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Spade innalzate per salutare un maestro: Ken Kelly (1946 - 2022)

Ci ha lasciati il 3 giugno, a soli 76 anni, Ken W. Kelly, illustratore, disegnatore e pietra miliare dell’immaginario fantastico dell’ultimo mezzo secolo.


Nipote per parte di moglie del più celebre artista fantasy dei nostri tempi – Frank Frazetta – nelle cinque decadi che lo hanno visto chinato sul tavolo da disegno, Kelly ha ben saputo ritagliarsi la propria fetta di celebrità al di là di questa parentela illustre, che per chiunque coltivasse ambizioni artistiche, sarebbe stata forse più una scomoda pietra di paragone che un passepartout verso la gloria.

Del resto, non è necessario essere stati fan dei Manowar, dei Kiss , o più di recente degli Eternal Champion – band per cui ha realizzato ben più di una iconica copertina – per essersi ritrovati sotto gli occhi almeno una volta il tratto riconoscibilissimo e vivido del disegnatore statunitense.


Conan, Tarzan e molti altri guerrieri e avventurieri sono entrati nelle menti e negli occhi di lettori di fumetti e romanzi proprio grazie ai suoi artwork esotici ed espressionisti, in cui le donne sono sempre discinte e sensuali, gli uomini bruti dai muscoli tesi allo spasimo, e belve e demoni si aggirano fra picchi fiammeggianti, panoplie insanguinate e fulmini baluginanti.

Proprio per questo, per alcuni Ken Kelly ha rappresentato l’epitome del pacchiano: troppo ridondante, il suo stile, troppo figlio del suo illustre mentore Frazetta, da cui aveva mutuato il gusto per la figura superomistica di titani spesso senza volto. Eppure, questi suoi asseriti difetti, sono stati forse proprio la chiave per conquistarsi i cuori di chi al contrario desiderava esattamente quello: un’esplosione di vitalità senza compromessi, un roboante vitalismo adolescenziale che marchiava a fuoco tanto i romanzi sword&sorcery che si pregiavano delle sue copertine, tanto gli album heavy metal e hard rock che erano l’adeguato compendio sonoro di una simile energia.

Anche quando riproponeva, in chiave personale, figure mitiche come il seminale Death Dealer di frazettiana memoria, era in grado di aggiungervi un tocco di magniloquenza inequivocabile. Capolavoro di equilibrio, l’operazione non fu mai quella del calco inutile. E a volte sembrava che davvero il funesto Death Dealer l’avesse, in fondo, inventato per metà anche lui.

Oggi, nel giorno in cui Kelly - dopo le complicazioni di un attacco di cuore - prende il largo verso il glorioso Valhalla di cui tante volte ha disegnato i maestosi cancelli, i suoi fan lo piangono doppiamente.

Non solo per via di un addio che giunge, è inevitabile pensarlo, troppo presto.

Ma anche in ragione della consapevolezza che l’estetica kellyana resta senza veri eredi, con epigoni che ne hanno ripreso qui e lì intuizioni e insegnamenti, ma senza saper creare sintesi personali, tranne forse il caso del transalpino Régis Moulun, brillante nel suo recuperare gli stilemi dell’illustrazione fantasy tradizionale, ma forse più vicino anch’egli allo spirito di Frazetta che non al nostro.

Insomma, come si usa dire, con la scomparsa di Kelly si chiude un’era, si spegne l’ultimo bagliore di un certo spirito ottantiano che tramite le sue matite aveva continuato a serpeggiare nei circoli ribollenti dei devoti al metal classico, del fantastico duro e puro non inquinato da revisionismi stucchevoli. Per chi, affacciandosi in questi mondi, si era abituato a percorrere un pezzo di strada assieme agli eroi coperti d’acciaio di Kelly, un brutto colpo.

So long, Ken.

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