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Pier Luigi Manieri

"TOLKIEN. Uomo, Professore, Autore"

Registra un grande successo la mostra presso la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea a cura di Alessandro Nicosia e Oronzo Cilli

L’affluenza è quella dei grandi eventi. L’interesse dei media e dell’opinione pubblica, anche. Se da questi primi dati è già possibile trarre un giudizio, esso non può che essere più che lusinghiero. Il Ministero guidato da Sangiuliano rende omaggio a quello che da ogni angolazione lo si osservi, è il più grande narratore del secolo scorso, a cinquanta anni dalla sua scomparsa e lo fa con una monumentale esposizione filologica che ne ripercorre non solo gli aspetti biografici e letterari ma anche se non soprattutto, l’eredità in termini di effetti sull’immaginario e cultura di massa.

La mostra allestita con rigore scientifico, si snoda lungo i saloni del tempio dell’Arte Moderna e Contemporanea della Capitale, in un flusso di oggetti che comprende quadri dipinti da artisti vari, più o meno l’intero corpus letterario costituito in larga misura da pezzi da collezione, pannelli che ne riflettono vita e opere, sezioni audiovisive e memorabilia.


Un lavoro di ricostruzione certosino in grado di assolvere a entrambe le funzioni che un evento del genere ha come vocazione: la divulgazione e l’intrattenimento. Non solo, se l’esposizione confermerà le premesse, infilerà un duplice risultato positivo tanto sotto il profilo economico, quanto sul piano culturale, giacché per accedere agli spazi della mostra i visitatori avranno agio di ammirare le opere in esposizione permanente. Tutto bene, allora? Sì, o forse, no. A latere dell’evento si è levato il consueto brusio di biasimo. Questa volta la pietra dello scandalo è la profanazione della sacralità della Galleria. Il che non è solo privo di alcun senso ma è semanticamente e dialetticamente falso. La Galleria si occupa di Arte moderna e contemporanea, ebbene, John R.R. Tolkien nella sua suprema dignità di autore ha pieno titolo per essere accolto al suo interno, ma il neo non sarebbe neppure questo quanto il fatto che proprio le espressioni più moderne e contemporanee delle Arti Figurative hanno al loro interno la provocazione come valore, quindi possiamo dedurre che la supposta provocazione (si scomoda la parola “occupazione”) sia esattamente nel luogo in cui dovrebbe essere, ma se così, è (ed è indubbio che lo sia), non si può parlare di provocazione ma di luogo d’elezione.

Il problema più autentico è che di fronte a tali eventi occorrerebbe porsi con occhi neutri e non da fanzinari sul piede di guerra. Sarebbe cosa buona e giusta nei confronti dei lettori che la critica entrasse nel merito, nel significato e nel significante, sarebbe bello potersi occupare unicamente di cultura ma invece oggi leggiamo titoli come “Parata di regime”. Lo scrive la Repubblica, quindi conta quanto il Corriere di Paperopoli ma il punto resta: le mostre sotto l’egida di Veltroni, Melandri, Franceschini con tutta la nomenclatura e intellighenzia a seguito, cos’erano? La presenza massiccia in ogni sede di presidenti, direttori generali, direttori artistici, responsabili, capi, coordinatori, dalla Scala, alla Festa del Cinema, dal Palazzo delle Esposizioni, a Cinecittà a Sanremo tutt’ora in carica, vanno inquadrati come canonici presidi o piuttosto sono autentiche bandierine e roccaforti degli emuli di Gramsci? Fossimo alla guida delle redazioni di certe testate suggeriremmo di scendere a più miti consigli perché quando s’imboccano certi sentieri non si sa mai con certezza dove si approda.

Ma tornando all’inaugurazione della mostra, lungo il suo percorso si sono visti tra gli altri, l’attore e regista Adelmo Togliani con la consorte, l’ufficio stampa Laura Beretta, lo storico musicale e speaker radiofonico Maurizio Guccini e Alex Voglino, saggista, curatore di grandi eventi, figura di riferimento per il fandom e tra i massimi esperti italiani di J.R.R. Tolkien.


L’esposizione si articola quindi tra documentazione, rarità e declinazioni; per non togliere il piacere della scoperta ai visitatori, ci concentreremo unicamente su alcuni elementi paradigmatici: Black Riders, lo splendido disegno di Tomasz Oracz che ritrae gli oscuri emissari di Mordor, i costumi di scena della saga cinematografica, una bacheca colma di edizioni e un flipper.

Elemento che non è azzardato definire neo dadaista. In parte per la vocazione ludica dell’oggetto ma soprattutto per il concetto di decontestualizzazione, come sappiamo, dal gabinetto di Duchamp in avanti. Il flipper perfettamente funzionante diviene inoltre performance ogni qualvolta viene coinvolto in una partita. Ecco che allora l’oggetto-gioco, una volta separato dal suo ambiente naturale, che sia il bar o la sala giochi, acquisisce nel momento in cui accede nel museo, una definizione “altra” che è quella iconico-conservativa… per poi evolversi in simbiosi col fruitore, in strumento performativo. Il fruitore, che ne sia consapevole o meno, passa a sua volta dal ruolo di giocatore estemporaneo a quello di attore. I due, gioco e giocatore attivano dunque una performance che nella sua esecuzione ripetitiva assurge a rappresentazione ritualistica. Qualcosa che riporta all’età evolutiva e simultaneamente conduce a una trasfigurazione. Il che è quanto di più concettuale concepibile.

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