Bones and All, ultimo film di Luca Guadagnino uscito nelle sale lo scorso 23 novembre riesce a scardinare i temi attuali dell’emarginazione e della diversità?
Attraverso un lavoro curato e incisivo riesce senza ombra di dubbio a proporre queste tematiche sotto una luce alternativa e peculiare, pur mantenendo un’aderenza alla matrice poetica e romantica tipica della sua estetica.
Protagonisti del lungometraggio due ragazzi: Maren, interpretata da Taylor Russel, stupisce con un’ottima prestazione attoriale di grande sensibilità, mai sopra le righe e perfettamente credibile per tutta la durata del film, mentre a coprire il ruolo di Lee è Timothée Chalamet, attore caro al regista, e già protagonista per Guadagnino in Call me by your name, che anche in quest’occasione si dimostra all’altezza delle aspettative vestendo i panni di un personaggio tormentato e aspro.
La giovane coppia troverà conforto nella condivisione che li ha resi emarginati, la fame insaziabile di altri esseri umani, che sarà proprio motivo del loro avvicinamento e che li condurrà in un road trip alla scoperta di loro stessi.
Il viaggio è la metafora perfetta per giustificare il cammino evolutivo dei personaggi, facendoli immergere a pieno in situazioni ostiche: le vicende e le tappe percorse dai ragazzi attuano un cambiamento radicale di quella che è la loro condizione di disagio esistenziale, maturando assieme.
Calata nelle atmosfere rurali e solitarie del sud degli Stati Uniti, la coppia attraversa luoghi vuoti, ampi, silenziosi, eremi urbani che si mischiano a paesaggi vasti e desertici.
La scelta di questa ambientazione riflette lo stato umorale e introspettivo dei personaggi che, erranti, vagano alla ricerca di loro stessi, alla ricerca di un luogo da abitare, da vestire.
La carnalità e la fame di corpi da divorare servono a colmare questo abisso, in cui tutto è fuori dalle convenzioni, in cui per sentirsi appagati bisogna essere sazi di altro, di persone.
Il film ruota attorno a questo desiderio che sembra irraggiungibile e lontano, il desiderio di essere amati, compresi.
La vena romantica si innesta all’interno di questo scenario orrorifico (che non sfocia mai in terrore puro) divenendo predominante per tutto il corso della narrazione e proponendo un’alternativa ottimistica e catartica volta alla risoluzione e al superamento di questa condizione maledetta.
Il risultato finale è un film contemplativo diretto con sapienza e dalle ottime inquadrature specialmente per la composizione dei quadri, che però risente di un ritmo lento. Le accelerazioni scaturiscono prevalentemente in poche occasioni, quasi sempre quelle in cui le tinte horror e gore vengono messe in scena e la tensione aumenta anche grazie allo splendido lavoro del comparto sonoro.
Se si dovesse trovare una macchia starebbe proprio qui nell’utilizzo morigerato del genere horror che, contrapposto all’aspetto romance, svanisce e perde di forza, rendendo il film un buon prodotto ibrido che merita comunque di essere visto.
Comments