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Jaffar Panahi libero dopo sette mesi di prigionia

Vito Tripi

Il regista iraniano aveva cominciato da due giorni lo sciopero della fame


​Mentre in Italia perdiamo tempo dietro le pretese della peggior teppaglia, usata come cavallo di Troia dalle mafie di ieri e di oggi per abbattere il 41 Bis, il governo iraniano libera il regista dissidente Jaffar Panahi. Il noto cineasta persiano nacque a Mianeh l’11 luglio 1960 da una famiglia proletaria. Giovanissimo mostrò subito capacità artistiche visto che a 10 anni vinse un premio letterario per un suo racconto.

Combatté poco più che ventenne per il suo paese durante il conflitto con l’Iraq e nel 1981 fu catturato dai curdi e tenuto in un campo di prigionia per oltre 75 giorni. Da questa durissima ma formativa esperienza nacque un interessantissimo documentario sulla guerra che venne trasmesso alla tv di stato.

Panahi ha ottenuto il riconoscimento internazionale con il suo primo lungometraggio, Il palloncino bianco del 1995. In quell’anno il film ha vinto la Caméra d'or al Festival di Cannes, il primo premio importante vinto da un film iraniano a Cannes.

Ma i successi internazionali non hanno mai giovato al cineasta in patria poiché la sua luna di miele col governo degli ayatollah è stata molto breve. Difatti egli è da sempre un sostenitore della libertà d’espressione nel proprio paese, causandogli diversi arresti concentrati in un breve periodo, Panahi venne definitivamente arrestato il 2 marzo 2010 insieme con la moglie, la figlia e 15 amici, ed in seguito accusato di propaganda contro il governo. Accusato di partecipazione ai movimenti di protesta contro il regime iraniano, dopo la mobilitazione delle organizzazioni a difesa dei diritti umani e del mondo del cinema a livello internazionale, viene rilasciato su cauzione il 24 maggio dello stesso anno.

Venne condannato, il 20 dicembre 2010, a sei anni di prigione vietandogli, per 20 anni, sia di dirigere film o scrivere sceneggiature, che di lasciare il paese, tranne per cure mediche o per partecipare al pellegrinaggio Hajja La Mecca. Gli è stato anche impedito di concedere interviste sia a media iraniani che stranieri.

In attesa del risultato di un appello, ha girato nel 2011 This Is Not a Film, un documentario, di fatto un video-diario, nonostante le conseguenze legali del suo arresto. Il docufilm venne contrabbandato al di fuori dell'Iran tramite un hard disk nascosto all'interno di una torta e presentato al Festival di Cannes 2011. Nel mese di febbraio del 2013 al LXIII Festival Internazionale del Cinema è stato mostrato in concorso Closed Curtain(Pardé) di Panahi e Kambuzia Partovi. Il 16 febbraio 2013, il suo Closed Curtain vince l'Orso d'argento per la migliore sceneggiatura al Festival internazionale del cinema di Berlino.

Il 14 febbraio 2015 si aggiudica l'Orso d'oro al 65º Festival internazionale del cinema di Berlino con il film Taxi Teheran girato in clandestinità a causa del divieto imposto dal governo iraniano. Nel 2018 ha presentato al settantunesimo Festival di Cannes il film Tre volti.

Infine il suo ultimo film Gli orsi non esistono ha vinto il Premio Speciale della Giuria alla 79° Mostra del cinema di Venezia. E proprio alla manifestazione lagunare tutta la comunità cinematografica internazionale si è mobilitata per sostenere i colleghi in carcere in Iran.

Queste situazioni rocambolesche con cui Panahi è riuscito sempre a far giungere i suoi lavori all’estero creano due quesiti: o le maglie della censura iraniana sono bucate o, più concretamente, il governo di Teheran chiude un occhio per dare un contentino alla rumorosa e fastidiosa opposizione fomentata, principalmente, dagli Stati Uniti e Israele.

Dopo essere stato messo arresti domiciliari nel 2011 per finire di scontare la sua pena, il regista è stato nuovamente arrestato nel luglio del 2022, mentre andava in tribunale per sostenere la causa di un altro regista arrestato dal regime di Teheran, Mohammad Rasoulof.

Bisogna precisare che due giorni fa il Panahi aveva iniziato lo sciopero della fame nel carcere in cui era detenuto “per protestare contro i comportamenti disumani e illegali della Repubblica islamica e la presa di ostaggi”, come egli stesso ha definito i prigionieri politici nel Paese.

“Oggi, come molte persone intrappolate in Iran, non ho altra scelta che protestare contro questo comportamento disumano con ciò che ho di più caro: la mia vita - aveva scritto Panahi in una dichiarazione diffusa dalla moglie immediatamente dopo l’arresto –Rifiuterò di mangiare, bere e prendere qualsiasi medicina fino a quando non sarò rilasciato. Rimarrò in questo stato fino a quando, forse, il mio corpo senza vita non sarà rilasciato dalla prigione”.

La sua liberazione, avvenuta il 3 febbraio su cauzione, è stata annunciata dall’Ong CHRI, di base New York. Il giornale iraniano Sargh ha pubblicato una foto di Panahi all’uscita del carcere di Evin a Teheran, mentre abbraccia uno dei suoi sostenitori. L’agenzia di stampa Isna ha raccontato che diversi artisti erano all’esterno della prigione ad attendere l’uscita del regista.

La prima reazione ufficiale è arrivata dai direttori della Berlinale, Carlo Chatrian e Mariëtte Rissenbeek, che hanno rilasciato la seguente dichiarazione: “Siamo molto preoccupati per la salute di Jafar Panahi e siamo molto felici che sia stato finalmente liberato”.

​In alcuni salotti della sinistra borghese già si esulta per un indebolimento del governo iraniano o forse, più plausibilmente, gli ayatollah comprendono quali sono le carte migliori da giocare per accreditarsi all’estero e la liberazione di un regista ribelle fa sempre notizia ed è un ottimo contentinto per la gauche au caviar. Ora ci chiediamo quando la “più grande democrazia del mondo” libererà Assange.

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