Bomber, anfibi, giacche militari, Vivienne Westwood fu la Duchamp della moda. Irriverente, sfrontata ma soprattutto decontestualizzante. L’ordine e il caos. Prese a prestito elementi del vestiario militare per farne oggetti da trasgressione. Perché lo fossero di più, li abbinò a jeans lacerati, chiodi da Teddy boy, camicie senza maniche. Ma al tempo stesso avviò un’operazione antitetica perché codificò il non codificabile. Il punk, modello iconoclasta della ribellione agli status borghesi, vestiva “firmato “. Non deve sorprendere, Westwood assieme a Malcom McLaren erano non solo le menti dietro i Sex Pistols ma furono con il loro negozio al 430 di Kings Road a Londra, anche fautori di una contaminazione tra linguaggi artistici che dalla musica si espandeva alla moda e viceversa. Fece da apripista alla moda d’avanguardia, nella cui scia s’inserì un’intera generazione di stilisti, da Jean Paul Gaultier, l’ex enfant terribile della haute couture francese a Calugi & Giannelli, il duo fiorentino, geniale e sfortunato, alla britannica Katharine Hamnett.
Funerale. La moglie di Assange, Stella, ha reso noto attraverso Nine Media che Julian Assange chiederà un permesso per prendere parte ai funerali della stilista.La quale aveva protestato e chiesto più volte la scarcerazione del fondatore di WikiLeaks . Stella indossava un abito disegnato da Westwood al suo matrimonio a marzo. Il contributo alla moda e il lascito creativo della Regina del Punk, contempla una serie di “must” che vanno dai completi in tartan al corsetto “Stature of Liberty”, dai “Pirate Boots”.
Alle T-shirt con gli slogan, dalle décolletées con il plateau al choker di perle. Lunga vita alla Regina.
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