescenti degli anni Settanta.

La serie animata pecca forse di qualche lungaggine di troppo, 115 episodi non sono pochi: gli episodi filler, quelli riempitivi che non aggiungono niente alla trama, non sono pochi, e in ognuno di questi Candy compie una buona azione verso qualche personaggio che incontra. All’epoca era comunque piacevole per gli appassionati seguire le avventure di Candy, parte integrante del suo processo di crescita.

In Candy Candy si parla di argomenti quali l’uguaglianza sociale, le discriminazioni, le famiglie più o meno allargate, gli affetti, la realizzazione di sé, la libertà di essere stessi, l’impegno sociale, i rapporti tra le generazioni, la solitudine, il lutto, la morte, il rispetto per ogni essere vivente, con gli animali che diventano comprimari, come la cagna Mina, unica compagnia di un anziano burbero a cui Candy darà gli ultimi scampoli di affetto di una vita solitaria, la tartaruga Evelyn, consolazione di una ragazzina troppo sola, il procione Klin, famiglio della protagonista presente solo nella versione animata.

Uno degli argomenti principali è l’amore, trattato in maniera casta, certo, ma capace di suscitare dei turbamenti, tenendo conto che si concretizza nel personaggio di Terence, il turbolento e tormentato fidanzato di Candy, che con gli occhi di oggi è senz’altro la figura più interessante di tutta la storia, un personaggio non manicheo e intrigante.


Del resto, per un’intera generazione di fan il più grande rimpianto è che la vicenda della bionda eroina non abbia una conclusione, i disaccordi tra le due autrici su che fidanzato darle tra Terence appunto e il più anziano e a tratti noioso Albert hanno lasciato tutto in sospeso e nemmeno il libro scritto da Keiko Nagita alcuni anni fa ha messo a posto questo.

Quindi, Candy Candy merita senz’altro di essere visto o rivisto, scoperto o riscoperto, magari ricordando che in anni lontani dall’attuale manga boom fu oggetto di un fenomeno editoriale notevole da parte del Gruppo editoriale Fabbri, che poi però lasciò stupidamente cadere tutto.

L’anime è recuperabile, il manga anche, se ci si accontenta dell’edizione di inizio anni Ottanta e anche se è difficile speriamo davvero che un giorno le autrici ridiano il permesso di godere della loro opera in maniera ufficiale e non solo vintage.

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